I cortei, che avevano l’intenzione di raggiungere il centro della città, erano costituiti da donne, uomini e bambini; furono aggrediti dalla polizia a colpi di bastone e di armi da fuoco, vennero uccisi, gettati vivi nella Senna ed alcuni furono ritrovati impiccati nei boschi. Si calcolano dai 200 ai 300 morti più alcune migliaia di feriti.
Lungo Senna: Ici on noié les algeriens (qui si annegano gli algerini)
Cercando di capire come si era arrivati a questa violenza raccontiamo nei particolari questo evento raccapricciante, forse il più grave massacro di lavoratori avvenuto in Europa nel secolo scorso.
Perché è poco ricordato e/o dimenticato? La risposta è incredibilmente semplice: perché le vittime erano tutte algerine, erano solo degli immigrati, gente proveniente da quella parte del mondo considerata come una civiltà indiscutibilmente inferiore alla “civiltà occidentale”.
Gli antefatti
Le forze coloniali francesi rinchiusero dietro i reticolati oltre 1 milione di algerini. Furono detti “campi di raggruppamento” e “centri di internamento”, ove, secondo le dichiarazioni delle stesse autorità francesi, le malattie e la mortalità raggiunsero cifre normalmente alte.
I cosiddetti campi di “raggruppamento” racchiudevano le popolazioni fatte evacuare da zone di particolare interesse militare (epicentri della guerra di guerriglia) mentre nei centri di “internamento” venivano inviati, direttamente o dopo un periodo trascorso nelle carceri o nelle sedi della polizia e dell’esercito francese, i “sospetti”.
I lavoratori immigrati algerini in Francia erano centinaia di migliaia, concentrati principalmente nelle zone industriali, particolarmente in quella di Parigi; svolgevano i lavori più pesanti e pericolosi, costituivano una mano d’opera a basso prezzo, di giorno lavoravano nelle fabbriche, finito il turno di lavoro sparivano per rientrare nei centri di accoglienza appositamente predisposti per i lavoratori stranieri. Le leggi d’allora non prevedevano la presenza delle mogli e dei figli; chi decideva di farsi raggiungere dalla famiglia doveva abbandonare il centro d’accoglienza e costruirsi un ricovero precario di assi e lamiere in qualche periferia.
E’ in quest’ambiente di degrado e sfruttamento che nascono, già nel 1930, i primi movimenti indipendentisti, di solito costituiti da operai che si erano politicizzati aderendo al PC francese, ma che se ne erano poi staccati a causa dello scarso impegno del PCF sui problemi dell’oppressione coloniale.
Ricordiamo che la Francia aveva invaso e occupato l’Algeria nel 1830, ci furono significativi momenti di resistenza da parte degli algerini e solo nel 1879 si può considerare conclusa la dominazione francese; daremo informazioni più complete in calce all’articolo.
Nel 1954 però una parte del movimento indipendentista algerino, l’F.L.N. (Fronte di Liberazione Nazionale) passò all’azione contro le forze occupanti guadagnando l’egemonia su tutto il movimento di liberazione e una forte simpatia degli algerini immigrati in Francia. Fu l’inizio di una lunga e sanguinosa guerra che vide l’utilizzo da parte francese di ogni mezzo, fra cui torture e stermini di massa, e, da parte algerina, di una guerriglia partigiana fatta di sabotaggi e attentati.
Nell’agosto del 1956 ci fu il primo attentato con una bomba che provocò numerose vittime tra i francesi residenti ad Algeri; è stato ampiamente dimostrato che l'ordigno fu fatto esplodere a scopo di provocazione da un gruppo di “ultras” francesi.
Nel novembre del 1956 si ha il primo clamoroso e cruento attentato algerino al “Milk Bar” di Algeri, protagonista Djamila Buhirèd che divenne il simbolo della donna militante della rivoluzione algerina.
Donne della resistenza. La prima a destra è Djamila Buhirèd
Nel dicembre del 1956, Amédée Froger, presidente dell’Interfederazione dei sindaci d’Algeria, venne giustiziato in strada da un militante algerino. La sua uccisione provocò, ad Algeri, una terrificante caccia all’arabo. Fu allora che il generale dei paracadutisti Jacques Massu fu mandato ad Algeri.
Nel 1957 ebbe mano libera dal governo francese per annientare la lotta armata organizzata dal F.L.N. nelle città algerine. Massu si concentrò in particolare sul cuore e sul cervello della guerriglia, che aveva sede ad Algeri, utilizzò tecniche d’infiltrazione, mediante spie e confidenti, che unite alle classiche vessazioni, torture e uccisioni, riuscì a scompaginare una gran parte della rete del FNL.
Questa fu una sconfitta pesante sul piano militare che costrinse il Fronte ad operare un cambio di strategia e cioè intervenire in modo incisivo direttamente nel territorio francese; tale scelta si concretizzò con la formazione di una serie di reti organizzative: sostanzialmente una “Federazione di Francia” del F.L.N.
Queste reti di sostegno ebbero una funzione importantissima poiché non solo sensibilizzarono i lavoratori algerini immigrati, ma furono fondamentali per raccogliere aiuti finanziari che fornirono all’organizzazione i mezzi per approvvigionarsi di armamenti, di medicinali nonché permettere ai dirigenti del F.L.N. di andare all’estero per prendere contatti con organizzazioni internazionali.
La Federazione di Francia aveva anche il compito di entrare in contatto con gli intellettuali francesi progressisti e con il mondo della cultura in generale, per far conoscere le condizioni della dominazione spietata subita dal popolo algerino; c’era altresì la necessità di portare il conflitto in Francia per rendere evidente, al popolo francese e al mondo intero, qual era il vero volto della tanto decantata “grandeur” della Repubblica Francese.
