Qualcuno si domanda ancora perché la “sinistra” sia divenuta nel
frattempo sinonimo di liberismo. La mozione “democratica”,
mediaticamente protagonista di questi giorni, svela il ruolo di questa
sinistra di complemento, elettoralmente barricadera e politicamente
veicolo principale del sistema ordoliberale europeista. Il merito della
mozione promossa da Renzi – la richiesta di discontinuità dell’azione
di vigilanza di Bankitalia – è in sé poca cosa e rispondente unicamente
a interessi di posizionamento elettoralistico. Più in generale però il senso di
quella mozione appare condivisibile: la politica deve poter controllare
e valutare l’azione della banca centrale. Un’azione, come sappiamo, dal
1981 libera da qualsiasi vincolo politico.
Proprio qui si situa uno dei cardini fondamentali dell’ideologia
euro-liberista: le politiche monetarie non avrebbero colore politico, ma
dovrebbero rispondere esclusivamente alle disposizioni tecniche insite
nella governance stabilita tra centri studi, mercati finanziari
e agenzie di rating. Una spirale perversa che ha cambiato l’indirizzo
politico della nostra Costituzione senza che su questo
stravolgimento ci sia mai stato un pronunciamento pubblico referendario
(anche perché, tutte le volte che ci si è potuti esprimere, la
popolazione ha bocciato ogni controriforma costituzionale). Infatti, «lo
spirito e gli obiettivi dei Trattati europei, tradotti in apposite
norme giuridiche, vengono concentrati sulla stabilità dei prezzi,
unico e isolato obiettivo cardine dell’impalcatura finanziaria europea.
“Nei trattati europei l’obiettivo della stabilità dei prezzi viene di
fatto sovraordinato a tutti gli altri [...] La lotta alla disoccupazione
diviene quindi secondaria [...]» (qui).
La mozione Renzi andava si sottoposta a critica, ma una critica che
svelasse le contraddizioni tra l’opportunismo elettoralistico attuale e
l’azione politica di un partito (il Pd) fautore primo
dell’inderogabilità liberista, della “stabilità dei prezzi”, del
monetarismo quale orizzonte politico-economico, eccetera. E invece cosa è
riuscita a partorire la “sinistra di lotta” oggi alla ricerca di una
poltrona nel nuovo Parlamento? Un’alzata di scudi in «difesa
dell’autonomia della Banca d’Italia» e della sua «indipendenza dalla
politica» (qui Campo progressista, qui Mdp). Ma è proprio questa indipendenza che andrebbe scardinata, proprio perché vincolo basilare di ogni azione politica liberista. Superfluo ricordare, infatti, che si situa proprio nella separazione tra
Banca d’Italia e Ministero del Tesoro l’impennata del debito pubblico e
l’avvio della stagione della moderazione salariale grazie alla fine
della cosiddetta “scala mobile”, cioè dell’adeguamento naturale dei
salari all’inflazione reale (uno e due
articoli utili a comprendere le ragioni della restaurazione liberista
insita nella riforma del 1981). E invece il dibattito alla rovescia
presente da troppo tempo nel nostro paese porta la “sinistra” a dire
cose di destra, alla destra di rimanere coerente con la propria
impostazione ideologica, e il populismo a declinare malamente quel rifiuto dello
status quo che pure permane non completamente pacificato nella
popolazione. Un dibattito pubblico senza vie d’uscita, ma che ci lascia
almeno una convinzione: non ci sarà rinascita senza la definitiva
scomparsa politico-elettorale di qualsiasi partito liberista “a
sinistra” del Pd.
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