08/01/2018
Liberi e uguali, i vecchi marpioni del “voto inutile”
Ci ricordiamo spesso che degli esseri umani va preso sul serio quel che fanno o hanno fatto, mentre non è il caso di credere troppo a quel che dicono di sé o che promettono per il futuro. Con questo criterio nessun “politico italiano” è anche solo minimamente credibile.
Ma il record della falsità – Berlusconi a parte, inarrivabile in questo miserabile sport – spetta sicuramente alla microgalassia di personaggi raccoltisi in “Liberi e uguali”. Ieri si sono riuniti per presentare la propria lista ed elencare i miracoli che faranno una volta eletti ed entrati in un governo (su questo non ci sono dubbi: “saremo responsabili”, escludendo in modo abbastanza obliquo solo il dialogo “con la destra”, senza scendere troppo in dettagli).
Lo spazio politico che hanno individuato come “scoperto” è quello della “sinistra dell’establishment”, ossia quello che avevano dovuto dismettere nei quattro anni di ubriacatura reazionaria renziana (salito al vertice grazie anche al loro concorso, per complicità o dabbenaggine). L’intento è esplicito: riaprire quella finta dialettica tra “centrodestra” e “centrosinistra” che ha avvelenato i pozzi della politica italiana, obbligando un paio di generazioni a lambiccarsi il cervello intorno al “voto utile”. Ovviamente quello indispensabile, decisivo, ultimativo, “per sbarre la strada alla destra” con cui poi si sarebbero fatti accordi e governi.
Questa accolta di personaggi di seconda fila – Pietro Grasso, Maria Cecilia Guerra, Loredana De Petris, Roberto Speranza, Nicola Fratoianni, Pippo Civati, Pier Luigi Bersani, Laura Boldrini, Vasco Errani, Enrico Rossi, ecc (assente solo D’Alema perché “in missione” in Iran) – ha sciorinato il suo bravo “programma”, lo slogan stampigliato sul fondale (“per i molti non per i pochi”, scimmiottando maldestramente Jeremy Corbyn), le promesse che non possono mai mancare. Tipo “aboliremo le tasse universitarie”, “riformeremo la legge Fornero sulle pensioni”, fino alle mirabolanti riforme delle “riforme” del lavoro: “La nostra battaglia sarà far tornare prevalenti i contratti a tempo indeterminato. Serve un nuovo contratto a tutele crescenti, che reintroduca le garanzie tolte dal Jobs Act. Gli altri aboliscono le tasse, noi aboliamo il precariato”.
Ora, non serve la memoria di un elefante per ricordare a questi “personaggetti” che proprio loro – e massimamente Grasso e Boldrini, in veste di presidenti dei due rami del Parlamento – senza battere ciglio né esercitare un minimo di resistenza, ancorché passiva, hanno fatto approvare con il proprio voto favorevole tutte le schifezze che ora giurano di voler abolire. Non c’è stata iniziativa renziana cui si siano opposti, almeno fin quando la forzatura sulla Costituzione non li ha convinti che la loro traiettoria dentro il Pd si era definitivamente conclusa.
Buttati fuori, estromessi, emarginati e derisi, si sono riscoperti “progressisti”, antiberlusconiani (i governi Monti, Letta e la prima parte di quello Renzi li hanno visti votare compatti al fianco degli uomini del Cavaliere Interdetto), ansiosi per le condizioni materiali di giovani e lavoratori. Ma, anche qui, molti possono ricordare la legalizzazione della precarietà contrattuale aperta con il “pacchetto Treu” (addirittura nel 1997, primo governo Prodi), le privatizzazioni che hanno regalato monopoli pubblici ai privati (Autostrade, Telecom, Alitalia, ecc), le “liberalizzazioni” che hanno devastato quasi tutti i comparti del mercato (a cominciare dalle condizioni di lavoro), la guerra di aggressione alla Jugoslavia, le riforme delle pensioni (che hanno vigorosamente falcidiato, alternandosi con Maroni), il “modello Coop” fatto diventare legge con il Jobs Act, i daspo urbani e i decreti Minniti-Orlando, i Cie e l’accordo con il bandito Al Serraj contro i migranti.
Ma anche senza esercitare le virtù della memoria, basta guardare come parlano del rapporto con l’Unione Europea: “L’Italia non potrà avere un futuro fuori dalla Ue, ma la Ue non potrà avere un futuro senza rivedere in profondità i trattati e senza chiudere con l’austerità“. Avanti così, insomma, con giusto un poco di flessibilità in più... Un’illusione destinata a scomparire già a maggio-giugno, quando la Commissione Ue chiederà con forza cogente una “manovra correttiva” molto pesante sui conti pubblici; che loro approveranno per mostrarsi come sempre “responsabili”. Anzi, i più responsabili di tutti...
Non ci sarebbe ragione di occuparsi di questi personaggi squalificati se non cercassero di dimostrarsi per quello che non sono: “progressisti”. La loro funzione, come detto, è quella di recuperare consensi fuggiti nell’astensione o nel voto per i Cinque Stelle, e ricominciare il balletto degli ultimi 25 anni. Il giorno che il capitale finanziario deciderà di liberarsi di Renzi, lo sostituiranno con autentica gioia sotto lo slogan “ricostruiamo l’unità dei democratici”.
Il voto per loro, in definitiva, è il voto più inutile. Quasi suicida...
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