Così anche in terra di Francia avvenne lo scontro, uno scontro duro e spietato fatto di attentati, repressioni, torture, esecuzioni sommarie, linciaggi, caccia all’uomo e ogni nefandezza che la guerra inevitabilmente scatena.
I servizi segreti francesi crearono anche una finta organizzazione terroristica, La Main Rouge, per eliminare fisicamente i sostenitori del Fronte di Liberazione.
Sui lavoratori algerini di Francia intanto l’egemonia del F.L.N. si era ormai consolidata e su di loro si abbatterono le famigerate ratonnades (cacce ai topi) della polizia.
In Francia la tensione crebbe di giorno in giorno così il governo decise di mandare a Parigi, nel 1958, un nuovo prefetto nella persona di Maurice Papon, per meglio controllare e contrastare le azioni dei militanti algerini del FLN.
Su Papon c’è una scheda completa in calce all’articolo per ora diremo solo che costui fu:
- del partito radical-socialista e funzionario nei governi del “fronte popolare” del 1930;
- collaborazionista del governo nazista di Vichy con compiti di rastrellamento degli ebrei e loro invio in Germania;
- ispettore nel 1956 a Costantina (importante città algerina) in cui compie una feroce repressione con dosi massicce di torture;
- prefetto a Parigi dal 1958 al 1967;
- ministro nel governo Barre sotto la presidenza di Giscard d’Estaing (1980);
Siamo nel Gennaio 1961, presidente della repubblica il generale De Gaulle che indisse un referendum sull’autodeterminazione dell’Algeria: i francesi, stanchi di questa guerra, si espressero con il 75,2% a favore dell’autodeterminazione. L’esercito francese rimase sconvolto da questo risultato (per loro assolutamente inaspettato) e dalle sue file più reazionarie nacque l’organizzazione segreta O.A.S. (Organisation de l’Arme Secrète) che terrorizzò sia gli algerini, sia i francesi che si erano espressi per l’autodeterminazione, di conseguenza le repressioni e gli attentati si moltiplicarono.
A Parigi, una serie di attentati alle caserme della polizia fece 11 vittime, fu questo il motivo che dette il pretesto, al prefetto Maurice Papon, il giorno 5 ottobre 1961, ad emettere i seguenti ordini:
- coprifuoco dalle 20,30 alle 5,30 per i “francesi musulmani d’Algeria”;
- i locali pubblici, frequentati o di proprietà di algerini, dovranno essere chiusi tutti giorni alle ore 19.
Il clima a Parigi divenne spaventoso, agli algerini fu concesso appena il tempo per andare e tornare dal lavoro; la vita dei lavoratori algerini si trasformò in un inferno, come fossero in un campo di concentramento.
La Federazione di Francia del FLN, valutò che fosse giunta l’ora di mobilitare il movimento di massa per disobbedire all’ordine imposto dal coprifuoco.
Senza alcun manifesto od ordini scritti, ma semplicemente con un passaparola, il Fronte chiamò gli algerini ad uscire di casa alle ore 20.30 del 17 Ottobre. Invitò/ordinò di uscire tutti, con mogli e figli, in massa, ben vestiti, con le tasche e le eventuali borse completamente vuote, senza nulla che potesse essere considerata un arma, con un comportamento assolutamente pacifico, avviarsi camminando nelle vie e nelle piazze principali di Parigi per poi raggiungere Place de l’Opera.
Le parole d’ordine da scandire furono essenzialmente tre: “ALGERIA ALGERINA” “PACE” “NEGOZIATI CON IL FLN”;
L’organizzazione era stata perfetta, così perfetta che Maurice Papon, il prefetto, seppe solo alle 16,30 della manifestazione e mobilitò immediatamente le forze dell’ordine, si consultò con il ministro degli interni, Roger Frey, ordinò alle forze di polizia di contrastare, con qualsiasi mezzo, i manifestanti, in modo che non potessero raggiungere i luoghi di raduno.
C’è da ricordare che il “Papon”, stante il clima parigino creatosi dopo il suo ordine di coprifuoco del 5 Ottobre, fece una visita, alcuni giorni dopo, in varie caserme e posti di polizia eccitando e rassicurando gli agenti con queste parole:
“REGOLATE I VOSTRI CONTI CON GLI ALGERINI.
QUALSIASI COSA ACCADA, SIETE COPERTI!”
I fatti
I manifestanti furono circa 30.000, già questo numero dice che fu un successo senza precedenti, uomini e donne nonostante la forte repressione sfidavano il governo francese nella sua capitale.
Gli algerini furono attesi alle stazioni del metrò e nei punti strategici della città, si attuarono immediatamente dei posti di blocco, migliaia di agenti e perfino i vigili del fuoco furono mobilitati. Alle 21.50 i poliziotti iniziarono a caricare i manifestanti e a sparare, fu l’inizio di una vera e propria mattanza. Migliaia di persone furono fermate, bloccate all’interno dei mezzi di trasporto, sequestrate nelle stazioni della metropolitana, richiuse negli stadi, e nei cortili delle stazioni di polizia. Gli algerini furono picchiati, arrestati, massacrati di botte, mentre altri furono uccisi con colpi sparati a bruciapelo e poi buttati, vivi o morti, nelle acque della Senna.
I numerosi algerini fermati furono ammassati per diversi giorni, in condizioni igieniche spaventose, picchiati costantemente dai poliziotti che li insultavano chiamandoli “sporchi arabi”.
Al palazzo dello sport i prigionieri terrorizzati non osavano neanche andare al bagno, perché la maggior parte di quelli che lo avevano fatto erano stati uccisi.
