Dal novembre del 1917, la realizzazione della Rivoluzione d’Ottobre in Russia trasferì la prospettiva del comunismo dalla teoria alla realtà. Nelle file della borghesia europea e internazionale, si diffuse quella che è stata definita “La Grande paura”. La stessa che era dilagata tra le monarchie europee dopo la Rivoluzione Francese, quando cadde la testa del re e i castelli dei nobili vennero assaltati e saccheggiati. La determinazione con cui i bolscevichi portarono a fondo la rottura rivoluzionaria, seminò una ondata di isteria, paura e ferocia controrivoluzionaria durata più di settanta anni.
La feroce reazione delle potenze imperialiste contro la Rivoluzione d’Ottobre e poi contro l’URSS, si può schematizzare in tre fasi storiche che hanno visto la messa in campo di strumenti diversi con il comune obiettivo di distruggere la prima sperimentazione del socialismo possibile nella storia. Questo obiettivo è stato raggiunto solo nel 1991 con la dissoluzione dell’URSS stessa.
La prima fase della “Grande Paura”
La rottura rivoluzionaria dell’ottobre avviene nel pieno della maggiore crisi e guerra interimperialista che il mondo avesse mai visto. Le maggiori potenze capitalistiche del mondo si erano trovate unite quando avevano dovuto annientare la rivolta dei Boxer in Cina nel ‘900 e spartirsi così le concessioni sui porti, le ferrovie e le città cinesi. Si era nel pieno della Belle Epoque iniziata negli ultimi due decenni dell’Ottocento. Ma questa concertazione tra le grandi potenze cominciò a incrinarsi già nel 1905 con la guerra tra Russia e Giappone, e nove anni dopo vide le truppe di tutte le potenze che avevano partecipate insieme alla spedizione contro la Cina scannarsi nelle trincee in Europa e nella periferia coloniale.
Sin dall’ottobre 1917, da quando i grandi gruppi capitalistici e i loro governi compresero che i bolscevichi avrebbero portato il popolo russo fuori dal mattatoio della Prima Guerra Mondiale e dalla condizione di subalternità sociale in cui viveva relegato da secoli, presero corpo tentativi di ogni tipo per stroncare sul nascere una Rivoluzione che avrebbe sconvolto il mondo e le prospettive dell’umanità.
Le grandi potenze – europee ma anche gli USA e il Giappone – avviarono il boicottaggio economico, l’invio di corpi di spedizione militari e il sostegno agli eserciti controrivoluzionari costituiti da ex generali zaristi e nazionalisti.
La “Grande paura” vide ripetuti tentativi di isolare, boicottare, aggredire l’URSS e fu tale che una parte della borghesia europea decise di rispondere alla crescente influenza rivoluzionaria del movimento comunista nei vari paesi attraverso il nazismo e il fascismo. In altri paesi, la borghesia dosò una feroce repressione contro comunisti e sindacalisti con strumenti diversi come il “New Deal” negli USA.
Le borghesie “liberali” europee portano pienamente la responsabilità della loro complicità con il nazismo e il fascismo perché ne agevolarono in ogni modo l’ascesa, spaventati dall’idea che i comunisti potessero rovesciare anche il loro potere.
Per anni Gran Bretagna e Francia hanno sperato e cercato di aizzare la Germania nazista contro l’URSS affinché facesse il “lavoro sporco” per conto loro, ma prevalse la competizione interimperialista tra le varie potenze (come l’estrema durezza della Francia contro la Germania sulle riparazioni di guerra e le annessioni territoriali criticata dallo stesso Keynes o l’embargo contro l’Italia dopo l’invasione dell’Etiopia).
