di Michele Giorgio – Il Manifesto
Qualche anno fa Benyamin
Netanyahu parlò all’Assemblea Generale dell’Onu mostrando il disegno di
una bomba con la miccia accesa, simile a quella dei cartoni animati,
per accusare l’Iran di essere sul punto di assemblare un ordigno
atomico.
Due giorni fa alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco il premier
israeliano stringeva tra le mani un pezzo del presunto drone iraniano,
decollato dalla Siria e abbattuto una decina di giorni fa da Israele. «Signor
Zarif, lo riconosce? Questo è il vostro», ironizzava domenica Netanyahu
rivolto al ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Pronta
la replica. Il premier israeliano è un «fumettista da circo»,
uno che usa i cartoni animati «per giustificare errori strategici o
forse per evitare la crisi interna», ha commentato il capo della
diplomazia di Tehran.
Ma il siparietto offerto da Zarif e Netanyahu a Monaco se da un lato
ha fatto felici le tv di tutto il mondo, dall’altro non è stato una
farsa. Gli avvertimenti che l’hanno accompagnato, lanciati da una
tribuna come quella della Conferenza sulla Sicurezza, fanno capire
quanto si sia avvicinata la resa dei conti tra Tel Aviv e Tehran di cui
si parla da anni. E a confermarlo è stato ieri il generale Nizan Alon,
capo delle operazioni delle forze armate israeliane.
«Nel 2018 c’è il potenziale per una escalation, non
necessariamente perché una delle parti voglia dare il via, ma a causa
del graduale deterioramento della situazione», ha avvertito Alon
parlando ieri ai microfoni della radio dell’esercito, Galei Tzahal.
Israele non accetta – il generale è stato fin troppo esplicito – che,
contro le previsioni e, soprattutto, gli auspici dell’establishment
politico e militare dello Stato ebraico, il presidente siriano Bashar
Assad sia stato in grado di capovolgere la situazione critica in cui si
trovava nel 2012-13 e sia emerso vincitore da quasi tutte le battaglie
che hanno insanguinato (e ancora insanguinano) le strade e le città del
suo Paese. Vittorie ottenute grazie anche all’aiuto giunto
dall’aviazione russa nonché dall’Iran e dal movimento sciita libanese
Hezbollah. Parti che non hanno alcuna intenzione di lasciare presto la
Siria, come vorrebbe il governo Netanyahu.
Alon ha indicato una nuova guerra con Hezbollah come lo
scenario più probabile, capace di allargarsi su vari fronti. «La guerra
con gli Hezbollah potrebbe coinvolgere altri attori che dovremo
combattere», ha detto in evidente riferimento al movimento
islamico Hamas che Israele descrive come una estensione dell’Iran nella
Striscia di Gaza. «Se la prossima guerra scoppierà sarà molto dura per i
nostri avversari. Non penso che nessun cittadino israeliano vorrà
scambiare il posto con un libanese», ha aggiunto lasciando capire che il
Paese dei Cedri subirà l’urto di un attacco distruttivo di Israele.
Non andrà meglio agli abitanti di Gaza che quasi quattro anni
dopo l’offensiva “Margine Protettivo” hanno capito che presto dovranno
fare i conti con un nuovo ampio attacco, almeno a giudicare dalla
crescente durezza dei raid aerei israeliani seguiti (ma non sempre) ai
lanci (sporadici) di razzi dalla Striscia. E il movimento
islamico è pronto al nuovo round. «Hamas non vuole una escalation con
Israele. Tuttavia la resistenza palestinese, assistita dal diritto
internazionale, è pronta a rispondere ad ogni aggressione israeliana»,
ha avvertito Mahmud Zahar, l’ex ministro degli esteri del movimento
islamista.
Se le performance pubbliche di Benyamin Netanyahu e gli scontri tra
l’aviazione israeliana e la contraerea siriana occupano le pagine dei
media internazionali, dietro le quinte il quadro è in continuo
mutamento. Israele è molto attivo sul terreno scriveva ieri il
quotidiano di Tel Aviv Haaretz, riferendo che il governo Netanyahu sostiene in Siria almeno sette gruppi ribelli sunniti, ai quali invia armi, munizioni e denaro.
Amos Harel, esperto di Haaretz per le questioni militari, ha
spiegato che l’aiuto alle forze ribelli rappresenta una nuova strategia
per impedire che l’esercito governativo siriano, e i suoi alleati
iraniani e libanesi, riprendano il controllo del territorio nazionale a
ridosso delle Alture del Golan occupate da Israele. Alcuni dei gruppi
jihadisti sunniti hanno riferito alla analista Elizabeth Tsurkov, citata
da Haaretz, che gli israeliani li hanno aiutati lanciando
attacchi con droni e missili anti tank, fornendo armi, aiuti umanitari e
anche fondi per acquistarle.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento