Mentre ad Afrin, nord-ovest della Siria, va di scena lo scontro – per
ora solo a parole – tra Turchia e governo siriano, nel sobborgo di
Damasco di Ghouta est la battaglia è drammatica. Sotto assedio interno
ed esterno dal 2013, con l’esercito siriano e l’aviazione russa che
colpiscono dal cielo e a terra le opposizioni islamiste arroccate in una
zona dove risiedono ancora 400mila persone, Ghouta est è al collasso.
Oggi l’ufficio regionale umanitario delle Nazioni Unite ha
chiesto l’immediata fine dei bombardamenti e lo stop all’escalation che
da domenica ha ucciso oltre 100 persone: “L’imperativo è porre
fine a questa sofferenza umana senza senso, questo colpire civili
innocenti e infrastrutture deve finire ora”, ha detto Panos Moumtzis,
coordinatore per la Siria dell’ufficio Onu. Tra le vittime ci sarebbero
anche 20 bambini, almeno 300 i feriti.
L’ultima controffensiva governativa è stata lanciata
domenica, dal cielo; secondo fonti delle opposizioni potrebbe anticipare
un tentativo di assalto via terra. I precedenti accordi
siglati da Damasco con alcune unità delle opposizioni islamiste presenti
avevano portato ad una parziale evacuazione di Ghouta est, sul modello
di altre intese simili raggiunte nel nord ovest della Siria. Centinaia
di miliziani erano stati condotti a Idlib, provincia nord-occidentale da
anni quasi totalmente sotto il controllo dell’ex al-Nusra, formazione
qaedista che ha monopolizzato la galassia di opposizioni di matrice
islamista.
Ma Ghouta est soffre allo stesso modo. Da mesi, anni, le
agenzie umanitarie denunciano una crisi indicibile, assenza di cibo e
acqua potabile, civili ridotti alla fame e impossibilitati a ricevere
aiuti a causa dei blocchi imposti dal conflitto. Il 14 febbraio
un convoglio dell’Onu è riuscito ad accedere nel sobborgo ma è stato in
grado di rifornire di aiuti solo il 2,6% dei 272mila civili che
necessitano di sostegno immediato.
Al blocco imposto dal governo che non garantisce l’ingresso di aiuti
dall’esterno, si aggiunge il mercato nero gestito spesso dalle
opposizioni, un incremento dei prezzi di prima necessità che rende
impossibile l’acquisto da parte di una comunità allo stremo. E, denuncia
l’Onu, “il tasso di malnutrizione ha raggiunto livelli senza
precedenti, con l’11,9% dei bambini sotto i cinque anni gravemente
malnutriti”.
Eppure Ghouta est – insieme a Idlib, a Quneitra e Deraa nel
sud del paese e a Rastan e Talbiseh nella provincia di Homs – ricade
all’interno dell’accordo siglato ad Astana da Turchia, Iran e Russia e
delle quattro de-escalation zone previste. Ovvero zone in cui
dovrebbe essere entrato in vigore un ampio cessate il fuoco tra governo e
opposizioni, sotto la supervisione dei rispettivi sponsor
internazionali.
Se a Idlib a dicembre il governo ha lanciato una nuova
controffensiva, lo stesso accade nel sobborgo di Damasco. Dall’inizio di
febbraio, quando le violenze sono riprese con maggiore intensità, le
vittime tra i civili sarebbero almeno 300. E la possibile operazione via
terra – che sarebbe confermata dai rinforzi inviati dal governo di
Assad nelle ultime settimane – potrebbe esarcerbare ulteriormente una
situazione già collassata. Secondo il quotidiano siriano al-Watan
e l’Osservatorio Siriano, ente basato a Londra e vicino alle
opposizioni fin dal 2011, negoziati sarebbero in corso per giungere ad
un nuovo accordo di evacuazione dei miliziani.
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