Non sono un mistero i tentativi di Churchill di arrivare ad un accordo con la Germania nazista in nome dei comuni interessi antisovietici. Era la storia stessa a far intravedere gli elementi comuni tra queste due potenze: l’antislavismo storico della borghesia tedesca (dall’espansione dei cavalieri Teutonici in poi) e la storica attitudine antirussa della Gran Bretagna (do you remember la guerra di Crimea?). Lo stesso Patto di Monaco può essere letto non come “il cedimento alla Germania” (classica chiave di lettura utilizzata oggi dai sostenitori delle guerra scatenate negli anni contro Iraq, Serbia etc.) ma come il tentativo di orientare totalmente verso l’Est gli appetiti della Germania nazista.
La seconda fase della “Grande Paura”
La seconda fase della “Grande Paura” fu indubbiamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Le potenze che avrebbero voluto vedere abbattuto il socialismo e l’URSS furono costrette invece ad allearsi con essa per sconfiggere il nemico principale: il nazifascismo.
L’URSS non solo fermò l’offensiva nazista a Stalingrado e a Leningrado ma mise in campo una sorprendente capacità di controffensiva che portò l’Armata Rossa ad issare la bandiera con la falce e martello sul Reichstag di Berlino.
Il prestigio e l’autorevolezza dell’URSS in tutti i settori sociali uscì enormemente rafforzata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel dopoguerra, scienziati e intellettuali, operai e scrittori, finanche pezzi di borghesia progressista e antifascista, insomma tutti coloro che avevano un’idea progressista del mondo e del futuro guardavano all’URSS.
La Grande Paura della borghesia si alimentò fino agli anni Cinquanta di diversi fattori concreti:
– la rapidità della ricostruzione economica ed industriale dell’URSS post bellica nonostante le devastazioni e le perdite umane subite. Una rapidità che faceva valore dell’esperienza accumulata – anche drammaticamente – durante l’industrializzazione forzata degli anni Trenta.
– La sperimentazione dell’atomica sovietica poco tempo dopo il lancio deterrente (e in funzione antisovietica) delle atomiche USA su Hiroshima e Nagasaki.
– I risultati dell’URSS nella corsa allo spazio che sfociarono nel lancio del satellite Sputnik.
– L’estensione del campo socialista ad altri paesi dell’Europa. Una estensione niente affatto omogenea sia qualitativamente che politicamente priva di contraddizioni. L’avvento del socialismo in Cecoslovacchia nel 1948 non è stato soggettivamente la stessa cosa di quanto avvenuto in Polonia o Ungheria. Nel primo caso esisteva un forte movimento comunista all’interno del paese che aveva conquistato grandi consensi e autorevolezza. Nei secondi il movimento comunista era fortemente minoritario e il passaggio al regime socialista fu dovuto soprattutto alla presenza delle truppe sovietiche sul territorio.
La reazione dovuta alla “Grande Paura” del capitalismo nel dopoguerra si fondò su due strumenti: la guerra fredda e il welfare state. Un ruolo decisivo in entrambi i progetti lo avranno gli Stati Uniti ossia la potenza imperialista uscita egemone dalla Seconda Guerra Mondiale.
La prima (la Guerra Fredda) aveva una esplicita funzione di contenimento ideologico, politico e militare dell’influenza dell’URSS, il secondo – il welfare state, preceduto in un certo senso dal Piano Marshall – doveva servire a depotenziare questa influenza dentro le classi popolari dei paesi europei, introducendo ammortizzatori sociali che riducessero le disuguaglianze e agevolassero i consumi e riforme anche significative che rafforzassero le “casematte” dello Stato (come direbbe Gramsci) e l’opzione riformista piuttosto che quella rivoluzionaria in tutta l’Europa.
