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24/10/2017

Tradite dalle banche, 40.000 aziende italiane sono in un limbo

Alle radici del referendum farlocco del lombardo-veneto c’è una crisi finanziaria e industriale locale che si somma a quella globale. Il big bang del tracollo delle due banche “di sistema” locale – VenetoBanca e Popolare di Vicenza – ha distrutto la base di un modello produttivo che fin qui era stato portato ad esempio virtuoso, vero e proprio format riproducibile ovunque, purché ci fossero “serietà, onestà e voglia di lavorare”.

Gran parte dei protagonisti di questo modello, bisogna dire, si sono attenuti a questa “indicazione programmatica”, spesso utilizzata retoricamente per colpevolizzare “il Sud” o peggio ancora “Roma ladrona”. Ma sono stati traditi dal cuore pulsante di quel sistema – le banche – che nel corso degli anni avevano lentamente cambiato le principali caratteristiche del loro business (grossolanamente: dalla raccolta risparmi e concessioni prestiti alla speculazione finanziaria).

Il botto delle due big ha messo in moto un sisma che non ha ancora finito di produrre effetti, aumentando ansia, risentimento, ricerca di un colpevole. Un magma caratterizzato da paura e scarsa informazione in cui ficcano le mani speculatori politici di infimo livello – i leghisti, ma anche i renziani – pronti a fornire capri espiatori, bersagli sostitutivi, soluzioni fantasiose. Tipo l’illusione che basti trattenere in loco parte delle entrate fiscali per risolvere il problema della liquidità per gli investimenti.

Questo reportage di Bloomberg, tradotto da Henry Tougha per il sito Voci dall’estero, fornisce un quadro molto vivo della situazione sociale, pur se viziato da grossolane lacune “culturali” degli autori (“il Veneto ha una sua lingua” non si può sentire…).

Utile comunque per capire cosa ribolle sotto la crosta di una politica da burletta, che dovrà fare presto i conti con lo scarto abissale tra la pesantezza dei problemi sociali e la propria inconsistenza.

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Bloomberg si occupa del fosco destino delle piccole e medie imprese venete a seguito del crollo della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Nell’immediato, molte aziende si sono trovate in un limbo, con le linee di finanziamento interrotte, mentre moltissimi risparmiatori sono stati azzerati. Nel lungo termine, come conclude l’articolo “il sistema di finanziamento che aveva sostenuto la trasformazione della regione da economia agricola a potenza manufatturiera durante l’ultimo secolo non sarà mai più lo stesso”.

di Sonia Sirletti, Luca Casiraghi, e Tommaso Ebhardt – 20 ottobre 2017

La Serenissima Repubblica, così è nota da un millennio l’area attorno a Venezia, è ora l’inguaiato epicentro di un crollo bancario che minaccia di abbattere una delle migliori storie di successo dell’era della globalizzazione.

Base di marchi come Benetton, De Longhi, Geox e Luxottica, il Veneto è diventato la casa anche di 40.000 piccole imprese che ora improvvisamente si trovano abbandonate senza accesso al credito, da quando in giugno sono crollate due banche regionali.

L’implosione della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, che tra le altre cose ha anche spazzato via i risparmi di 200.000 azionisti, ha innescato un terremoto economico e politico che si è sentito ovunque, da Roma a Francoforte. La collera contro ciò che molti vedono come il risultato di una supervisione troppo lassista da parte delle autorità centrali nazionali sta fomentando la richiesta di una maggiore autonomia – richiesta che, nel frattempo, viene ispirata anche dagli sforzi della Catalogna per separarsi dalla Spagna.

“La sofferenza delle banche venete può essere giunta al termine, ma la sofferenza delle aziende è appena all’inizio”, ha dichiarato Andrea Arman, un avvocato consulente di alcune delle società e dei risparmiatori che sono stati colpiti più duramente. “Stiamo iniziando adesso a vedere le conseguenze del crollo, e ciò che stiamo vedendo è allarmante”.