Il bilancio finale fu tragico, si calcola un numero imprecisato di morti, dai 150 ai 300 più alcune migliaia di feriti; un vero e proprio massacro, come quelli che la Francia era normalmente abituata a fare nelle sue colonie e di cui pochissimi erano informati.
Il prefetto Papon disse che c’erano stati solo 2 morti algerini e 1 morto francese, 64 feriti e 11.538 arresti.
Ma per molti giorni la Senna continuò a restituire cadaveri con i visi tumefatti, ferite alla testa, evirazioni e colpi d’arma da fuoco nel ventre; queste decine di cadaveri che galleggiavano non potevano più permettere al cittadino parigino di ignorare la realtà.
L’impressionante repressione non bloccò però la lotta, infatti il giorno successivo, il 18 Ottobre, entrarono in sciopero generale i commercianti algerini.
Due giorni dopo, il 20 Ottobre, le donne algerine scesero in piazza a manifestare contro la repressione.
In tutte le città più grandi della Francia ci furono scioperi fatti da operai algerini. Si può affermare che la reazione operaia alla mattanza del 17 Ottobre fu tiepida, gli operai avevano paura. Alle officine Renault gli operai francesi non scioperano limitandosi, in un migliaio, a riunirsi in assemblea; alla Sorbonne si segnalarono manifestazioni di studenti e insegnanti.
Trascorsi appena dieci giorni dal massacro, il 27 Ottobre ci fu uno sciopero della fame nelle carceri parigine e, durante le proteste in strada, la polizia arrestò un militante algerino, lo strangolò e lo gettò nella Senna.
Quattro mesi dopo la mattanza del 17 Ottobre 1961, siamo a Febbraio del 1962, cioè un mese prima dell’ottenimento dell’indipendenza, che fu poi formalizzato a Evian nell’Aprile del 1962, quando l’OAS (Orgasition Armée Secrète) con l’intento di bloccare la ormai prossima indipendenza algerina, compì un sanguinoso attentato nel cuore di Parigi in cui rimase uccisa una bimba di quattro anni.
Questo fatto scosse fortemente la popolazione francese e spinse le forze progressiste sindacali e politiche a scendere in piazza.
Il prefetto, il solito Papon, con il consenso del governo, proibì la manifestazione, ma i sindacati, CGT (Confédérations Général du travail) e CFTC (Confédération francaise des travailleurs chrétiens) e il PCF (Partito Comunista francese) non si spaventarono e chiamarono ugualmente la popolazione a partecipare per dimostrare indignazione, protestare contro il terrorismo dell’OAS, per il rispetto della democrazia.
La componente maggioritaria del corteo era costituita da operai francesi, quando il corteo giunse nei pressi della stazione del metrò Charonne, fu attaccato violentemente dalla polizia che non si limitò ai manganelli ma sparò sul corteo uccidendo ben 8 persone, una nona morì qualche giorno dopo in seguito alle ferite riportate. Tutti i 9 morti erano militanti comunisti iscritti al PCF.
500.000 persone scesero nelle strade di Parigi per seguire il funerale delle 9 vittime che vennero sepolte nel cimitero Père Lachaise.
(Per dovere di cronaca dobbiamo dire che i nomi di queste nove vittime che, come già detto erano tutte francesi, furono, giustamente rese note, ma ancor oggi non si conosce un solo nome delle centinaia di algerini uccisi il 17 Ottobre 1961).
Sul massacro del 17 Ottobre, l’allora presidente della Repubblica Charles De Gaulle fece la seguente dichiarazione: “Ciò che è accaduto è inammissibile ma secondario”.
Del resto, ancor oggi, la Francia non ha riconosciuto il massacro degli algerini.
Siamo oggi nell’ottobre 2017, sono passati 56 anni da quell’ottobre di sangue e violenza, 56 anni in cui lo stato francese non solo non ha ammesso le sue responsabilità, ma ha continuato a raccontare menzogne e/o a mantenere un rassicurante silenzio.
A questo silenzio si adeguarono la maggior parte degli storici e degli intellettuali, i giornali di quegli anni non dettero la notizia, salvo i pochi che elenchiamo qui di seguito.
Poche le voci contrarie, poche ma autorevoli e stimabili:
- lo storico Pierre Vidal-Naquet parlò di un bilancio che va dai 200 ai 300 morti, mentre ancor oggi le fonti ufficiali, dichiarano che le vittime siano state solo qualche decina, esattamente 48 secondo l’avvocato della corte di Cassazione Geronimi;
- il giornale HUMANITE’ organo del PCF;
- la rivista TESTIMONIANZE CRISTIANE, giornale cattolico di base;
- il giornale interno di un ala minoritaria del PCF, L’ETINCELLE;
- Victor Leduc e Pierre Vernant animatori del periodico VOIES NOUVELLES;
- la rivista TEMPS MODERNES;
- il filosofo Jean Paul Sartre;
- lo storico inglese Jim House che ha condotto indagini sull’evento e calcola 120-130 morti;
- lo storico francese Benjamin Stora stima che la repressione abbia fatto centinaia di morti.
- Jean Luc Einaudi avvia un notevole lavoro di ricerca. Pubblica un libro “La bataille de Paris”. Il libro esce nel trentesimo anniversario del 17 Ottobre, e cioè nel 1991, ed è un fatto che sconvolge i lettori francesi, il libro segue ora per ora lo svolgimento dei fatti ed il lavoro di Einaudi ha il merito di suscitare un dibattito sulla repressione degli algerini;
- Agnès Denis e Mehdi Lallaoui con il loro documentario “LE SILENCE DU FLEUVE”;
- Philip Brooks e Alan Hayling con il loro documentario “Une Journée portée disparu”;
- François Maspéro, editore e scrittore che pubblicò già a novembre del 1961, un libro sui fatti del 17 ottobre 1961.
