Chi è Luis de Guindos, indicato come il prossimo numero due della Banca Centrale Europea? Sebbene sia un comprimario che lavorerà all’ombra del più influente Governatore, si tratta di una figura emblematica: nel suo piccolo, la parabola di de Guindos fornisce una perfetta rappresentazione di quella élite che tiene le redini dell’Europa. La sua storia è un affresco della crisi che parte dal crack finanziario globale del 2008 e giunge fino alle più drammatiche conseguenze dell’austerità in Europa. Come vedremo de Guindos, una vita dalla parte dei più forti, si è conquistato il posto di vicepresidente della BCE lavorando alacremente a quella lotta di classe dall’alto verso il basso che ha consentito ad una ristretta cerchia di affaristi, banchieri e speculatori edilizi di mettere in ginocchio l’intera Europa.
Il primo capitolo di questa storia ci porta a New York, nella notte del 15 settembre 2008, quando la Lehman Brothers – la quarta banca d’affari degli Stati Uniti – dichiara il fallimento scatenando una serie di insolvenze che farà crollare le borse statunitensi ed europee: è l’inizio della grande crisi. Nel fallimento della Lehman Brothers culminava la cosiddetta crisi dei subprime, mutui immobiliari concessi ai più poveri cittadini americani, debitori privi di alcuna garanzia (nè un reddito stabile, nè un lavoro sicuro per assicurare la restituzione del prestito). Questi mutui vengono successivamente impacchettati, attraverso alchimie contabili e con il beneplacito delle più autorevoli agenzie di rating, in succulenti prodotti finanziari diffusi in tutto il mondo. Nello specifico, stiamo parlando di particolari titoli derivati chiamati ABS (asset backed securities), spacciati ai risparmiatori come imperdibili affari ma in realtà una opaca trappola ad orologeria, pronta ad esplodere di lì a poco. Non appena la massa di working poors americani – soffocati dai debiti e impoveriti dallo scoppio di una bolla immobiliare – ha smesso di pagare le rate del proprio mutuo, come era facilmente prevedibile, il castello di carte costruito su quei prestiti spericolati è crollato, portando con sé una miriade di società finanziarie che si erano avventurate, con profitti straordinari, nella complessa galassia dei derivati. Bear Stearns, Freddie Mac, Fannie Mae, State Streets, Wells Fargo, il colosso assicurativo AIG, le banche internazionali Morgan Stanley, Citigroup e Merrill Lynch, in una parola l’intero sistema finanziario statunitense viene investito dal disastro dei subprime. Eppure, solo Lehman Brothers viene lasciata fallire dalle autorità statunitensi, che arrivano a spendere quasi 8.000 miliardi di dollari per salvare tutte le altre società coinvolte. Tutti salvi tranne la Lehman Brothers, perché? Tra le varie ipotesi c’è quella del “contagio strategico”: il colosso dei derivati sarebbe stato lasciato fallire strategicamente, per trasmettere alla finanza europea una crisi fino ad allora confinata negli Stati Uniti.
Il contagio si è effettivamente realizzato, in virtù delle profondissime connessioni emerse tra la Lehman Brothers ed alcuni nodi nevralgici del sistema finanziario europeo: dopo il più grande fallimento della storia statunitense, infatti, importanti banche anglosassoni, tedesche, francesi, olandesi e belghe entreranno in crisi a causa delle perdite inflitte dal crollo delle quotazioni dei derivati promossi anche in Europa dalla Lehman Brothers. Il salvataggio delle banche europee richiederà interventi pubblici per oltre 1.000 miliardi di euro (quando si tratta di difendere i propri interessi, i capitalisti non si mostrano troppo schizzinosi nei confronti dell’intervento pubblico in economia), costringendo i rispettivi governi ad uno sforzo finanziario che è il preludio della crisi del debito pubblico. In questo passaggio cruciale dal tracollo finanziario statunitense alla crisi europea fa la sua comparsa il nostro Luis de Guindos, che dal 2006 era il responsabile di Lehman Brothers per la Spagna e il Portogallo. Lo spagnolo non avrà certo ricoperto un ruolo fondamentale nelle vicende che abbiamo raccontato, ma il suo posizionamento è indicativo della sfera di interessi che rappresenta, e che si pongono tra l’altissima finanza – capace di veicolare l’instabilità finanziaria da un continente all’altro – e la grande speculazione edilizia: secondo uno schema identico a quello dei subprime statunitensi, si diffondono in Spagna in quegli anni mutui considerevoli privi di particolari garanzie che alimentano uno straordinario incremento dei prezzi degli immobili, una bolla speculativa che monta nel cuore dell’Europa mentre l’incendio divampa a Wall Street. Nel clamore del fallimento della Lehman Brothers rischiamo di perdere di vista il piccolo de Guindos, che ha la fortuna di essere assunto immediatamente dopo il crack come consulente dalla multinazionale Pricewaterhouse Coopers, proprio la società che si stava occupando della liquidazione del ramo europeo, con sede a Londra, della Lehman Brothers.
