In Francia, i sindacati dei ferrovieri annunciano una grande mobilitazione per il 22 marzo prossimo, decisi a farsi sentire da un governo «arrogante, vendicativo e poco disponibile ad ascoltare quelli che gli parlano e gli fanno delle domande», come dichiara il segretario della CGT, Philippe Martinez. Per lui, Emmanul Macron «vuole dividere quelli che hanno ben poco. Lo ha fatto con i pensionati e i giovani: i pensionati sarebbero dei privilegiati e i giovani non avrebbero niente. Con i lavoratori dipendenti è lo stesso: ogni volta divide quelli che hanno ben poco da quelli che non hanno nulla».
Per proporre, anzi imporre, il suo progetto di riforma delle ferrovie, il governo ascolta una sola campana, quella del rapporto dell’ex amministratore delegato di Air France, «senza chiedere il parere dei diretti interessati», ferrovieri e utenti, aggiunge Martinez, che ricorda l’atteggiamento, ben diverso, di Emmanuel Macron nei confronti degli amministratori delegati delle 140 più grandi multinazionali, esperte in evasione fiscale, ricevuti in gran pompa al castello di Versailles alla vigilia del Forum di Davos.
Al Salone dell’Agricoltura, che ha aperto le porte a Parigi sabato, Macron risponde a un ferroviere, che gli fa delle domande sulla riforma che il governo intende varare, dichiarando che non possono esserci «da un lato, degli agricoltori che non hanno una pensione e, dall’altro, dei pubblici dipendenti la cui posizione non può cambiare». Secondo Macron «sarebbe una follia» assumere ferrovieri con la stessa posizione di cinquant’anni fa, visto che il loro ritmo di lavoro, a suo avviso, è molto diverso.
Secondo la CGT, il rapporto commissionato dal governo di Edouard Philippe non mette a fuoco i veri problemi delle ferrovie francesi e le sue conclusioni non permetteranno certo di risolverli. «Sfido chiunque a dire che i problemi della SNCF – treni in ritardo, corse soppresse, cattiva manutenzione della rete ferroviaria – sono causati dai ferrovieri. Sono i governi che si sono succeduti ad aver privilegiato le linee ad alta velocità, che costano care ed hanno bisogno di partenariati con i privati. Occorre equilibrare gli investimenti e creare posti di lavoro», sottolinea Martinez.
Apertura alla concorrenza, soppressione dello statuto di pubblici dipendenti dei ferrovieri, soppressione di 9.000 km di linee secondarie, altrettante misure da prendere, secondo il portavoce del governo, senza neppure un simulacro di discussione in parlamento. Il metodo applicato per imporre la Loi Travail, una sorta di Jobs Act in versione francese, sembra difficilmente ripetibile per realizzare una “riforma” il cui obiettivo è, puramente e semplicemente, l’adeguamento dell’impresa pubblica alla logica del profitto privato già in vigore in altri paesi europei, fra cui l’Italia.
Una scommessa che Macron rischia di perdere. Lo spettro del 1995, quando i ferrovieri, con il sostegno della maggioranza della popolazione, provocano la caduta del governo Juppé e scuotendo dalla fondamenta la presidenza Chirac, plana minaccioso sulla Francia. Dopo la riforma del Codice del lavoro, i sindacati diffidano di una concertazione che serve solo a convalidare le decisioni del governo in cambio di qualche briciola. L’esecutivo rischia di ricompattare un fronte sindacale oggi diviso, di far rinascere una fronda parlamentare e, soprattutto, di mobilitare una piazza che Macron, come i suoi predecessori, ha tutti i motivi di temere.
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