- Il regista Alan Tosma, nel 2004, fece un film su questa mattanza intitolato “NUIT NOIR”.
Cenni storici sulla colonizzazione dell’Algeria
Nel 1830 la Francia occupò la città di Algeri e poi gradualmente continuò a estendere il suo dominio su tutto il territorio algerino.
Gli algerini fecero resistenza a questa invasione e tale resistenza durò fino al 1857; l’esercito francese però solo nel 1879 fu in grado di affermare conclusa la dominazione sull’intera Algeria.
La Cabilia, regione montagnosa dell’Algeria, aveva una tradizione storica di autonomia e indipendenza che risaliva ai tempi dell’epoca romana, che continuò anche con le successive conquiste (araba nel VII secolo e turca nel XVI), resistette all’invasione francese del 1830 e si arrese solo nel 1857.
Nel 1871 la Cabilia fu tra le regioni algerine quella che, con maggior forza, aderì alla sollevazione contro il perdurare dell’occupazione francese.
I Kabili sconfitti subirono una feroce repressione e la confisca delle loro terre migliori.
Nel 1915 i Kabili si ribellarono nuovamente, sempre per la pesante dominazione coloniale e per la coscrizione obbligatoria imposta dalla Francia; intervennero due divisioni francesi che impiegarono quasi un mese per domare la rivolta. Gli insorti furono fucilati a centinaia e i villaggi distrutti furono decine.
Nel maggio del 1945, al momento della capitolazione tedesca, avvenne un nuovo sollevamento dei Kabili, con epicentro nelle cittadine di Setif e Ghelma.
Nelle susseguenti azioni di rappresaglia, da parte dell’esercito francese, furono massacrate alcune migliaia di arabi (secondo Frantz Fanon furono 45.000).
Nel 1954, dopo discussioni e lotte all’interno del movimento indipendentista, si costituisce in Algeria il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) ed inizia la lotta per l’indipendenza del Paese.
All’inizio del 1954 le forze militari in Algeria erano di 90.000 uomini, ma tale cifra si incrementò vistosamente arrivando, nell’agosto del 1956, a 400.000.
Nel 1956 l’allora primo ministro, il socialista Guy Mollet, nomina ispettore generale a Costantina, una delle principali città dell’Algeria, Maurice Papon (ex collaborazionista di Vichy) con ampi poteri su di un vasto territorio. Sotto la sua supervisione l’utilizzo della tortura esplode e le cifre della repressione sono impressionanti: 10.282 morti, 117.000 deportati.
Il 22 ottobre 1956 aerei da caccia francesi, per ordine di Guy Mollet, fecero dirottare un aereo di linea marocchina, proveniente da Rabat con destinazione Tunisi. Sull’aereo si trovavano, diretti alla prima Conferenza maghrebina, quattro dei capi storici della rivoluzione algerina (tra i quali Ben Bella), erano membri del CNRA (Consiglio Nazionale della Rivoluzione Algerina) primo organismo direttivo politico militare della rivoluzione.
I quattro rimasero detenuti in Francia sino alla firma degli accordi di Evian,1962.
Nel novembre del 1956 viene designato comandante in capo in Algeria il generale Raul Salan, delegato per l’Algeria con pieni poteri, civili e militari, il quale condusse campagne contro gli algerini estremamente cruente che furono chiamate campagne di pacificazione.
Nel marzo del 1957 i paracadutisti di Massu uccisero l’avvocato del foro di Algeri, Ahmèd Bumendjel, uno dei più esposti avvocati nella difesa dei patrioti algerini.
Il suo assassinio venne presentato all’opinione pubblica come un suicidio.
Nell’ottobre del 1957 veniva ultimata la linea Morice, uno sbarramento elettrico che correva lungo il confine algero-tunisino, con il quale si intendeva impedire il passaggio di uomini e materiale bellico attraverso quelle piste. Il suo ideatore era l’allora ministro della difesa e delle forze armate, il generale André Morice.
Sempre nello stesso anno fu creata un’organizzazione chiamata La Main Rouge, nome con il quale si coprivano le azioni delittuose dei servizi segreti francesi; tale struttura aveva, tra gli altri incarichi, il compito di impedire l’approvvigionamento di armi al F.L.N. (Fronte di Liberazione Nazionale) eliminando fisicamente sia il compratore che il venditore, senza far ricadere sospetti sui servizi segreti.
Era infatti presentata come l’emanazione di un gruppo di coloni integralisti francesi. Tale struttura fu creata durante il governo socialista di Guy Mollet (Febbraio 1956-Giugno 1957) e formata da agenti del Service Action dello SDECE (Servizio di Documentazione Estera e di Controspionaggio francese).
La Main Rouge, dal 1958, fu guidata dal consigliere personale del generale De Gaulle, Jacques Foccard in contatto diretto con il Primo ministro Michel Debré, con il generale Paul Grossin (capo dello SDECE) e con il colonnello Robert Roussillat capo di Service Action. Tutti i dossier relativi alle azioni eseguite furono distrutti ad operazioni ultimate.
Quando nel 1960 l’ex colonnello dei paracadutisti Massu, nel frattempo divenuto generale d’armata, venne richiamato in patria, si scatenò ad Algeri la sommossa detta delle barricate che fu la prima azione di tipo insurrezionale da parte degli oltranzisti francesi d’Algeria, contro la ricerca di una soluzione di compromesso perseguita da De Gaulle.
