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21/10/2017

Iraq - Baghdad strappa a Erbil l'intera provincia di Kirkuk

L’intera provincia di Kirkuk è sotto il controllo del governo centrale di Baghdad: dopo la ripresa dell’ultima città del distretto, Altun Kupri, a poche decine di chilometri da Erbil, non ci sono più peshmerga nella principale area contesa del paese.
 
Stavolta, a differenza della città di Kirkuk e di Sinjar, scontri ce ne sono stati: colpi di mortaio e di artiglieria da entrambe le parti sono andati avanti per alcune ore ieri mattina prima della ritirata dei kurdi che, prima di arretrare, hanno fatto saltare in aria il ponte che da Altun Kupri porta alla capitale del Kurdistan iracheno.

Dopotutto le truppe irachene e le milizie sciite sono a soli 25 km da Erbil. Ma non avanzeranno oltre, assicura Baghdad: l’obiettivo, ripetono i vertici iracheni, non è invadere la regione autonoma ma tornare ai confini precedenti al 2014. È intervenuto lo stesso premier iracheno al-Abadi che ha ordinato all’esercito di fermarsi e non entrare a Erbil, ma di rispettare le frontiere ufficiali definite nel 2003 dopo la caduta di Saddam Hussein.

Dal Kurdistan iracheno le reazioni sono blande, nella consapevolezza che a rischio non c’è tanto il referendum per l’indipendenza quanto l’autonomia già ottenuta quasi 30 anni fa. Le tensioni esterne si riverberano all’interno con polemiche politiche tra i due principali partiti kurdi, il Kdp del presidente Barzani e il Puk dei Talabani, con il primo che accusa il secondo di aver ordinato la ritirata da Kirkuk senza combattere.

Alla crisi interna irachena si aggiungono altri attori. Il leader religioso sciita Moqtada al-Sadr ha annunciato ieri l’invio delle sue Brigate della Pace – l’ex esercito del Mahdi, protagonista della resistenza anti-statunitense nel decennio passato – a Kirkuk, a sostegno dell’esercito iracheno. Al fianco, dunque, di quelle milizie sciite legate all’Iran rivali di al-Sadr. Ma il religioso sa di doversi giocare le sue carte dopo aver trascorso gli ultimi anni a togliersi di dosso l’etichetta sciita per indossare i panni del leader nazionale e non settario, che lo hanno portato fino in Arabia Saudita in chiave anti-Iran.

Interviene anche il Dipartimento di Stato Usa, alleato di Baghdad quanto di Erbil, nel mirino di tanti peshmerga che in queste ore affidano alla stampa la rabbia per il mancato intervento della coalizione al loro fianco. Gli Stati Uniti hanno chiesto ieri a Baghdad di fermare le truppe e di non ingaggiare altri scontri con quelle kurde nelle aree contese. Aggiungono però un elemento in pù: le aree contese restano tali, l’avanzata di Baghdad non ne modifica lo status a favore del governo centrale.

Dichiarazioni che dovrebbero aprire al negoziato, un dialogo chiaramente difficile: quelle zone sono le più ricche di greggio dell’intero Iraq, fonte di ricchezza inestimabile. Soprattutto per Erbil in grave crisi economica: dall’avanzata delle truppe irachene su Kirkuk le esportazioni di greggio attraverso l’oleodotto che arriva alla cita turca di Ceyhan sono crollate di due terzi. Meno di 200mila barili al giorno, invece dei 600mila precedenti.

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