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25/10/2017

Israele - Lieberman: "Hezbollah ha sparato sul Golan"

di Michele Giorgio il Manifesto

Non sarebbero stati colpi erranti. Hezbollah sabato scorso avrebbe colpito intenzionalmente con cinque razzi il versante occidentale del Golan siriano, occupato da Israele. A sostenerlo è il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman. E le sue parole avvicinano la nuova guerra, di cui si parla da tempo, tra Israele e il movimento sciita libanese. «Il fuoco lungo la frontiera è stato ordinato dal (leader di Hezbollah) Hassan Nasrallah», ha tuonato ieri Lieberman durante una riunione del suo partito, aggiungendo che Israele ritiene responsabile dell’attacco il presidente siriano Bashar Assad. Come sono andate davvero le cose non è facile dirlo. In ogni caso conta l’escalation di attacchi e rappresaglie tra Israele, Damasco e Hezbollah presente con migliaia di combattenti in Siria a sostegno dell’esercito governativo impegnato contro le organizzazioni jihadiste e qaediste che controllano ancora porzioni del Paese.

Sabato, dopo i razzi caduti nel Golan, Israele ha distrutto tre automezzi dell’artiglieria siriana. Il 16 ottobre invece aveva colpito una batteria antiaerea nei pressi di Damasco che aveva sparato un missile SA5 contro alcuni caccia israeliani che avevano violato lo spazio aereo siriano e libanese. Secondo Tel Aviv gli aerei erano in missione di ricognizione e sarebbero tornati indenni alle basi. La versione siriana e di Hezbollah è diversa. I caccia intendevano bombardare obiettivi in Siria ma hanno incontrato una inedita e pronta reazione della difesa antiaerea, migliorata negli ultimi mesi grazie all’aiuto iraniano. Difficile trovare un punto d’incontro tra queste due versioni. È certo però che, quando ci sarà il conflitto, coinvolgerà oltre al Libano anche la Siria come lo stesso Lieberman aveva affermato qualche giorno fa parlando di un «fronte unico». Il governo Netanyahu e un importante ex generale, Amos Yadlin, ora analista militare, sostengono che il presidente siriano Bashar Assad, forte dei successi militari ottenuti contro i nemici interni, appoggiato da Iran e da Russia, si sarebbe fatto più «intraprendente», quindi più pronto a rispondere militarmente ai raid aerei israeliani.

Per Israele perciò il vero obiettivo è l’Iran, al quale, l’ha detto qualche giorno fa il premier Netanyahu al ministro degli esteri russo Shoigu, non intende consentire una presenza a ridosso del Golan e più in generale in Siria. Per ora Tel Aviv fa pressioni su Mosca affinché costringa Tehran a farsi da parte e i media locali sostengono che i russi avrebbero mostrato molta comprensione per la posizione israeliana. Il governo Netanyahu comunque ritiene che Mosca non andrà oltre un certo punto con le sue pressioni sull’Iran. La parola perciò passerà alle armi e il ministro Lieberman ha chiesto lo stanziamento di ulteriori fondi per le forze armate, per un miliardo di euro, da destinare proprio al futuro scontro militare con Hezbollah, Siria e le forze iraniane. Assad non commenta. Tehran invece ammonisce Israele dal violare di nuovo lo spazio aereo siriano. Hassan Nasrallah da parte sua ripete, ad ogni intervento pubblico, che in caso di guerra, su Israele si rovescerà l’intero arsenale missilistico di Hezbollah.

Anche Washington batte sul tamburo della guerra all’Iran. Dopo aver rifiutato di certificare l’accordo sul programma nucleare iraniano, l’Amministrazione Trump adesso denuncia la presenza di Tehran in Iraq e la sua influenza nel resto della regione. «Ora che la battaglia contro l’Isis si avvia a conclusione, le milizie iraniane che sono in Iraq devono tornare a casa», ha detto due giorni fa il Segretario di stato Tillerson riferendosi al sostegno iraniano alle “Unità di mobilitazione popolare” (Hashd al-Shaabi), le milizie sciite impegnate nello scontro con i curdi nel nord dell’Iraq. «Nessuno ha il diritto di interferire negli affari iracheni o di dire agli iracheni cosa fare. Non ci sono forze straniere in Iraq», ha replicato ieri il premier iracheno Haider al Abadi. Venerdì gli Stati Uniti avevano chiesto a Baghdad di non ingaggiare altri scontri con i Peshmerga curdi.

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