Il 20 gennaio 1961 a Madrid, sotto l’ala protettiva del regime franchista, fu creata O.A.S. (Organisation Armée Secrète) fondata da quattro generali ribelli a De Gaulle: Zeller, Challe, Jouhaud e Salan, i primi due poi si ritirarono mentre Jouhaud e Salan continuarono; Salan fu poi condannato a morte in contumacia, arrestato nella primavera del 1962 e condannato all’ergastolo, ma graziato da De Gaulle nel 1968. L’OAS operò in Algeria e nella Francia metropolitana.
Il 30 marzo 1961 veniva ucciso con una bomba al plastico, messa dall’OAS, Camille Blanc, sindaco di Evian, la cittadina destinata ad essere la sede delle trattative franco-algerine. L’attentatore fu condannato a vent’anni di carcere, ma anche lui, come Salan, fu graziato da De Gaulle nel 1968, alla vigilia delle elezioni politiche.
Tra il Maggio 1961 e il settembre 1962, l’OAS uccise 2700 persone, di cui 2400 erano algerini. Dal giorno della sua fondazione alla fine di settembre 1961, cioè in solo quattro mesi, l’OAS compì in Algeria e in Francia più di mille attentati, organizzò anche un attentato al generale De Gaulle che però fallì.
La sinistra francese e il colonialismo
Abbiamo illustrato gli antefatti, i fatti e una sintesi dell’occupazione francese in Algeria; ora trattiamo brevemente il ruolo che tennero i partiti della sinistra francese, SFIO e PCF, a proposito della questione coloniale e in particolare della guerra di liberazione algerina.
I due partiti di sinistra, nei confronti del colonialismo, ebbero un atteggiamento di accettazione con dei piccoli, insignificanti “distinguo” rispetto alla destra.
La sinistra francese del secolo scorso era rappresentata principalmente dal partito socialista che fu fondato nel 1882 da Jules Guesde e da Paul Lafargue (che aveva sposato la figlia di Carlo Marx) ed aveva il nome di Partito Operaio; poi nel corso degli anni fu attraversato da scissioni e fusioni con altre componenti operaie, sino a diventare nel 1905 SFIO acronimo di Sezione Francese dell’Internazionale Operaia. L’originario Partito Operaio era caratterizzato da una linea rivoluzionaria che nel passare degli anni mutò sia nel nome, sia negli intenti e sia nelle linee politiche, via via sempre più moderate.
La SFIO fu sciolta durante il regime collaborazionista di Vichy per poi rinascere, nel 1943; dopo questa data iniziarono una serie altalenante di scissioni e unioni, fino al nuovo cambio di nome che divenne PS nel 1969.
La partecipazione della SFIO al governo continuò l’impostazione coloniale della destra, favorendo anche l’inserimento di elementi compromessi con il regime di Vichy, come il prefetto Maurice Papon.
Il PCF nasce nel 1920 da una scissione dalla SFIO, tra i suoi fondatori ci fu anche Ho Chi Minh (a quei tempi operaio emigrato in Francia), nasce come partito marxista, poi si muove con una linea compromissoria con la SFIO, alternando periodi di collaborazione a periodi di autonomia. Mantenne sempre uno stretto rapporto con l’allora Unione Sovietica che, a differenza del PCF, era favorevole all’indipendenza dell’Algeria.
La linea tenuta rispetto al problema “Algeria” fu una linea che, di fatto, accettava la situazione in corso: ciò creò un notevole disorientamento fra i simpatizzanti e fra gli stessi iscritti.
Il PCF, pur non avendo in quel contesto responsabilità di governo, era dell’idea, affermata fino al 1958, che l’Algeria doveva rimanere unita alla Francia.
Maurice Thorez, segretario del PCF, era contro l’autodeterminazione dell’Algeria ed affermava che “Il diritto al divorzio non comporta l’obbligo di divorziare”.
Sostanzialmente i dirigenti del PCF erano contrari a tutti gli imperialismi, ma non a quello del loro paese. Il PCF parlerà d’indipendenza dell’Algeria, come prospettiva da raggiungere in un futuro certo, ma mai definito; questa è ancora nel 1958 la posizione del PCF.
All’interno del PCF c’era pure una componente minoritaria, contraria alle posizioni scioviniste della dirigenza del partito.
La minoranza di sinistra del PCF aveva criticato in particolare le seguenti posizioni assunte dal partito:
- la condanna che il PCF fece agli attentati fatti dal FLN nel 1954;
- il voto che approvava i poteri speciali concessi nel 1956 a Guy Mollet per l’Algeria;
- l’allontanamento dei comunisti iscritti che appoggiavano il FLN;
Il PCF non fece mai autocritica delle posizioni assunte nel periodo dell’occupazione francese dell’Algeria.
Riportiamo, a proposito del ruolo della sinistra francese, una parte dell’intervista fatta da Barbara Bertoncin e Anna Devoto a Francois Géze.[1]
Che posizione assunse la sinistra francese in questa vicenda?
La sinistra francese e gli intellettuali in generale a quell’epoca non lo consideravano un avvenimento importante. Di nuovo bisogna però considerare il contesto politico di allora: la maggioranza della sinistra francese era appiattita sulle posizioni del governo a favore della guerra e contro l’indipendenza dell’Algeria; d’altronde il partito socialista a quel tempo era la SFIO. Ed erano governi socialisti anche quelli che avevano cominciato la guerra, con Guy Mollet e François Mitterrand, che all’inizio della guerra era Ministro degli Interni.
