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21/02/2018

Delocalizzazioni e intervento pubblico in economia

Il caso Embraco per il quale sono previsti 497 licenziamenti (senza dimenticare quelli Asset, Kflex, Alstom, tanto per restare alla stretta attualità) ha riportato in primo piano il tema delle delocalizzazioni selvagge.

Inutile spiegare il meccanismo ben noto a tutti, drammaticamente.

Il ministro Calenda (già molto cauto circa la risoluzione della vicenda Alcoa) è sbottato parlando di “gentaglia” con riferimento ai padroni e ha invocato l’intervento dell’Europa e proposto la costituzione di un fondo statale da utilizzarsi per affrontare, appunto, il fenomeno.

Fenomeno che da decenni devasta il nostro panorama industriale, reso sempre più debole dalla progressiva assenza nei settori strategici, dall’incapacità di affrontare il tema del rapporto tra ambiente e industria, dal processo di dismissione dell’IRI e di privatizzazioni avviato fin dal pentapartito negli anni ’80, con Prodi Commissario della stessa IRI (1982 – 1989, con cessione di 29 aziende e liquidazione di Italsider, Italstat, Finsider) e, in precedenza, ministro dell’Industria con Andreotti presidente del consiglio (governo Andreotti IV, VII legislatura). Questo per la verità storica.

Ciò ricordato appare indispensabile per la sinistra d’opposizione portare nel dibattito politico almeno tre punti fondamentali:

1) non si tratta di invocare l’Europa ma di rompere la gabbia che la UE ha costruito intorno alle ragioni della produzione;

2) il “fondo” invocato dal Ministro appare come un semplice palliativo. Il punto sta nella possibilità di programmazione pubblica dell’economia e di intervento diretto dello Stato all’interno di un processo complessivo di reindustrializzazione del Paese: processo di ammodernamento tecnologico, recupero dei siti industriali uscendo dalla logica speculativa, ambientalizzazione delle produzioni. Insomma: un grande sforzo di investimenti programmati e finalizzati in luogo della miriade di bonus, incentivi, sgravi, ecc;

3) la gestione pubblica di utilities energetiche e infrastrutture in funzione appunto di un piano industriale.

Ovviamente siamo di fronte ad ostacoli molto difficili da superare per attuare un piano del genere (attenzione, però: la globalizzazione sta cambiando verso, almeno nella forma considerata fin dagli anni’80) ma la sinistra d’opposizione ha l’obbligo di impadronirsi di questi temi, farne oggetto di proposta politica in una logica di concreta alternativa di sistema.

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