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25/02/2018

Afghanistan, nuovi attentati per la supremazia jihadista

I taliban nelle province di Helmand e Farah, l’Isis afghano a Kabul. Dopo neppure un mese riprende la sfida a distanza fra i due gruppi che si contendono la supremazia jihadista nel Paese. E dunque un commando talib ha attaccato stamane una base militare a Humvee e successivamente ha fatto esplodere un’autobomba presso il fortino dell’Intelligence locale a Lashkar Gah, una delle città fortemente insidiate dal contropotere territoriale talebano. Altro agguato dei turbanti a Bala Boluk, ed è il più sanguinoso. Solo qui si contano diciotto morti, tutti militari di guardia al check point preso di mira dalla guerriglia. In totale le vittime accertate della mattinata s’aggirano sulle doppia dozzina, comprese le tre o quattro vittime civili registrate nella capitale. Lì nei pressi della zona verde, area diplomatica centrale e teoricamente controllatissima, un attentatore suicida s’è fatto esplodere coinvolgendo alcuni passanti. Era stato notato dai militari di vedetta per l’insolito abbigliamento: portava al collo una cravatta che lo stesso personale diplomatico sul territorio omette. All’intimare delle guardie di farsi riconoscere, l’uomo azionava l’ordigno che indossava sotto la giacca. Deflagrazione e sangue a fiotti. Secondo un copione consolidatissimo si registrano anche diversi feriti, due in condizioni critiche.

L’attacco a Kabul, rivendicato dall’Isis, pur non riuscendo a colpire direttamente il quartier generale della Nato e l’ambasciata statunitense, sembrerebbe diretto simbolicamente proprio a essi, visto che nel corso del mese di fuoco (28 dicembre 2017-27 gennaio 2018) l’amministrazione Trump aveva annunciato di attuare l’incremento di militari statunitensi, sebbene il numero resti circoscritto alle 3.000 unità proposte. Il governo locale ha lanciato solo laconici comunicati sui nuovi luttuosi eventi che vedono le forze di sicurezza incapaci non solo di prevenirli, ma spesso di gestire l’emergenza sulla linea di fuoco. Mostrando, d’altro canto, una pseudo normalità grande enfasi in questi giorni viene data all’avvìo dei lavori sul territorio afghano del famoso gasdotto denominato TAPI, acronimo ripreso dalle nazioni attraversate dall’opera (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan, India). Cosicché nella provincia di Herat, delegazioni provenienti da varie località sono intervenute alla cerimonia d’inaugurazione, vestendo costumi tradizionali e inscenando intermezzi musicali e danzanti. Secondo dichiarazioni raccolte da Tolo-tv il governatore, un rappresentante del comitato della cittadinanza, un esponente tribale hanno parlato di sviluppo e miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro grazie a quest’opera.

C’è un piccolo particolare. Il gasdotto, già nei piani statunitensi ai tempi delle presidenze Clinton che vedeva (e vede assieme alla saudita Delta Oil) la Unocal al vertice dell’impresa, attraversa per quasi 800 km il territorio afghano lungo le province di Herat, Kandahar, Helmand. Le ultime due se non ufficialmente a guida talebana poco ci manca. Dunque i talebani nel bene e nel male, rappresentati da sabotaggi d’ogni tipo, sono un soggetto con cui le imprese costruttrici devono fare i conti. Per anni, lo stesso conflitto e la via dell’oppio hanno insegnato come il business pur di procedere paga qualsiasi prezzo, perciò l’accordo è e dovrebbe essere possibile almeno con l’interlocutore talebano, interessato alle sorti del territorio e dello stato afghano addirittura con mire di governo. Ora, però, è spuntato un terzo incomodo: l’Isis locale, che sia nelle figure della diaspora talib, sia nelle nuove leve dell’Islamic State Khorasan Province, sembra disinteressato ai patteggiamenti e potrebbe seguire direttive diverse. Insomma la partita dell’acclamato investimento del TAPI – che rispetto alle altre nazioni coinvolte porta all’Afghanistan una quota ridotta sia di consumi di metano (4 milioni di metri cubi giornalieri dagli iniziali 14), sia d’introiti per l’attraversamento – non è affatto scontata sul fronte della sicurezza. E gli obiettivi simbolici che i jihadisti d’ogni fronte continuano a colpire, potranno rivolgere il mirino anche sull’investimento del gas, quale ennesimo tassello d’instabilità duratura.

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