di Michele Giorgio - il Manifesto
È impossibile non vedere
un collegamento tra le parole pronunciate venerdì dal generale e
portavoce delle Forze democratiche siriane, Talal Sillo – «Il futuro
politico di Raqqa sarà determinato nel quadro di una Siria decentrata,
federale e democratica», ha detto – e la visita alla città appena
strappata allo Stato Islamico del ministro saudita per gli affari del
Golfo Thamer as Sabhan, accompagnato dall’inviato speciale Usa, generale
Brett McGurk. E non è insignificante che i liberatori, in gran
parte curdi delle Ypg, abbiano subito consegnato il controllo di Raqqa,
città araba oltre i confini del Rojava, non al governo bensì al
“Consiglio Civile di Raqqa” formato dai rappresentanti di clan sunniti
locali. Il riferimento di Sillo alla «Siria federale» ha fatto
scattare l’allarme a Damasco. «Il futuro di Raqqa sarà deciso
all’interno della struttura dello Stato siriano», ha replicato il
ministro siriano per la riconciliazione nazionale Ali Haidar.
La preoccupazione delle autorità siriane è ben fondata. Se da un lato
i curdi da tempo teorizzano una nuova Siria, “federale”, in cui potrà
trovare realizzazione la loro aspirazione alla piena autodeterminazione,
dall’altro il sostegno diretto che ricevono dagli Stati Uniti e
l’arrivo a Raqqa del ministro saudita, indicano che è in corso una
partita a scacchi dagli esiti incerti e pericolosi. La visita di
as Sabhan non può essere letta come un sincero interesse di Riyadh per
la ricostruzione di Raqqa distrutta per l’80% da bombardamenti aerei e combattimenti. Il ministro non ha solo incontrato i membri del Consiglio Civile. Ha
anche avuto un lungo colloquio con l’ex capo della Coalizione siriana
dell’opposizione, Ahmad al Jarba, che aveva reclutato tanti combattenti
sunniti per farli unire ai curdi nelle Fds.
Con al Jarba, secondo indiscrezioni di fonte siriana, il
ministro avrebbe discusso dell’appoggio saudita, anche economico, alla
separazione dalla Siria attuale di Raqqa e di altre porzioni del nord
del Paese. Per il giornale online Raia al Youm, l’Arabia Saudita mettendo subito piede a Raqqa e mostrandosi vicina ai curdi
siriani, segnala a Turchia e Iran, suoi avversari, che avrà un ruolo di
primo piano nella definizione del futuro del nord della Siria in
armonia, naturalmente, con gli interessi degli Stati Uniti. «Riyadh –
spiega Raia al Youm – così facendo ha anche voluto ringraziare il
presidente Donald Trump per il suo rifiuto di certificare l’accordo sul
programma nucleare iraniano e per le accuse di sostenere il terrorismo e
minare la stabilità della regione che ha rivolto a Tehran».
Cosa l’Arabia Saudita stia concretamente cucinando non è del tutto visibile. Certo
è che l’appoggio della monarchia Saud alla causa curda ha ben poco a
vedere con la realizzazione dei diritti dei popoli oppressi. I
curdi, pensa Riyadh, con la loro lotta per l’autodeterminazione possono
indebolire Siria e Iraq e aiutare indirettamente a contenere l’influenza
iraniana in quei Paesi. Per questo, quattro mesi fa, Saleh Muslim, capo
delle Fds, è stato ricevuto con tutti gli onori dall’Arabia Saudita,
dove aveva vissuto per 13 anni tra gli anni ’70 e ’80. In queste ore
inoltre i media vicini all’Arabia Saudita denunciano il sostegno che
Tehran sta offrendo all’offensiva militare di Baghdad nel nord contro i
curdi rappresentati come vittime dell’espansionismo iraniano.
I disegni e le speranze dei sauditi però potrebbero rivelarsi
inconsistenti, dice l’analista Nidal Hamadeh, alla luce della
«inaffidabilità» di Washington «resa evidente – spiega –
proprio dalla vicenda di Kirkuk, dove gli americani non hanno mosso un
dito per aiutare gli storici alleati curdi iracheni». E lo stesso,
aggiunge l’analista, potrebbe accadere anche a Raqqa se Damasco, con
l’appoggio del gruppo di Astana (Russia, Turchia e Iran), deciderà di
togliere con la forza alle Fds e ai curdi il controllo di quella città.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento