di Stefano Mauro
Secondo il quotidiano
israeliano Haaretz le dichiarazioni del ministro della Difesa, Avigdor
Lieberman, circa il bombardamento subito a causa di “un attacco di
Hezbollah” sarebbero totalmente imprecise e frutto di “un giudizio
personale”.
Dopo le accuse del falco israeliano, in effetti, lo stesso portavoce
dell’esercito ha precisato che “la situazione non è ancora chiara e non
ci sono informazioni precise su chi possa aver lanciato cinque missili
sulla zona di confine delle alture del Golan”. Dichiarazioni
discordanti ed attriti che, secondo la stampa israeliana, evidenziano
divergenze tra la visione di Lieberman e quella di alcuni militari dello
stato maggiore. Da una parte il ministro israeliano
persegue nel progetto di aggressione nei confronti di Hezbollah per un
progressivo aumento della tensione lungo il confine con il Libano e le
alture del Golan. Disegno, quello del governo di Tel Aviv, che rientra
nei piani della stessa amministrazione americana per screditare
Hezbollah e coinvolgere/attaccare indirettamente l’Iran.
Dall’altra esiste una grossa parte delle sfere militari israeliane che, dopo le numerose esercitazioni di questi ultimi mesi, non sembra molto convinta su un possibile esito favorevole in caso di conflitto contro Hezbollah. La tensione resta, tuttavia, alta e la “visione più interventista all’interno dell’establishment di Tel Aviv sembra prendere sempre più piede” dichiara il quotidiano israeliano. Un chiaro segnale è stato, ad esempio, il meeting di Washington
della scorsa settimana che ha visto il capo di stato maggiore
israeliano, Gadi Eyzenkot, insieme ai responsabili militari di Egitto,
Giordania, Arabia Saudita ed Emirati. Obiettivo dell’incontro: condividere una strategia di aggressione militare e politica nei confronti di Hezbollah ed Iran.
Secondo numerosi analisti, in effetti, questo potrebbe essere ancora il momento buono per poter intervenire e cambiare, almeno in parte, le sorti dell’ormai certa vittoria dell’asse che vede Russia, Iran, Siria ed Hezbollah trionfanti in tutta la regione.
Damasco, vicina alla vittoria, è infatti ancora impegnata a risolvere
numerosi problemi. Al nord, la ripresa dell’operazione turca “Scudo
dell’Eufrate 2” e la volontà da parte di Ankara di voler creare diverse
basi nella zona di Idlib, in chiave anti-curda, genera numerose
preoccupazioni circa l’integrità del territorio siriano. Stesse
difficoltà o scenari ancora poco chiari in merito alla posizione dei
curdi del Rojava, che si dicono favorevoli ad un dialogo con Damasco per
ottenere maggiore autonomia, ma che hanno forti legami con i
diplomatici sauditi ed hanno riconsegnato Raqqa ad un consiglio tribale
“ribelle” al governo centrale. Complessità simili anche con gli ultimi
bastioni ancora in mano alle milizie jihadiste di Daesh nella regione di
Deir Ez Zor e Abu Kamal a causa della lotta per il controllo dei ricchi
giacimenti petroliferi del paese.
La situazione appare talmente complessa con continui cambiamenti da
parte di tutte le forze militari (locali, regionali e mondiali) da far
paragonare il conflitto siriano a “un’enorme e continua partita a
scacchi” – secondo le parole dello studioso libanese Georges Corm – “che
ha causato migliaia di morti e milioni di profughi”.
Da parte loro sia Damasco che Hezbollah, si trovano in una posizione di forza.
Il partito di Dio, ad esempio, si ritrova sostenuto da tutte le forze
politiche libanesi come mai prima d’ora. Numerose le dichiarazioni di
sostegno ed unità di questi giorni da parte delle diverse forze
politiche libanesi: dal ministro degli esteri, Gibran Bassil, al primo
ministro Hariri.
Lo stesso Assad, dopo aver sconfitto la minaccia jihadista dello Stato Islamico, sembra molto più forte, politicamente e militarmente,
a tal punto da far dichiarare al suo rappresentante presso l’ONU,
Bashar Jaafari, che è ormai giunto il tempo per definire anche “la
restituzione delle terre occupate del Golan da parte di Tel Aviv”. “Il
sostegno militare e politico di Russia ed Iran è stato fondamentale” –
scrive il quotidiano libanese Al Akhbar – per far cambiare atteggiamento
a Damasco nei confronti di Israele e per rispondere, anche
militarmente, alle continue provocazioni israeliane”.
Altrettanto chiaro e deciso il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che nel suo ultimo discorso ha
dichiarato che “la Resistenza libanese è pronta non solo a difendere i
confini del Libano da qualsiasi tipo di invasione, ma anche (in caso di
attacco) a liberare i Territori Occupati (Israele) visto che,
anche a livello internazionale, viene considerata come l’unica risorsa
militare capace di contrastare Tel Aviv nella regione”.
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