L’accordo sarebbe stato raggiunto: l’esercito siriano avrebbe
accettato di entrare ad Afrin a sostegno delle unità di difesa popolari
curde Ypg/Ypj. A renderlo noto sono gli stessi combattenti del cantone
di Rojava, il più occidentale, dal 20 gennaio sotto le bombe turche
dell’operazione “Ramo d’Ulivo”.
Dopo l’inizio dell’offensiva Afrin aveva chiesto a Damasco di
intervenire, vista la violazione di sovranità dello Stato siriano
compiuta dal vicino. Ma, avevano fatto sapere fonti interne al governo,
l’appello era stato rigettato. Sullo sfondo il ruolo poco
trasparente della Russia che aveva subito ritirato le truppe e gli
osservatori presenti nel nord della Siria per evitare – come nel caso di
Manbij con gli Stati Uniti – uno scontro diretto tra Mosca e Ankara.
Oggi Nuri Mahmoud, portavoce delle Ypg, tramite al Jaazera
ha fatto sapere che le truppe siriane sono attese in un paio di giorni e
ha ricordato l’appello: l’esercito siriano intervenga “per preservare
l’unità del paese”. Una richiesta in linea con la posizione
assunta da anni dai cantoni di Rojava e dal progetto di confederalismo
democratico: non la separazione dalla Siria ma uno Stato federale,
riflesso dal nome che lo scorso anno le comunità settentrionali si sono
dati, “Federazione del Nord della Siria”.
Ankara al momento non commenta. Non commenta neppure le parole di ieri di Badran Jia Kurd, membro della Federazione, che alla Reuters ha detto che l’esercito
siriano si dispiegherà al confine e potrebbe entrare ad Afrin entro
due giorni. Insomma, l’accordo – dice – è stato raggiunto. Non commenta
neppure Damasco. Le relazioni tra curdi e governo centrale,
durante questi anni di guerra civile, è stato di semi-indifferenza:
entrambi hanno voluto evitare scontri diretti, sebbene di conflitti
limitati se ne siano registrati.
Nei mesi scorsi, subito dopo il referendum sull’indipendenza nel
Kurdistan iracheno, a fine settembre, Damasco affermò la volontà di
trovare una soluzione federale per la questione curda. Allo stesso tempo
i rappresentanti politici di Rojava, il partito Pyd, sono
sempre stati esclusi dai tavoli della diplomazia, da quelli Onu di
Ginevra a quelli russo-turchi-iraniani di Astana. Solo il mese scorso il
Pyd è stato invitato da Mosca a Sochi, per il Congresso nazionale, ma non si è presentato proprio a causa dell’offensiva turca, appena partita.
In questo caso Jia Kurd sottolinea che l’accordo raggiunto è
meramente militare, di difesa dei confini siriani, e non prevede intese
politiche: “Quando si affronteranno le questioni politiche e
amministrative nella regione, ci accorderemo con Damasco attraverso
negoziati diretti”.
L’eventuale intervento siriano modificherebbe alla radice non
solo l’operazione “Ramo d’Ulivo” ma anche i complessi equilibri
bellici. La Turchia di Erdogan ha lavorato duramente, dal 2011,
per far cadere Assad attraverso il finanziamento e il sostegno militare
ai gruppi di opposizione, sia “moderati” che islamisti. Senza
riuscirsi. Il fallimento l’ha spinta – insieme al pericoloso crollo
delle relazioni con la Russia – ad aderire ai piani negoziali di Mosca.
Un confronto turco-siriano ad Afrin, dunque, metterebbe a repentaglio i
risultati raggiunti e difficilmente sarebbe approvato dalla Russia.
Allo stesso tempo Damasco è consapevole che l’operazione di Erdogan sta seriamente minando il progetto di riprendersi il paese: non
solo la Turchia ha già ampiamente annunciato l’intenzione di avanzare
verso est, verso Manbij e addirittura fino al confine con l’Iraq, ma sta
ampiamente armando opposizioni – Esercito Libero, Ahrar al-Sham, forse
al-Nusra – impegnate anche ad Idlib, la provincia nord-ovest
dove Damasco ha lanciato a dicembre una nuova controffensiva. A
dimostrazione che la guerra non è affatto finita.
AGGIORNAMENTO ore 12 – TV DI STATO SIRIANA CONFERMA
La tv di Stato siriana Sana ha confermato l’accordo con le forze
curde e l’arrivo delle truppe di Damasco “entro poche ore” per
respingere l’attacco della Turchia: “Le forze popolari – ha riportato la
tv – arriveranno ad Afrin nelle prossime ore per sostenere la
resistenza del suo popolo nel confrontare l’aggressione che le forze del
regime turco hanno lanciato contro la regione”.
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