La storia continua in Spagna, dove nel 2011 Rajoy chiama de Guindos a ricoprire la carica di Ministro dell’Economia nel nuovo governo di centrodestra, che porterà avanti lo smantellamento dello stato sociale e la precarizzazione del mercato del lavoro, in piena continuità trasversale con i precedenti governi Aznar e Zapatero. Siamo in piena crisi del debito pubblico europeo con Grecia, Irlanda, Portogallo e Italia in balia della speculazione finanziaria e degli spread alle stelle. Dopo pochi mesi dall’insediamento del governo Rajoy la Spagna finisce nell’occhio del ciclone: esplode la bolla immobiliare e, scena già vista, il peso dei mutui nel portafoglio finanziario delle banche determina il crollo del sistema finanziario del paese coinvolgendo tre delle maggiori istituzioni creditizie di Spagna: Bankia, quella più esposta ai mutui immobiliari, NCG Banco e Catalunya Banc. In questa fase de Guindos svolge un ruolo fondamentale, perché tramite la sua regia si procede ad un salvataggio del sistema finanziario spagnolo attraverso il combinato disposto di aiuti europei e dell’intervento dei due giganti della finanza iberica, Caixa e Santander. Nel piano ideato da de Guindos la Spagna accetta un prestito di 100 miliardi di euro dalle istituzioni europee ed impiega quelle risorse per aiutare le banche più forti del sistema ad acquistare gli istituti travolti dalla bolla immobiliare. Si tratta di uno straordinario processo di centralizzazione del settore creditizio del paese condotto a tappe forzate dal governo sotto l’impulso ed il monitoraggio delle autorità europee. La centralizzazione è quel fenomeno per cui il capitale finanziario, inizialmente diffuso su una moltitudine di banche, tende a trasferirsi dalle unità periferiche al centro per effetto di un mutamento nei rapporti di forza: pochi grandi colossi finiscono così per spartirsi una torta prima contesa da tante banche minori. Il settore creditizio spagnolo si allontana così dai territori concentrandosi nelle mani di poche, potentissime, istituzioni finanziarie di respiro internazionale: chiudono più di 6.000 sportelli, spariscono decine di banche minori e viene letteralmente spazzato via, tra acquisti e fusioni, quel tessuto di casse di risparmio (le storiche cajas) che, pur tra mille contraddizioni, alimentava lo sviluppo locale.
Questa storica ristrutturazione del sistema finanziario spagnolo è una resa dei conti interna al capitalismo iberico in cui, approfittando della tempesta della crisi, i pesci grandi hanno divorato i piccoli, anche grazie alla rete dell’intervento europeo gettata da de Guindos. Gli aiuti europei, lungi dal tutelare la stabilità delle banche in crisi, sono serviti essenzialmente a favorirne l’assorbimento da parte dei grandi gruppi. La Spagna ne esce con un sistema bancario proiettato più sui mercati globali che non sull’economia reale del paese. Per de Guindos è un successo senza precedenti: le élite europee hanno trovato in Spagna un brillante interprete dei loro progetti di transizione da un’economia mista, appesantita dallo stato sociale e da un’invadente sfera pubblica, ad una moderna economia di mercato orientata al profitto della loro ristretta oligarchia.
Nel suo ruolo di alfiere del disegno europeo, de Guindos si distinguerà qualche anno dopo ai tavoli negoziali sulla crisi greca. Con la vittoria del No al referendum del 2015 sulle nuove misure lacrime e sangue richieste dalla troika, il popolo greco aveva costretto i governanti europei a discutere della rigida applicazione dell’austerità imposta al paese. Come riportato dall’allora Ministro dell’Economia greco, Varoufakis, il nostro de Guindos – nonostante la Spagna fosse a tutti gli effetti tra i paesi della periferia che stavano pagando il prezzo più alto per il rigore europeo – si dimostra in quell’occasione il più acerrimo oppositore di qualsiasi alternativa alla cieca austerità, ostacolando ogni possibile concessione alla Grecia. L’esito di quella trattativa è noto: le autorità europee decideranno di punire il popolo greco ed il suo No all’austerità imponendo al paese condizioni addirittura peggiori di quelle che erano state rifiutate con il referendum.
Sembra forse possibile, giunti a questo punto, capire quali siano le ragioni che hanno condotto de Guindos ai piani alti dell’Eurotower di Francoforte, da dove potrà controllare la stabilità finanziaria europea. Più arduo comprendere chi ancora si ostina a sognare un’Europa dei popoli senza rendersi conto che l’unica Europa che esiste è fatta di speculatori e banchieri.
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