I comunisti, che allora erano molto più egemoni di oggi, tennero una posizione più ambigua: la maggioranza del partito fu favorevole alla guerra (o perlomeno non contraria) e votò i pieni poteri a Guy Mollet; chi protestò, i militanti favorevoli all’Fln, fu espulso. Questo spiega perché, ad esempio, la maggioranza degli intellettuali francesi se ne tenne fuori. Quelli che si mobilitarono, dimostrando un impegno ammirevole, sia i “portatori di valigia”, che sostenevano la lotta algerina operativamente portando soldi, ecc., sia coloro che si impegnarono per denunciare le pratiche dell’esercito francese in Algeria e l’uso della tortura, come Pierre Vidal-Naquet, furono pochissimi, una manciata di persone coraggiose e ostinate, che riuscirono a far passare messaggi, libri proibiti che vendevano migliaia di copie... Una lotta ultra minoritaria, che si allargò un po’ a partire dal ’57-’58, portata avanti da quei pochi che non si ritrovavano né nel partito socialista, la SFIO, né nel partito comunista, e che continuarono a denunciare e protestare, anche contro la maggioranza dell’opinione pubblica, che li percepiva come dei traditori e dei nemici della Francia. Come, ad esempio, François Maspéro, che aveva fondato una casa editrice per poter pubblicare opere contro la guerra d’Algeria e già nel mese di novembre aveva pubblicato un testo di testimonianze sui fatti del 17 ottobre. Ecco, lui fu uno di quelli che si mobilitò maggiormente ma, lo ripeto, si trattò comunque di una minoranza completamente occultata.
RICORDIAMO, SOLO ALCUNI, DEI MASSACRI OPERATI DAI FRANCESI IN AFRICA (tra il 1947 1 il 1958)
MADAGASCAR
I francesi occuparono il Madagascar il 30 Dicembre 1895.
Nel 1942 gli inglesi invasero l’isola che fu poi restituita ai francesi alla fine della guerra.
Moramanga è una cittadina della provincia di Tamatave, nel 1947 vaste sommosse popolari che s’accompagnavano all’azione indipendentista del MDRM (Mouvement Démocratique de Rénovation Malgache) si volsero contro il dominio francese (nel 1946 l’isola era stata dichiarata territorio francese d’oltremare).
La repressione, di cui la zona di Moramanga fu l’epicentro, fu feroce, secondo Frantz Fanon furono 90.000 i malgasci uccisi.
I dirigenti del MDRM furono uccisi o catturati, avvennero esecuzioni di massa, torture, interi villaggi furono incendiati. Nell’Ottobre del 1948 il MDRM fu sciolto, la rivolta fu domata solo nel Dicembre del 1948, cagionando il numero di morti di cui sopra.
Nel 1958 Nacque la Repubblica Malgascia quale membro della comunità francese, dalla quale però l’isola di Madagascar si staccò nel Giugno del 1960, conseguendo l’indipendenza politica.
MAROCCO
Il 30 settembre 1952 i francesi uccisero 300 manifestanti.
Il fatto avvenne a Carrières Centrales, nome di una vasta zona di bidonville nella zona periferica di Casablanca.
All’origine dell’eccidio vi fu la tensione provocata dalla notizia dell’assassinio del sindacalista tunisino Ferhàt Hasèd e il conseguente sciopero generale proclamato dall’UGSCM (Union Générale des Syndacats Confédérés du Maroc) per il giorno 8 dicembre 1952.
Già nella notte precedente alcune decine di arabi erano stati uccisi in scontri con la polizia francese. Quando poi un grande corteo popolare, privo di armi, prese a muoversi verso il centro cittadino, i francesi aprirono il fuoco sulla folla uccidendo circa 300 manifestanti. Arrestarono poi 400 militanti delle seguenti organizzazioni: Partito Indipendentista Istiqlàl, sindacalisti dell’UGSCM e del Partito Comunista Marocchino.
Il Marocco ottenne l’indipendenza nel 1956.
TUNISIA
L’8 febbraio 1958 a Sakiet Sidi Yussef, una località tunisina al confine con il Costantinese algerino, mentre era in corso una distribuzione di viveri da parte della Croce Rossa Internazionale, un attacco aereo dell’aviazione francese colpì le ambulanze della Croce Rossa che furono sventrate, mitragliate e bombardate. Decine di donne e di bambini furono uccisi, letteralmente fatti a pezzi.
SCHEDA SU MAURICE PAPON Il prefetto della mattanza
Negli anni '30 del secolo scorso il giovane Maurice Papon, 1910-2007, era un militante del gruppo radicale-socialista e, come esponente di tale gruppo, ebbe un ruolo da funzionario nel governo del Fronte Popolare del 1930.
Scoppiò la II guerra mondiale e la Francia fu velocemente invasa dalla Germania nazista.
La Francia era divisa fra la parte nord-atlantica occupata dai nazisti e la parte del centro-sud governata da Petain, ossia il governo collaborazionista di Vichy che ufficialmente veniva chiamato “Stato Francese”. Il regime di Vichy nasce il 10 luglio 1940 e finisce il 25 agosto 1944.
Papon fece subito la sua scelta e si trasferì armi e bagagli con Petain.
Ottenne subito un posto di rilievo, si occupò principalmente di scovare gli ebrei e di organizzare la loro trasferta nei campi di sterminio tedeschi, svolse con impegno ed efficienza il suo ruolo così per lui si prospettò una rapida carriera.
Venne nominato Segretario Generale della Prefettura della Gironda dal 1942 al 1944. Il buon Maurice, però, sul finire del 1943, fiutò che l’aria stava cambiando e si posizionò, prima della disfatta germanica, con il movimento “Francia Libera” di Charles De Gaulle a cui rimarrà sempre legato e dal quale fu molto stimato.
Il 6 dicembre 1944 venne nominato Direttore di Gabinetto della regione di Bordeaux, nonostante le proteste del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) per il suo passato di funzionario del regime di Vichy.