La terza fase della “Grande Paura”
La terza fase in cui l’imperialismo USA e le potenze capitaliste conobbero nuovamente la “Grande Paura” verso l’URSS fu all’indomani dello shock petrolifero del ’73 e nella manifestazione di quella che alcuni definiscono la “crisi irrisolta” del capitale. La paura che si diffuse negli USA e in tutto l’occidente, diventò vero e proprio panico quando nel 1979 si verificarono due eventi politici rilevanti: la rivoluzione islamica in Iran (che privò gli USA di un gendarme decisivo in Medio Oriente) e l’invasione sovietica dell’Afghanistan che spingeva a sud l’influenza geopolitica dell’URSS. A rendere più evidente la grande paura vi era la concomitanza tra la crisi economica nei paesi capitalistici e l’ottimismo (come vedremo poi infondato) sui risultati positivi delle economie dei paesi aderenti al Comecon, che non subivano gli effetti della crisi in quanto sganciati dal mercato capitalistico mondiale. Occorre poi tenere conto che tra il 1973 e il 1979 si assiste allo sviluppo di importanti movimenti sociali e all’avanzata dei partiti comunisti nei paesi europei e si estende l’area dei paesi coloniali che si liberano dalle potenze straniere o da governi filo-occidentali (Angola, Mozambico, Nicaragua).
La reazione dell’imperialismo a questa situazione sarà molto più articolata e – da un certo punto di vista – straordinariamente più efficace:
– Gli USA rafforzano la concertazione tra le grandi potenze capitalistiche in funzione antisovietica. Prendono vita nel 1974 strumenti come la Commissione Trilaterale e i vertici dei paesi industrializzati (quelli che poi diventeranno i G8).
– Viene rilanciata la corsa agli armamenti e avviata la Seconda Guerra Fredda.
– Prende corpo nel1980 l’escalation neoliberista in Gran Bretagna e USA che si imporrà come modello economico egemone a livello globale nei decenni successivi.
Questi tre strumenti consentiranno al capitalismo attraverso la sua potenza egemone – gli USA – di imporre il proprio dominio sul mondo potendo contare su tutti e tre i fattori dell’egemonia: quello economico, quello militare e quello culturale. La combinazione tra superiorità dello sviluppo delle forze produttive (grazie alla rivoluzione tecnologica e all’accumulazione flessibile), superiorità militare (progetto guerre stellari, immense spese militari) e capacità di rappresentare gli “orizzonti progressivi dell’umanità” sul piano della democrazia, si riveleranno decisivi nella reazione imperialista alla terza fase della Grande Paura, alla vittoria transitoria del capitalismo e alla dissoluzione dell’URSS nel 1991.
Una vittoria transitoria del capitalismo
Come abbiamo visto, la reazione dei paesi capitalisti all’onda lunga della Rivoluzione d’Ottobre (durata settantaquattro anni), ha utilizzato strumenti diversi, alcuni efficaci, altri meno. Alla vittoria del capitalismo ha contribuito senza dubbio la sua capacità “rivoluzionaria” di spingere molto più avanti del socialismo lo sviluppo delle forze produttive e di darsi una soggettività politica adeguata per gestire sul piano “ideologico” questa riconquista della superiorità.
Per almeno gli ultimi due decenni, il capitalismo è riuscito a coniugare con se stesso l’idea di uno sviluppo senza soste a livello mondiale (la globalizzazione) e l’ideologia che tale sviluppo era possibile solo con il mercato e la supremazia della proprietà privata e dei diritti individuali a discapito dei diritti sociali collettivi.
Dai primi anni del XXI° Secolo questo scenario è stato rimesso duramente in discussione sia sul piano dell’oggettività (le ripetute crisi economiche, le guerre etc.) sia su quello della soggettività (il forte movimento antiliberista esploso da Seattle in poi, la rinascita di un dibattito sul Socialismo del XXI° Secolo grazie ai movimenti in America Latina etc.).
Ma soprattutto il capitalismo sta mostrando di nuovo e con evidenza i suoi caratteri regressivi:
– La guerra come caratteristica della politica internazionale.
– La fine della concertazione tra le grandi potenze capitalistiche e l’insorgere di una competizione globale ed interimperialista tra di esse sul piano monetario, tecnologico, commerciale, culturale. Si realizza l’incubo esorcizzato dai neocons statunitensi fin dal 1992, quello dell’emergere di “potenze rivali in grado di sfidare l’egemonia statunitense”.
