di Federica Iezzi
Dopo mesi di
manifestazioni rauche, promesse e discorsi di nuovi inizi, e sotto
l’occhio vigile di 148 osservatori internazionali dell’Unione Africana,
dell’ECOWAS, della Carter Foundation e dell’Istituto Nazionale
Democratico, si è concluso il primo passaggio di potere democratico in
Liberia.
I sondaggi si sono chiusi con alcune segnalazioni di violenza, con
conteggio quasi completo e incalzanti scommesse sul vincitore. Si cerca un successore ai 12 anni di potere del primo presidente donna del continente africano, Ellen Johson Sirleaf.
Dunque dopo due mandati di sei anni, limite dettato dalla Costituzione,
il Premio Nobel per la pace lascia il governo di Monrovia.
Sono più di due milioni di elettori registrati. E il 20% di questi è tra i 18 e i 24 anni. Venti i candidati presidenziali. Divide gli animi la candidatura dell’ex giocatore di calcio e pallone d’oro George Weah. Per la vittoria bisogna ottenere il 50% dei voti, più uno. Non c’è mai stato un chiaro favorito al primo turno.
Secondo gli ultimi conteggi nelle 15 contee, testa a testa
tra George Weah, pedina del Congresso per la Democrazia e il
Cambiamento, e l’attuale vicepresidente Joseph Boakai, del centrodestra
Partito dell’Unità.
Con il 95% dei voti contati, la National Election Commission
liberiana, ha comunicato che Weah domina le elezioni con il 39% dei voti, Boakai guadagna il 29% dei consensi. I risultati finali sono attesi entro il 25 ottobre. Secondo la legge elettorale in Liberia, se
nessun candidato ottiene una maggioranza assoluta nel primo turno
elettorale, seguirà un secondo turno tra i primi due candidati. Il
secondo turno elettorale è fissato per gli inizi di novembre.
La campagna elettorale di Boakai è stata improntata su integrità e
fiducia, con la promessa di aumentare la spesa pubblica per
l’agricoltura e per promuovere la crescita economica, lo sviluppo e il
miglioramento delle infrastrutture. Il Partito dell’Unità sta ancora
godendo degli evidenti vantaggi del classico partito al governo,
rafforzato da risorse statali e lealtà tribali. E sta ottenendo i
maggiori consensi nelle contee di Lofa, Gbarpolu, Bong, Bomi, Cape
Mount, Gbarpolu e Grand Gedeh.
Profondamente impopolare nella diaspora liberiana, l’ordine
del giorno di Weah che prevede la creazione di un tribunale
anticorruzione e il decentramento del potere parlamentare, permettendo
al popolo liberiano di essere partner attivo nella governance delle
singole comunità.
Spesso definita la più antica repubblica moderna del continente nero, nel 1847, la Liberia divenne la prima repubblica africana a proclamare l’indipendenza.
Membro fondatore dell’organizzazione intergovernativa Società delle
Nazioni, delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione dell’Unità Africana.
I suoi problemi iniziano nel 1980 quando, con un colpo di stato militare, viene rovesciato il governo Tolbert. Da
quel momento partono 23 anni di crisi politiche e di guerre civili, che
determinano la morte di almeno 250.000 persone e il crollo
dell’economia nazionale. La pace non è tornata nel fragile Paese fino al 2003,
quando l’allora presidente Charles Taylor si è dimesso a causa di un
mandato d’arresto per i crimini di guerra, commessi mentre guidava le
forze ribelli del Fronte Rivoluzionario Unito nella vicina Sierra Leone.
La governance calma e misurata di Ellen Johnson Sirleaf, dal 2005 ha
portato pace e stabilità nello stato dell’Africa Occidentale. Mentre
oltre l’80% della popolazione continuava a vivere sotto la soglia di
povertà, nel 2014 il Paese è stato schiacciato dall’epidemia di Ebola.
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