Il 26 ottobre 1945, dopo aver lasciato l’incarico a Bordeaux per motivi di salute, venne chiamato al Ministero dell’interno, con il ruolo di Vicedirettore degli affari generali dell’Algeria.
L’8 gennaio del 1946 fu nominato prefetto della Corsica, dove si impegnò per il trasporto aereo degli armamenti che servirono al nascente stato di Israele.
Il 17 settembre 1949 fu nominato prefetto di Costantine in Algeria.
Dal 1951 al 1954 fu Segretario Generale della Prefettura di Polizia.
Dal 2 luglio 1954 al 1955 svolse il ruolo di Segretario Generale del Protettorato del Marocco.
Dal 1956 al 1958 fu di nuovo in Algeria con il ruolo di Ispettore generale a Costantina.
E’ il socialista Guy Mollet, allora primo ministro, che nel 1956 lo volle in Algeria, lo nominò Ispettore Generale con pieni poteri per organizzare un vasto piano di contenimento del FLN. Papon organizzò un sofisticato piano di repressione che vide le sinergie della tortura e dell’intervento psicologico; la sua cura fu efficace e le cifre parlano da sole: 10.282 morti, 117.000 deportati.
Dal 1958 al 1967 fu richiamato in patria per svolgere il ruolo di Prefetto.
Al suo ritorno in Francia fu ricevuto con tutti gli onori, come un uomo che conosce bene i problemi algerini e può risolverli brillantemente.
Il ministro degli interni, il radical-socialista Bourgès-Maunoroy, lo volle immediatamente all’opera.
Com’era nel suo stile, Papon non perse tempo. Fondò subito un centro d’identificazione a Vincennes e un campo d’internamento dove rinchiuse 5.000 algerini, poi avviò il suo progetto più efficace: creò gli Harkis, un particolare corpo di polizia. Prese un manipolo di algerini collaborazionisti, li mise agli ordini di ufficiali francesi e affidò a questa specie di polizia parallela i compiti più truculenti.
Gli Harkis utilizzarono due alberghi del quartiere parigino della Goutte d’Or, un quartiere popolare, e li trasformarono in un vero laboratorio dell’orrore, in cui avvennero torture, assassinii e ogni possibile nefandezza immaginabile nei confronti dei loro connazionali; naturalmente gli Harkis ebbero anche il compito di preparare agenti per infiltrarsi nella resistenza indipendentista.
Nel 1967 Maurice Papon lasciò la Prefettura di Parigi ed fu nominato Presidente della Società Nazionale di Costruzione Aereonautica.
Nel 1968 venne eletto deputato dell’UDR e tesoriere del partito, carica che terrà per tre anni, con l’approvazione entusiasta di De Gaulle.
Nel 1971 fu eletto sindaco della città Saint Armand Montrond.
Nel 1972 divenne Presidente della Commissione delle Finanze dell’Assemblea nazionale.
Nel 1973 fu rieletto deputato e così pure nel 1978 (ottenendo al secondo turno il 51,47% dei suffragi superando il suo avversario, il comunista Laurent Bilbeau).
E per chiudere in bellezza dal 1978 al 1981 fu ministro delle finanze nel terzo governo di Raymond Barre con Presidente della Repubblica Giscard d’Estaing.
Le cose iniziano a cambiare per Papon quando un articolo del giornale Le Canard Enchainé nel 1980, chiese spiegazioni a Papon, allora ministro delle finanze, in merito ad una serie di importanti favori fiscali concessi ai suoi due generi. Alla richiesta del giornale, Papon rispose così: ”Le vostre domande non meritano alcun tipo di risposta”.
Le Canard Enchainé il 6 maggio 1981 (fra i due turni elettorali che portarono alla presidenza Francois Mitterand), pubblicò un’inchiesta a firma Nicolas Brimo che rivelò e documentò il ruolo che svolse Maurice Papon nella deportazione di 1600 adulti e 130 bambini, tutti di religione ebraica, della regione di Bordeaux verso i campi di sterminio in Germania. I due documenti svelati da Le Canard Enchainé portano la data del febbraio 1943 e marzo 1944 e sono firmati da Maurice Papon.
Nel 1983 Papon è incolpato di crimini contro l’umanità, ma dal giorno in cui comparve l’articolo, 1981, all’inizio del processo, 1997, passarono 16 anni.
Nel 1998 fu condannato a 10 anni di reclusione, ma essendo ancora a piede libero riuscì a fuggire in Svizzera. Venne poi acciuffato nell’arco di 48 ore e infine imprigionato.
Restò in galera solo tre anni, in quanto il 4 marzo 2002, venne scarcerato per problemi di salute.
Maurice Papon morì nel 2007 all’età di 96 anni.
Il processo a Papon fu molto importante, costrinse la Francia a riprendere in esame un periodo storico ed un ruolo che i francesi hanno sempre cercato di dimenticare: gli anni della repubblica nazista francese di Vichy che coinvolse milioni di cittadini francesi.
Ciò che a noi preme è pero far notare come le accuse a Papon si limitarono al problema della persecuzione degli ebrei, non una parola o un timido cenno fu fatto riguardo alle azioni di Papon rispetto agli eccidi in terra di Algeria e al massacro degli algerini del 17 ottobre 1961.
Ricordiamo, a questo proposito, quando al Festival di Venezia fu premiato il film di Gillo Pontecorvo, LA BATTAGLIA DI ALGERI (un film che condannava esemplarmente il colonialismo francese e tutti i colonialismi), la delegazione francese abbandonò la sala in segno di protesta. Il film attese quasi dieci anni prima di poter avere una circolazione nel circuito nazionale francese e ciò fu possibile solo grazie all’interessamento del regista Louis Malle. La famigerata OAS, ufficialmente estinta, ma ancora operante nell’estrema destra francese, minacciò di far esplodere le sale cinematografiche che avessero avuto l’ardire di proiettarlo.