A metà tra le Alpi e l’Adriatico, il Veneto è patria di cinque milioni di persone. Come la Catalogna, anche il Veneto ha un’eredità culturale di lunghi viaggi via mare, ha una propria lingua e un reddito ben al di sopra della media nazionale. Il Presidente del Veneto, Luca Zaia, che ha definito l’Italia e i suoi 64 governi in 71 anni come “uno Stato in bancarotta”, ha in mente di sfruttare il risultato di un referendum non vincolante del 22 ottobre per fare pressione su Roma al fine di ottenere maggiore autonomia. Secondo un sondaggio di Demos pubblicato ieri [19 ottobre, NdT] su Repubblica, i tre quarti dei veneti desiderano maggiore autonomia locale, e il 15 per cento sarebbe favorevole alla completa indipendenza.

Mentre Intesa Sanpaolo SpA, la seconda maggiore banca italiana, ha pagato un prezzo simbolico per acquisire la parte più sana dei due istituti di credito veneti, l’entità pubblica destinata ad assorbire i 18 miliardi di euro di crediti in sofferenza ammassati dalle banche, SGA, non è ancora completamente operativa. Questa situazione ha lasciato nel pantano le piccole e medie imprese, che in molti casi in queste condizioni non sono in grado di continuare a produrre.

“Molte di queste imprese sono redditizie, ma sono bloccate in un limbo”, dice Mauro Rocchesso, capo di Fidi Impresa e Turismo Veneto, un’azienda finanziaria che fornisce collaterali alle aziende che cercano linee di credito. “Non hanno più una controparte e non riescono a trovare nuovi capitali da prendere a prestito a causa della loro attuale esposizione verso le due banche venete”.

Uno sviluppatore nei dintorni di Padova, che ha chiesto di restare anonimo, riteneva di aver risolto i suoi problemi di finanziamento dopo avere trovato un acquirente per un suo edificio commerciale nei pressi dell’autostrada che collega Venezia a Verona, ma poi è stato costretto a bloccare la vendita quando un debito che aveva verso Veneto Banca, collegato a quella proprietà, è stato assegnato alla SGA.

Ancora peggio è andato a Toni Costalunga, che a 71 anni lavora ancora nella sua fabbrica di macchinari nei pressi di Schio, uno snodo industriale ai piedi delle colline. Costalunga, che si sveglia alle una di notte e spesso lavora senza soste fino a dopo mezzogiorno, ha affermato di non essere in grado di pagare i suoi dipendenti entro i tempi dovuti perché la sua linea di credito è stata interrotta “senza un preavviso o una spiegazione” l’11 settembre, quando la SGA ha rilevato la linea di credito di Veneto Banca.

“Anche durante i momenti peggiori della recessione, solo pochissime volte ho effettuato pagamenti in ritardo, e mai avevo dovuto ritardare i pagamenti verso i miei lavoratori o i fornitori, fino allo scorso mese”, dice Costalunga.

Anche un eccellente merito creditizio è inutile oggi in Veneto, se i vostri soli collaterali sono azioni presso una di quelle due banche, banche che pure sono state fonte di investimenti sicuri per generazioni di persone nella regione.

Agostino Bonomo, fornaio di Asiago, una località alpina nota per il suo formaggio, racconta che i suoi affari vanno abbastanza bene e crescono, ma ha difficoltà a trovare il credito che gli serve per un nuovo forno, a causa dei 350.000 euro di azioni andate in fumo, le stesse che i suoi avi avevano depositato presso la banca vicentina in un secolo di risparmi. E si tratta solo di una piccola frazione degli 11 miliardi di euro che in questa regione stati bruciati dal 2015 a oggi.

“Custodivamo gelosamente quelle azioni, come si custodiscono dei lingotti d’oro”, ha detto Bonomo, 60 anni e presidente delle piccole imprese del Veneto. “Acquistare le azioni della propria banca era qualcosa che si faceva per tradizione. Ma abbiamo sbagliato”.