– La crisi di sistema al “centro” e non più alla “periferia” del sistema imperialista (le file davanti alle banche le abbiamo viste anche a Londra e New York e non più a solo a Buenos Aires). Si parla ormai di “stagnazione secolare” per nascondere quella che Marx, più lucidamente, definiva come “caduta tendenziale del saggio di profitto”.
– L’infarto ecologico del pianeta ormai evidente anche ai negazionisti come Trump.
– Il peggioramento delle aspettative e delle condizioni di vita anche delle classi medie. Per la prima volta si ha la netta percezione che le prossime generazioni staranno peggio delle generazioni precedenti, invertendo così un trend progressivo che è stato evidente per tutto il Novecento (anche grazie alla Rivoluzione d’Ottobre).
La guerra è stata uno spartiacque
In conclusione, è opportuno sottolineare come la Prima Guerra Mondiale fu un evento decisivo per la vittoria e il prestigio della Rivoluzione d’Ottobre e i comunisti. I comunisti, ampiamente minoritari, in Russia e in Germania si erano battuti contro i crediti di guerra e contro la guerra stessa, denunciando l’imminente grande massacro.
La decisione del governo provvisorio emerso della rivoluzione del febbraio 1917 di proseguire la guerra contro la Germania e l’Austria con l’offensiva in Galizia, si trasformerà in una terribile disfatta. I soldati russi si ammutinarono e abbandonarono il fronte cercando di tornare alle loro case in Russia. Sulla loro strada troverono i bolscevichi che trasformarono quella disfatta umana e sociale in una Rivoluzione. “La prima Rivoluzione Bolscevica ha strappato alla pace imperialista e alla guerra imperialista i primi cento milioni di uomini” scrisse Lenin. La soggettività politica dei Bolscevichi fu dunque decisiva per far cambiare il corso alla storia e alla vita umana di milioni di uomini.
Ancora Lenin nel 1921 annunciava il pericolo di una nuova guerra imperialista (“La borghesia la sta preparando sotto i nostri occhi”) ancora più devastante di quella appena conclusa. In essa vi sarebbero stati – secondo Lenin – “non dieci ma venti milioni di morti, non 30 ma 60 milioni di mutilati, feriti, invalidi” e rilanciava l’invito a trasformare la guerra imperialista in guerra civile.
In Italia invece andò diversamente. Quando nel 1917 a Caporetto i soldati italiani (falciati, congelati, ammalatisi a decine di migliaia nelle trincee), daranno vita a quello che lo scrittore Curzio Malaparte definì il “primo sciopero militare” abbandonando il fronte e le armi e cercando di tornare alle loro case, non troveranno una soggettività politica pronta a trasformare la disfatta in vittoria di classe ma troveranno i carabinieri che ne decimeranno migliaia come disertori e ammutinati. Infine, ma non certo per importanza, il carico di rabbia e rivalsa di centinaia di migliaia di uomini che avevano vissuto l’orrore e la violenza quotidianamente, furono raccolti dal fascismo nascente e non dai comunisti nascenti. Ad eccezione del Biennio Rosso torinese, mancò completamente la capacità di intercettare e convogliare quella forza in un progetto rivoluzionario. Clamorosa la divaricazione di analisi sugli “Arditi del Popolo” tra Gramsci e l’allora segretario del Pci Bordiga. “Gli Arditi ce li siamo fatti nemici gratis” ammise Gramsci.
La guerra resta uno spartiacque della storia (si dice infatti prima o dopo la guerra) e della politica. Oggi noi abbiamo il diritto e il dovere di chiedere l’ammutinamento dei comunisti contro il proprio imperialismo – nel nostro caso l’Unione Europea – e contro la guerra che staglia la sua ombra inquietante sul piano inclinato in cui il capitalismo sta conducendo l’intera umanità.
(contributo alla campagna per il Centenario della Rivoluzione d’Ottobre)
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