di Michele Giorgio – il Manifesto
Non sarebbero
stati colpi erranti. Hezbollah sabato scorso avrebbe colpito
intenzionalmente con cinque razzi il versante occidentale del Golan
siriano, occupato da Israele. A sostenerlo è il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman. E le sue parole avvicinano la nuova guerra, di cui si parla da tempo, tra Israele e il movimento sciita libanese. «Il fuoco lungo la frontiera è stato ordinato dal (leader di Hezbollah) Hassan Nasrallah», ha tuonato ieri Lieberman durante una riunione del suo partito, aggiungendo che Israele ritiene responsabile dell’attacco il presidente siriano Bashar Assad.
Come sono andate davvero le cose non è facile dirlo. In ogni caso conta
l’escalation di attacchi e rappresaglie tra Israele, Damasco e
Hezbollah presente con migliaia di combattenti in Siria a sostegno
dell’esercito governativo impegnato contro le organizzazioni jihadiste e
qaediste che controllano ancora porzioni del Paese.
Sabato, dopo i razzi caduti nel Golan, Israele ha distrutto
tre automezzi dell’artiglieria siriana. Il 16 ottobre invece aveva
colpito una batteria antiaerea nei pressi di Damasco che aveva
sparato un missile SA5 contro alcuni caccia israeliani che avevano
violato lo spazio aereo siriano e libanese. Secondo Tel Aviv gli aerei
erano in missione di ricognizione e sarebbero tornati indenni alle basi.
La versione siriana e di Hezbollah è diversa. I caccia
intendevano bombardare obiettivi in Siria ma hanno incontrato una
inedita e pronta reazione della difesa antiaerea, migliorata
negli ultimi mesi grazie all’aiuto iraniano. Difficile trovare un punto
d’incontro tra queste due versioni. È certo però che, quando ci sarà il
conflitto, coinvolgerà oltre al Libano anche la Siria come lo stesso
Lieberman aveva affermato qualche giorno fa parlando di un «fronte
unico». Il governo Netanyahu e un importante ex generale, Amos Yadlin, ora analista militare, sostengono
che il presidente siriano Bashar Assad, forte dei successi militari
ottenuti contro i nemici interni, appoggiato da Iran e da Russia, si
sarebbe fatto più «intraprendente», quindi più pronto a rispondere militarmente ai raid aerei israeliani.
Per Israele perciò il vero obiettivo è l’Iran, al quale, l’ha detto qualche giorno fa il premier Netanyahu al ministro degli esteri russo Shoigu, non intende consentire una presenza a ridosso del Golan e più in generale in Siria.
Per ora Tel Aviv fa pressioni su Mosca affinché costringa Tehran a
farsi da parte e i media locali sostengono che i russi avrebbero
mostrato molta comprensione per la posizione israeliana. Il governo Netanyahu comunque ritiene che Mosca non andrà oltre un certo punto con le sue pressioni sull’Iran.
La parola perciò passerà alle armi e il ministro Lieberman ha chiesto
lo stanziamento di ulteriori fondi per le forze armate, per un miliardo
di euro, da destinare proprio al futuro scontro militare con Hezbollah,
Siria e le forze iraniane. Assad non commenta. Tehran invece ammonisce Israele dal violare di nuovo lo spazio aereo siriano.
Hassan Nasrallah da parte sua ripete, ad ogni intervento pubblico, che
in caso di guerra, su Israele si rovescerà l’intero arsenale
missilistico di Hezbollah.
Anche Washington batte sul tamburo della guerra all’Iran. Dopo aver rifiutato di certificare l’accordo sul programma nucleare iraniano, l’Amministrazione Trump adesso denuncia la presenza di Tehran in Iraq e la sua influenza nel resto della regione.
«Ora che la battaglia contro l’Isis si avvia a conclusione, le milizie
iraniane che sono in Iraq devono tornare a casa», ha detto due giorni fa
il Segretario di stato Tillerson riferendosi al sostegno iraniano alle
“Unità di mobilitazione popolare” (Hashd al-Shaabi), le milizie sciite impegnate nello scontro con i curdi nel nord dell’Iraq. «Nessuno ha il
diritto di interferire negli affari iracheni o di dire agli iracheni
cosa fare. Non ci sono forze straniere in Iraq», ha replicato ieri il
premier iracheno Haider al Abadi. Venerdì gli Stati Uniti avevano
chiesto a Baghdad di non ingaggiare altri scontri con i Peshmerga curdi.
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