Anche durante i momenti peggiori della doppia recessione che ha colpito l’Italia dopo la crisi finanziaria globale, negli ultimi dieci anni, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca avevano continuato a espandere il loro credito rivolto alle imprese, in controtendenza rispetto al resto del settore. Verso la fine dello scorso anno, la loro esposizione aveva raggiunto i 46 miliardi di euro, di cui circa il 40 per cento era in sofferenza. Si trattava del doppio dei crediti in sofferenza rispetto alla percentuale media in Italia e perfino di più rispetto a Monte dei Paschi di Siena nel peggiore momento, quello in cui il governo dovette intervenire per salvare l’antico istituto di credito.

Gli ex manager di entrambe le banche venete sono sotto inchiesta dopo che la Banca Centrale Europea ha ritenuto che costringessero i clienti ad acquistare più azioni di quante ne avessero bisogno, aumentando artificialmente le riserve. I report mostrano che le due banche hanno prestato 3 miliardi di dollari, a questo solo scopo, tra il 2013 e il 2016.

“È uno scandalo“, ha dichiarato l’Amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, il 10 ottobre, dopo che la sua banca aveva annunciato la creazione di un fondo di 100 milioni di euro per aiutare i propri clienti a minore reddito che avevano perso tutto acquistando azioni bancarie. “Queste banche hanno tradito la fiducia dei loro clienti”.

La presumibile rinomina del governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, è stata messa in discussione questa settimana dal Partito Democratico a causa della sua gestione delle varie crisi bancarie. “Bisogna scrivere una nuova pagina” alla Banca centrale, ha dichiarato l’ex primo ministro Matteo Renzi questo mercoledì ai giornalisti. “Forse qualcuno ci potrà spiegare cosa è successo fino ad ora sui problemi che ci sono stati e sulla mancanza di supervisione”.

Molti azionisti sono stati colpiti due volte. Dopo che la BCE ha proibito alle banche di ricomprare le azioni nel 2014, queste hanno offerto ai loro clienti prestiti a basso tasso di interesse. Tuttavia, quando le riserve dietro i crediti si sono azzerate, gli interessi che i clienti hanno dovuto pagare alle banche sono esplosi.

Walter Baseggio, pensionato di 74 anni di Montebelluna, città in cui Veneto Banca fu fondata nel 1877, racconta che l’istituto di credito e i suoi impiegati erano sempre stati come una famiglia. Quando è andato in pensione, nel 2009, ha venduto metà della sua concessionaria di auto e ha investito i proventi in azioni della sua banca, senza alcuna esitazione – così come facevano tutti. Gli è costato 800.000 euro.

“Veneto Banca era come una madre per la gente che vive qui, ci proteggeva quando ce n’era bisogno ed era sempre leale con la gente”, ci dice, mentre sorseggia il suo caffè espresso in piazza.

Il sottosegretario alle finanze Paolo Baretta, durante un’intervista a Milano dello scorso mese, ha dichiarato che il governo è determinato a mantenere “vive” molte aziende venete in ogni modo possibile, incluse quelle che hanno debiti ora in mano alla SGA.

“Siamo fiduciosi che il Veneto continuerà a giocare un ruolo determinante come motore della crescita in Italia”, ha detto Baretta.

Mentre i funzionari lavorano al quadro giuridico entro cui SGA dovrà iniziare a operare, i suoi manager stanno trattando con gli istituti di credito nazionali, come Intesa e Banca Ifis, il modo in cui iniziare a gestire i crediti, secondo le persone esperte della materia.

Se le aziende multinazionali venete sono state generalmente rimaste illese dal collasso dei due istituti di credito, il sistema di finanziamento che aveva sostenuto la trasformazione della regione da economia agricola a potenza manufatturiera durante l’ultimo secolo non sarà mai più lo stesso.

“Le banche venete sono state cruciali per la creazione e il sostegno di migliaia di piccole imprese, che sono la spina dorsale dell’economia locale”, ha dichiarato Luigi Zingales, di origine padovana e professore all’Università Booth School of Business di Chicago. “Questo modello oggi è scomparso“.

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