Con un voto storico, il parlamento di Barcellona ha proclamato la Repubblica Catalana, sconfessando quei settori dello stesso movimento sovranista che fino a ieri avevano tentato di azzerare un lungo e articolato processo popolare.
La reazione politica e popolare all’annuncio di ieri di Puigdemont – scioglimento del Parlament ed elezioni, di fatto un ritorno alla casella d’inizio – è stata immediata e forte, evitando la svendita di un enorme patrimonio di lotta, di coscienza e di organizzazione accumulato negli ultimi anni. Un patrimonio che, di fronte a uno scenario ‘greco’, di abbandono del conflitto in nome del compromesso al ribasso e delle compatibilità di sistema, avrebbe rischiato di essere spazzato via, preda della disillusione e del reflusso.
Come era avvenuto ad Atene con il voltafaccia del governo Tsipras nei confronti di un popolo greco che aveva compattamente risposto ‘oxi’ ai diktat della Troika, il movimento popolare catalano ha rischiato di trovarsi la strada sbarrata dalla propria classe dirigente prima ancora che dall’avversario.
Al conflitto, alla mobilitazione popolare e alla disobbedienza organizzata di massa che potrebbero mettere in dubbio non solo lo status quo nazionale ma anche quello sociale ed economico, intaccando così i privilegi di classe delle elites catalane, la classe dirigente catalanista preferirebbe sicuramente l’avvio di un nuovo negoziato, il ritorno ad un livello accettabile di vertenzialità con lo Stato Centrale tutto interno alle istituzioni e alle stanze di palazzo. Un modo per marginalizzare il protagonismo di quel movimento popolare e dei lavoratori che, seppur con gradi di coscienza diversi al suo interno, ha dato una grande dimostrazione di forza prima col referendum del 1 ottobre e poi con lo sciopero generale del 3 ottobre.
Sul tentativo di Puigdemont hanno influito sicuramente la “mediazione” e le pressioni di personaggi oscuri come il basco Urkullu – rappresentante della borghesia autonomista basca – e il catalano Mas (ex leader della Generalitat feroce nemico degli interessi popolari ed esecutore del liberismo e della repressione ordinate da Bruxelles e Madrid ai tempi della cura da cavallo della Troika) così come dei dirigenti catalani del Partito Socialista e di Podemos. E sicuramente non sono mancate le pressioni da parte dell’Unione Europea e delle lobby economiche interessate alla stabilità e allo status quo.
Ma il blitz di Puigdemont ha sortito l’effetto contrario a quello sperato, rafforzando le componenti coerentemente indipendentiste e di classe del movimento catalano, mentre sul fronte opposto le istituzioni dello Stato Spagnolo chiarivano che nessun passo indietro del Govern, per quanto ampio, avrebbe evitato l’applicazione dell’articolo 155 e il golpe istituzionale in Catalogna.
Non sembra proprio che il ‘regime del '78’ che regge lo Stato Spagnolo dalla morte di Franco sia disponibile a fornire una sponda ai settori meno coraggiosi dello schieramento indipendentista catalano. Al contrario, le destre politiche ed economiche spagnole hanno avviato una vera e propria crociata contro il nemico interno e sembrano intenzionate a portarla fino in fondo, umiliando e annichilendo gli avversari, a maggior ragione quando si mostrano deboli.
A molti può sembrare paradossale che ai passi indietro dell’autonomismo catalano il nazionalismo spagnolo risponda con un aumento della repressione, invece che con la trattativa. Ma l’atteggiamento sciovinista e intransigente di Madrid non è affatto contraddittorio, visto il carattere reazionario del regime frutto dell’autoriforma della dittatura franchista alla fine degli anni ’70.
Ora Madrid scatenerà la repressione in Catalogna e nel resto dello stato in una forma ancora più massiccia e indiscriminata che nelle scorse settimane. Lo Stato, forte del sostegno dell’Unione Europea e dei principali governi, utilizzerà tutti i mezzi a sua disposizione, compresi quei fascisti che il risveglio dello sciovinismo spagnolo e la tolleranza degli apparati di sicurezza ha riportato nelle strade.
Per difendersi e affermarsi, al di là della formale proclamazione parlamentare, la Repubblica Catalana dovrà appoggiarsi all’organizzazione, alla coscienza e alla resistenza popolare ben oltre gli importanti ma spesso simbolici atti di disobbedienza civile degli ultimi mesi.
E’ prevedibile che Madrid reagisca con un’impennata degli arresti, delle denunce, della censura.
Per resistere e costruirsi come elemento di rottura progressista contro lo Stato Spagnolo e la gabbia imposta dall’Unione Europea, la Repubblica e le forze della sinistra di classe catalane avranno bisogno di tutta la solidarietà possibile da parte dei movimenti antagonisti europei.
A Barcellona nei prossimi giorni si gioca una partita che riguarda il futuro di tutto il continente, e i comunisti non possono certo rimanere alla finestra perché paralizzati da pregiudizi e formulazioni ideologiche astratte.
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