di Michele Giorgio - il Manifesto
Due sere fa è arrivata la decisione: il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato all’unanimità una risoluzione che per «almeno 30 giorni» dovrebbe far cessare i bombardamenti in tutto il paese, incluso il distretto di Ghouta. La tregua dovrebbe partire «senza indugi». All’accordo si è arrivati dopo vari rinvii: la
Russia, alleata di Damasco, minacciava di porre di nuovo il veto se non
fosse stata messa in evidenza la presenza nella zona di formazioni
terroristiche e il diritto delle forze armate siriane di cacciarle via.
Mentre all’Onu si cercava un compromesso, combattimenti e bombardamenti proseguivano senza sosta.
Ieri sarebbero rimaste uccise altre 32 persone, tra le quali 8 bambini,
che sostiene l’opposizione siriana, vanno ad aggiungersi ai 510 civili
morti, fra cui 127 bambini, nei raid aerei e nei cannoneggiamenti
dell’esercito siriano in corso dal 18 febbraio.
Se è evidente la drammaticità della condizione dei civili che si trovano in quell’area, occorre sottolineare che sul numero di morti e feriti non ci sono verifiche indipendenti.
Di fatto i media internazionali continuano a far riferimento a una sola
fonte, l’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra,
una Ong legata a doppio filo all’opposizione siriana e apertamente
schierata contro il presidente Bashar Assad. Si continuano
peraltro ad oscurare le vittime dei lanci di razzi e colpi di mortaio
sparati sui quartieri residenziali di Damasco dai gruppi jihadisti e
qaedisti asserragliati nella Ghouta, dove si troverebbero anche
centinaia di miliziani ceceni. Il governo ripete che è inaccettabile la
presenza di formazioni terroristiche a pochi chilometri dalla capitale,
sempre più spesso presa di mira.
«Oggi vedremo se la Russia ha una coscienza», ha commentato
l’altro ieri, entrando in Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatrice Usa
Nikki Haley che voleva una risoluzione di condanna solo della Siria e
della sua campagna militare. Gli altri Paesi del CdS invece hanno cercato il compromesso con Mosca.
La bozza modificata, secondo le indiscrezioni che giravano
ieri al Palazzo di Vetro, prevede 30 giorni di cessate il fuoco «senza
ritardi», senza però precisarne i tempi. La bozza precedente
invece chiedeva che la tregua entrasse in vigore 72 ore dopo l’adozione
del testo da parte del Consiglio Onu. La nuova versione inoltre
precisa che la tregua non si applicherà alle operazioni contro l’Isis e
al Qaeda e contro «individui, gruppi ed entità associate» ai gruppi
terroristici. Il testo infine chiede di rimuovere tutti gli assedi, non solo quello governativo a Ghouta Est
– sono diversi i centri abitati siriani circondati dalle formazioni
“ribelli” – e ordina a tutte le parti di «smettere di privare i civili
di cibo e medicine indispensabili alla sopravvivenza».
Mosca da parte sua spinge per un ritiro negoziato dei ribelli e delle loro famiglie come avvenuto in altre aeree della Siria,
in particolare ad Aleppo di cui il governo ha ripreso il controllo
pieno a dicembre del 2016. Ma i jihadisti rifiutano questa soluzione.
AGGIORNAMENTI
Secondo l’opposizione siriana, nonostante la tregua raggiunta sabato,
ieri si sarebbero registrati nuovi scontri tra le forze governative e i
“ribelli” vicino alla capitale Damasco. Fonti dell’opposizione hanno
fatto sapere che i caccia governativi hanno colpito alcune cittadine
nella Ghouta orientale. L’Osservatorio siriano per i diritti umani
(OSDU), ong di stanza a Londra e vicina all’opposizione, parla di 9
persone morte e 31 ferite nei raid di ieri compiuti dal regime. Al
momento la notizia non è stata commentata dall’esercito siriano.
L’Osdu, inoltre, ha detto ieri che un bambino di tre anni è morto e
altri 13 sono rimasti intossicati (una donna sarebbe in gravi
condizioni) in seguito ad un sospetto attacco chimico del governo nel
villaggio di al-Shifuniyah, sempre nella Ghouta orientale. Yaqub, un
medico che sostiene di aver curato le persone rimaste colpite dal raid,
ha detto all’Associated Press che si tratterebbe “probabilmente di un
attacco con il gas clorino”.
E’ stato arrestato a Praga, intanto, l’ex leader del principale
partito curdo siriano (PYD), Saleh Muslim. Secondo il partito, l’arresto
sarebbe avvenuto su richiesta di Ankara: un tribunale turco lo aveva
già accusato in passato di “sedizione” e “di rompere l’unità dello
stato”. Il presidente turco Erdogan ha chiesto alla Repubblica Ceca la
sua estradizione in Turchia così “da assicurarlo alla giustizia”. Su
Twitter la polizia ceca ha detto di aver arrestato un 67enne su
richiesta dell’Interpol turca, ma non ha rivelato il nome del detenuto.
Muslim, secondo la coalizione TEV-DEM di cui fa parte, sarebbe stato
arrestato sabato.
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