Prima di procedere con i miei ragionamenti vorrei ringraziare il Professor Guglielmo Carchedi – il compagno Mino come lui stesso tiene ad essere chiamato – e i compagni della Rete dei Comunisti / Noi restiamo, che hanno reso possibile l’esposizione delle tematiche contenute nel saggio “Sulle orme di Marx, lavoro mentale e classe operaia”.
Come ho avuto il piacere di comunicare viso a viso ieri sera a Mino, in quel di Genova, pur facendo parte dei comunisti quasi completamente a digiuno di teoria marxista, le tesi contenute nel saggio in oggetto sono state per me un fulmine a ciel sereno, perché descrivono con aderenza pressoché completa le dinamiche dell’ambiente produttivo e sociale in cui mi trovo a vivere: quello della ricerca “capitalisticamente intesa”, per capirci il modello MIT/Stanford nel mondo anglosassone o quello della società Max Planck per quel che riguarda l’UE a trazione tedesca.
Per il sottoscritto è stata, quindi, una sorpresa notevolissima apprendere che Mino non ha desunto i suoi enunciati partendo da un ambiente di riferimento in cui si è trovato immerso, ma li ha costruiti attraverso la sola teorizzazione scientifica. Questo fatto a mio parere amplifica notevolmente la caratura, di per se già elevata, delle sue articolazioni e mi consente di abbozzare qualche punto di riflessione derivante dagli sviluppi dello stato di cose presenti.
Anzitutto – è ridondante ricordarlo ma visti i tempi è necessario battere il ferro finché è caldo – il lavoro di Mino credo possa considerarsi il punto di arrivo, al momento più elevato, di quel tormentato processo d’affrancamento del pensiero comunista occidentale dalle sirene incantatrici dell’operaismo prima e del negrismo poi.
Ora siamo finalmente dotati della conoscenza – per giunta espresso con linguaggio fruibile anche in un mondo completamente disabituato a qualsivoglia complessità di pensiero strutturale – utile a disarticolare scientificamente quelle tesi che da 40 anni hanno costantemente messo il “carro avanti ai buoi”, producendo un arretramento intellettuale e di percezione da parte della classe operaia che, nella storia moderna, trova pochi precedenti di simile portata.
Ciò non significa, ovviamente, che il “Medioevo” sia definitivamente alle nostre spalle, tuttavia una breccia è stata finalmente aperta nel grigiore del post-modernismo, non si può che rallegrarsi di un simile scenario e adoperarsi per ampliarla sempre di più.
Il saggio del compagno Mino, inoltre, analizzando la composizione di classe dei lavoratori mentali, si colloca all’avanguardia anche per quel che concerne l’analisi politica più contingente della società occidentale odierna, quella intorno a cui sono stati spesi fiumi d’inchiostro, tanto dal pensiero liberale quando da quello, più composito, di sinistra.
Mi riferisco in particolare a quel conglomerato di soggetti brillantemente identificato da Carlo Formenti con il termine “cognitariato”.
Proprio Formenti, nel corso delle sue elaborazioni è stato tra i primi a criticare frontalmente le teorie post-operaiste e la vulgata mutuata da Negri relativa al ruolo libertario ed affrancatrice rispetto alle catene del capitale insito nella rivoluzione digitale e nell’espansione delle mansioni mentali legate ai processi di informatizzazione della filiera manifatturiera, logistica e finanziaria del modo di produzione capitalista.
Lo stesso Formenti, pur avendo smascherato empiricamente la natura intimamente proletaria di quella schiera di lavoratori, sì è anche incaricato di sottolineare come l’atomizzazione dei processi produttivi capitalistici, unita alla diffusione a sinistra degli abbagli operaisti-negriani, abbia consegnato questa nuova generazione di sfruttati nelle mani del pensiero liberale, che ha potuto quindi concludere, a livello sociale, la costruzione di quell’ampio bacino di consenso che in Italia prese avvio con la famigerata “marcia dei 40 mila” di Torino del 1980.
Sostiene, dunque, Formenti che, stante l’attuale situazione di egemonia liberale sui “cognitari”, le energie di quella sinistra che si vuole rivoluzionaria debbano essere indirizzate verso le fasce di proletariato in cui lo sfruttamento morde ancora nel vivo la carne: operai della logistica, della grande distribuzione, migranti e, aggiungerei io viste le cronache più recenti, studenti messi gratuitamente a valore con la “storiella” dell’alternanza scuola-lavoro.
Personalmente concordo con Formenti, ma credo sia necessario fare alcune precisazioni determinate dall’intreccio tra le sue tesi e quelle di Mino alla luce dal rapido evolversi della competizione globale conseguente al tramonto dell’unipolarismo statunitense.
L’universo del lavoro mentale, infatti, con particolare riferimento alle multinazionali del digitale/alta tecnologia (Hp, Microsoft, Intel, Oracle, IBM, ecc.) ormai da un lustro abbondante è soggetto a dinamiche di accentramento e razionalizzazione che stanno espellendo dal circuito del lavoro fasce sempre più ampie di addetti ad alta qualificazione, che fino al ricevimento della lettera di licenziamento si percepivano come organici alle élite dominanti.
Data la composizione della conoscenza di cui sono portatori suddetti “esclusi”, e pur restando un punto fermo il fatto che parte dei “cognitari” rimarrà fisiologicamente organica al capitale – in fin dei conti la cosiddetta aristocrazia operaia non è novità dei nostri giorni – penso sia necessario tentare di innervarne almeno una parte, facendo leva sulla contraddizione, di questi tempi sempre più insanabile, tra aspettative di realizzazione personale/sociale e cruda realtà.
L’operazione penso sia importante non soltanto al mero fine statistico di allargare il fronte rivoluzionario, ma anche per sussumere agli interessi di classe almeno una parte di conoscenza dalla quale le masse lavoratrici sono sempre più espunte, ma che risulta comunque essenziale, nell’ottica sostenuta da Mino, di crearne di nuova ed antitetica al capitale.
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