Durante la prima Repubblica con l’espressione “governo balneare” si usava indicare un esecutivo nato con un mandato a breve termine, di transizione, con un profilo bassissimo in seguito al verificarsi di tensioni politiche all’interno di una maggioranza parlamentare.
E’ evidente come anche il governo Gentiloni abbia proprio quelle caratteristiche sebbene stia insperabilmente per raggiungere il primo anno di vita. Il suo Governo lo ha voluto Renzi che, certo, non poteva più metterci la faccia dopo la batosta referendaria del 4 dicembre 2016. Dunque, dopo una ritirata tattica (durata molto poco per la verità) Renzi è riapparso ed ha tracciato la nuova road map che prevede, innanzitutto, un progressivo tiro al piccione nei confronti di Gentiloni e del suo esecutivo onde cercare di recuperare almeno in parte l’immagine di rottamatore, affrancandosene sempre di più e nel disperato tentativo di recuperare quote di elettorato.
E’ così che Renzi ha dato il via alla sua personale campagna elettorale tirando la prima vera coltellata alla schiena di Gentiloni, com’è nel suo inconfondibile stile, prima di assestare il colpo finale.
Il retroscena è quello descritto da Francesco Verderami sul Corriere della Sera di ieri: Gentiloni era certamente ignaro del blitz organizzato dal segretario del PD, di cui è venuto a conoscenza «casualmente» , come ha spiegato a Mattarella. Ma c’è di più: “...la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi sapeva anzitempo del testo (che sul tema Banche non perde mai un appuntamento con il proprio personale conflitto di interesse). Dunque Gentiloni non è stato avvisato dal suo sottosegretario, cioè, Maria Elena Boschi, dell’imboscata che gli stava preparando Renzi.
Sembrerebbero solo beghe interne al PD, ma così non è. Siamo al redde rationem, il principale partito di governo si sta sfaldando e con questo sta per andare in crisi tutto l’establishment che si stava affezionando al duo Gentiloni-Minniti ed accarezzava la dolce illusione di andare verso una duratura fase di stabilità. Ma tant’è.
Lo strappo su Visco non sarà l’unico e sicuramente le risse dentro e fuori il PD sono destinate ad intensificarsi nei prossimi mesi, fino alla rottura finale tra PD e governo Gentiloni che, ormai, appare sempre più imminente.
Tutto ciò contribuirà a rendere sempre più profonda, anche in Italia, quella “crisi delle classi dirigenti” che si è manifestata, negli ultimi anni, in vari modi ed in paesi diversi ed a cui si cerca di sopperire, di volta in volta, con soluzioni tecniche, grandi coalizioni e/o politiche repressive.
Se questa è l’aria che tira, quali sono le prospettive? Se è vero che il Rosatellum ha spento, per ora, le velleità governative del M5S è anche vero che sia nel “centrodestra” che nel PD vi sono tanti a tali equivoci, destinati ad esplodere subito dopo le elezioni, da rendere impossibile qualsiasi governo “politico” duraturo e non “ balneare” com’è quello di Gentiloni.
Tanto più che la BCE sta preparandosi a chiudere il Quantitative Easing e Draghi dovrebbe darne notizia quanto prima. Solo negli ultimi due anni la BCE ha acquistato attraverso la Banca d’Italia 274 miliardi di titoli di Stato italiani al ritmo medio di 9 miliardi al mese (!).
Quando la conclusione dell’operazione Q.E. sarà effettiva inizieranno i dolori della restituzione e sarà “un momento storico sovraccarico di incognite, incertezze e paure come si scriveva in epigrafe: a nove anni dall’avvio, prima in America e poi in tutto il mondo, del quantitative easing, la manovra – senza precedenti su questa scala – di introduzione di dosi gigantesche di liquidità sui mercati mediante l’acquisto di bond per debellare la crisi, inizia la fase opposta”, come segnalava Franco Astengo in un articolo comparso su Contropiano a fine settembre scorso.
“Fase opposta” vuol dire che, presto, ricominceranno a piovere pietre, altro che ripresa. Insomma, la calma prima della nuova tempesta.
In un quadro siffatto che diviene ogni giorno più caotico e che pare destinato a non risolversi mediante nuove elezioni, si fa largo, sempre più insistentemente, l’ipotesi di un “piano B” che prevede, nel caso assai probabile di marasma post-elettorale, l’avvento di un nuovo governo tecnico di “salvezza nazionale” a guida proprio di Mario Draghi (ormai quasi a fine mandato) che, nei fatti, equivarrà al commissariamento dell’Italia da parte della UE ed alla consegna definitiva del paese alla Troika.
Un governo a marchio UE che avrà il compito di completare in Italia quel massacro sociale che ha già avuto il suo tragico laboratorio in Grecia. Draghi, d’altronde aveva già mandato un minaccioso avviso dichiarando, non molto tempo fa, che “non è più sostenibile un’Europa fatta di creditori e debitori”. Inoltre Draghi ha, chiarito, proprio l’altro ieri, da che parte intende riprendere il discorso sulle questioni interne italiane lodando il Jobs Act in quanto «esempio di vera riforma strutturale». Renzi, ovviamente, ha incassato con piacere.
Davanti ad un situazione del genere, tanto drammatica quanto produttiva di ampi spazi politici, risulta davvero sconfortante che ci sia ancora qualcuno, a sinistra, che crede di poter costruire un fronte alternativo al PD con chi sta sostenendo il Governo Gentiloni e che è arrivato, in questi giorni, persino a difendere il “profilo istituzionale” di uno come Vincenzo Visco in nome di un rinnovato governismo, della “credibilità di Bankitalia all’interno della BCE” e contro l’“antipolitica” di Renzi, concedendo, così, una serie di stupendi assist proprio al rinnovato furore iconoclasta di Renzi stesso.
Prima si comprende che questi sono i soliti binari morti di un ceto politico alla caccia disperata di un posto al sole e prima si potrà cominciare a lavorare ad una concreta e credibile ipotesi di opposizione e di alternativa nel paese per il paese che passa, certamente, per la costruzione di un fronte ampio cominciando però dal rompere subito ogni ambiguità riguardo le politiche dell’attuale governo che, come tutti gli altri, agisce in nome e per conto dell’Unione Europa mediante quel noto “pilota automatico” (definizione di Mario Draghi) per cui, qualsiasi siano e saranno le condizioni politiche e/o economiche dei paesi dell’area euro, qualsiasi sia il governo in carica nulla potrà fermare una serie di atti già definiti dall’Unione Europea e dalla Banca Centrale Europea.
Il primo appuntamento è con la manifestazione nazionale, il prossimo 11 novembre a Roma, contro la gabbia dell’Unione Europea promossa dalla Piattaforma Eurostop.
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