Conclusioni
Abbiamo voluto ricordare il massacro di Parigi del 17 ottobre del 1961 per diversi motivi che crediamo siano importanti, in questo clima di oblio e di “chiacchiericcio” televisivo e giornalistico che ha il compito di impedire ogni seria considerazione che sia legata alla verità e alla giustizia.
In questo scritto abbiamo cercato di dare la preminenza ai fatti accaduti, (presentati nel loro avvenire cronologico) rispetto alle analisi e alle considerazioni, perché crediamo che le considerazioni siano determinate dai fatti raccontati, ciconstanziati e documentati da ricercatori e studiosi e facilmente verificabili.
Crediamo poi che questa caccia all’arabo, al musulmano che diventa ogni giorno più pericolosa e inquietante, non faccia alcuna chiarezza sulle responsabilità dell’Occidente.
L’Occidente, con i suoi bracci armati ONU e NATO, è lo scatenatore di guerre ormai seriali, dai Balcani all’Afghanistan, incrementate, dopo il singolare, tragico avvenimento dell’11 settembre, a tutto il Medio-Oriente.
Siamo poi convinti che l’affermazione dell’esportazione dei diritti umani e della democrazia, nasconda la necessità dell’importazione di materie pregiate a bassissimi prezzi e quando possibile, a costo zero.
L’esigenza di ricordare i dolorosi fatti del 17 ottobre 1961, sfociate in un assassinio di massa è sì per un “ non dimenticare”, ma è anche per tendere ad abbattere gli acritici miti, in questo caso il mito della Francia: regno della raffinatezza, del buon gusto, dell’impegno, del cinema, della cultura, della “Libertà-Fratellanza-Uguaglianza”, dei diritti universali e via esaltandosi.
La Francia con la sua rivoluzione del 1789 ha avuto un’importanza fondamentale nella storia dell’umanità e non si può che essere grati a tutte quelle cittadine e quei cittadini che lottarono nel 1789, nel 1848, nel 1871.
Tutto questo non può essere dimenticato e noi, “NON DIMENTICHIAMO”.
Non dimentichiamo nulla e cerchiamo di ricordare tutto, ed allora non possiamo che constatare che un conto è la Francia “dei lumi”, un conto è la Francia con la sua politica coloniale (che la Rivoluzione del 1789, bloccò solamente per qualche anno).
Oggi la Francia ha ripreso in maniera forte il progetto neocolonialista, con le sue truppe è presente in molte parti del mondo, soprattutto nelle sue ex colonie, in cui interferisce senza ritegno negli affari interni, rovesciando governi e imponendo uomini locali di sua fiducia per appropriarsi delle ricchezze di quei paesi.
La storia degli esseri umani è una lunga, ininterrotta sequenza di tragedie, fatte di sangue versato e di dolore indicibile: scoperchiare la pentola a pressione del rimosso permette di riconsiderare il presente, per impostare un futuro dove per le donne e gli uomini sia possibile organizzare un mondo fatto di dignità e di rispetto, dove esista non un piatto egualitarismo, ma una reale e non formale uguaglianza.
Concludiamo con tre frasi di Aimé Césaire (1913-2008) scrittore e poeta francese originario della Martinica.
“Ciò che il borghese molto cristiano del XX secolo non perdona a Hitler, non è il crimine in se, è il crimine contro l’uomo bianco. Non gli perdona di avere applicato all’Europa metodi coloniali, fino ad ora subiti solo dagli arabi, dai lavoratori indiani e dai negri d’Africa”.
“La colonizzazione disumanizza l’uomo persino più civilizzato; l’azione coloniale, l’impresa coloniale, la conquista coloniale, fondata sul disprezzo dell’uomo indigeno e giustificata da questo disprezzo, tende inevitabilmente a modificare colui che la intraprende; il colonizzatore che, per mettersi in pace la coscienza, si abitua a vedere nell’altro la bestia, si riduce a trattarlo come un animale, tende oggettivamente a trasformarsi in bestia”.
“Ho una diversa idea di universale. Si tratta di un universale ricco di tutto quello che è particolare, ricco di tutti i particolari che ci sono, l’approfondimento di ogni particolare, la coesistenza di tutti loro”.
Per il CIVG Luigi Cecchetti
Bibliografia:
Fanon 1 a cura di G. Pirelli Ed. Einaudi 1971
Fanon 2 a cura di G. Pirelli Ed. Einaudi 1971
I dannati della terra di Franz Fanon Ed. Einaudi 2007
La battaglia di Algeri dei servizi speciali Paul Aussaresses
prefazione di G. Galli, Ed. Leg 2007
La tortura di Henry Alleg prefazione di J. P. Sartre Ed. Einaudi 1958
La guerra di Algeria di Benjamin Stora ED. Il Mulino 2009
Sitografia:
www resistenze- Parigi strage dimenticata
www memoria storica
Le monde 17 ottobre 2011 Ariane Chemin
[1] Direttore generale delle Editions La Découverte dal 1982 (nel 1998 la casa editrice è stata integrata nel gruppo Havas, ora Editis). E’ inoltre presidente del gruppo degli editori in Scienze Umanistiche e Sociali del Syndicat National de l’édition e vicepresidente del “Centre français d’exploitation du droit de copie” (CFC) che ha presieduto tra il 1996 e il 1999.
da http://www.civg.it
Fonte
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