Si avvicinano le giornate di mobilitazione del 10 novembre con lo sciopero generale promosso in particolare da Usb, e il corteo nazionale dell’11 lanciato da Eurostop. Questi appuntamenti di rilevanza nazionale cadono in un contesto molto diverso dalle giornate dello scorso autunno, che segnarono un punto alto della mobilitazione sindacale e politica contro il tentativo di controriforma costituzionale targato Renzi, Pd e Ue. Il governo Renzi, nonché l’Unione europea, subirono la pesante sconfitta referendaria, frenando (ma certo non incrinando) il rafforzamento della restaurazione istituzionale nel paese. L’ostilità della gran parte della popolazione al progetto liberista autoritario risolse nel breve periodo i limiti di una sinistra che, per fortuna, poco incise nella battaglia referendaria (altrimenti avremmo avuto Renzi presidente a vita). La battuta d’arresto del progetto ordoliberale non trovò, però, gli interpreti politici in grado di approfittare del momento di debolezza. L’ennesimo treno perso, insomma. Erano completamente assenti le condizioni soggettive affinché quella vittoria potesse sedimentare i tratti di un nuovo e diverso progetto politico. L’unico agente politico potenzialmente in grado di approfittare della sconfitta del renzismo, il partito grillino, certificava proprio in quei giorni la sua subalternità alle regole del gioco parlamentare, incapace di andare al di là di una critica legalitaria al “malcostume politico” della classe dirigente, chiudendosi nell’inutile opposizione nei banchi parlamentari, spaventato dalla piazza, dalla mobilitazione, inadeguato a raccogliere quel rifiuto che pure assumeva forma materiali. A distanza di un anno il quadro politico nazionale si è relativamente stabilizzato, e questo autunno freddo – l’ennesimo – non fa che confermare una tendenza ormai storica. In questo deserto politico e nella sostanziale tregua sociale, il campo dell’opposizione politica e sindacale alle politiche liberiste del governo Gentiloni sceglie comunque la strada della mobilitazione, dello sciopero e della manifestazione. E’ un segno, quantomeno, di coerenza. Le giornate di lotta a novembre si annunciano difficili sia per le debolezze del nostro campo, diviso, frammentato, molto spesso poco incisivo, sia perché l’attacco ai diritti sociali e alla libertà di espressione negli ultimi mesi ha subito un’accelerazione, incentivata dai decreti Minniti-Orlando convertiti in legge, e che in particolare a Roma si è palesata nel provocatorio atteggiamento di questura e prefettura che hanno limitato fortemente il diritto di manifestare (i divieti ai presidi sotto le ambasciate di Francia e di Spagna, la negazione della piazza sindacale lo scorso 29 settembre, solo per riferire gli esempi più recenti) sono i fatti più emblematici di una logica autoritaria e preventiva.
Le due giornate di lotta costituiscono un passaggio non più rimandabile, non rituale, per far scendere in piazza un pezzo della sinistra di classe, il mondo del lavoro tradizionale e precario, ma non basterà certo questo per guadagnare forza e credibilità nel blocco sociale oggi politicamente disperso o convinto dal movimentismo populista. Il sindacato decide di scioperare su di una piattaforma sindacale ma al tempo stesso politica, perché oggi la partita si gioca nella capacità di generalizzare e politicizzare un’esigenza sociale, non tanto nel contrattare pezzi di vertenzialità, che pure rivestono una loro importanza. Nonostante lo strepitio mediatico sull'“ingovernabilità” elettoralistica, andiamo incontro a una stabilizzazione dello scenario politico e sociale, a prescindere dalla composizione del prossimo governo: il pilota automatico euro-liberista è inserito e la velocità di crociera permarrà invariata qualsiasi sarà il momentaneo escamotage governista post-elettorale. Le prossime elezioni ci potrebbero consegnare un panorama politico in cui sembra impossibile scorgere anche solo suggestioni di discontinuità. La sinistra istituzionale è certo fuori dalla partita, e il mondo grillino dovrà fare i conti con l’impossibilità di governare, tutto questo in una condizione generale di crescente paura sociale e di guerra tra poveri. Ci aspetta quindi un cammino impervio, dove la costruzione del programma politico-sociale deve trovare momenti aggregativi, concreti, non politicisti e poco ideologici, campagne di lotta, sensibilizzazione e di opinione capaci di cogliere le contraddizioni concrete che si muovono nel tessuto sociale, sapendole “abitare” da dentro, e non – come sempre in questi anni – rincorrendole da fuori. Finito il periodo delle scorciatoie politiche di vario tipo, non rimane che formulare soluzioni davvero originali alla restaurazione in corso.
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