Nuove purghe o semplice rimpasto degli alti vertici del regno? Dubbi
più che legittimi quando si parla dell’Arabia Saudita e, soprattutto,
visto che le sostituzioni degli alti ufficiali e dei diversi vice-ministri annunciate ieri
non sono state affatto motivate. Cambia il Capo di stato Maggiore, il
Generale Abud Rahman bin Saleh al-Bunyan, rimpiazzato dal generale
Fayyad bin Hamed al-Ruwayli e balza agli occhi la nomina di Tamadur bint
Youssef al-Ramah come vice ministra al lavoro. Sorprendente se si pensa
che è raro trovare figure femminili in posti così importanti nel regno
wahhabita, noto per il suo acceso conservatorismo religioso.
Che i decreti reali emessi ieri nascano anche con l’obiettivo
di stemperare gli animi dopo le recenti purghe “anti-corruzione” decise
alcuni mesi fa dal figlio di re Salman, Mohammad, appare evidente dalle
nomine dei nuovi tre vice governatori scelti tra i principi Ahmed,
Talal e Muqrin (fratelli di re Salman). I tre, infatti, erano
stati messi da parte da quando il sovrano era salito al trono nel 2015.
Emblematico, a tal riguardo, è la premiazione a vice-governatore della
provincia dell’Asir del principe Turki bin Talal, fratello del principe
miliardario Al-Waleed bin Talal, tra le vittime più celebri delle
recenti purghe reali (è stato rilasciato solo lo scorso mese).
Tra le novità annunciate vi è anche la possibilità per le donne di potersi unire all’esercito.
A patto che rispettano le condizioni pubblicate dal sito internet del
Ministero della difesa: siano nate e crescite in Arabia Saudita, abbiano
tra i 25 e i 35 anni, siano alte almeno 155 centimetri, non siano
sposate a cittadini di un paese straniero e il loro peso e altezza siano
“proporzionati”.
“Il principe ereditario Mohammed bin Salman è la persona che sta
guidando il Paese e che ha cambiato le strutture del governo” ha
commentato su al-Jazeera lo studioso James Dorsey del Raja Ratnam School
of International Studies di Singapore. Secondo Dorsey, nel regno è in
atto un cambiamento significativo perché “si è passati da una fase in
cui le decisioni erano prese per consenso a quella (attuale) di un solo
uomo al governo”. “Credo – ha concluso – che vedremo altri cambiamenti
sia all’interno dell’amministrazione militare che in quella civile
perché [Mohammd bin Salman] sta piazzando i suoi uomini e vuole
proiettare una certa immagine del regno”.
Ma soprattutto, aggiungiamo noi, mostrarsi come leader “riformatore” e “modernista”.
Tentativo ben riuscito se si guarda a cosa scrive di lui la stampa
mainstream e come ne parlano i leader occidentali. A sostegno delle loro
tesi, vi sono le recenti concessioni “rivoluzionarie” fatte alle donne,
tra cui la possibilità di guidare, andare alle partite di calcio e
entrare nell’esercito. Senza dimenticare poi, a inizio anno, la
rimozione del divieto sui cinema. Provvedimenti che, per quanto rappresentino timidi passi in avanti, hanno però un caro prezzo internamente e soprattutto all’estero:
dalle purghe (“anti-corruzione”) di alcuni mesi fa (alcune fonti
parlano anche di tortura) alla guerra in Yemen, passando al
finanziamento e sostegno dei gruppi radicali in Medio Oriente (Siria
soprattutto) in chiave anti-Iran. Una politica che trova sempre più
aperti consensi in Israele con cui Riyadh ha sempre più buoni rapporti
(sebbene non ufficiali).
Ieri, intanto, l’ufficio del premier libanese Saad Hariri ha fatto sapere di aver ricevuto l’invito dell’inviato saudita Nizar al-Aloula (in visita in Libano lunedì) a recarsi in Arabia Saudita. Una notizia che sarebbe del tutto normale, pura formalità diplomatica, se non fosse altro che alcuni mesi fa fu proprio durante una visita di Hariri (longa manus saudita nel Paese dei Cedri) a Riyadh che il premier annunciò a sorpresa le sue dimissioni.
L’annuncio bomba creò tensioni tra Beirut e la monarchia, con la prima
che quasi all’unisono parlò di “rapimento” e di “diktat” imposti al
primo ministro dai suoi padrini sauditi. La situazione si sarebbe poi
tranquillizzata qualche settimana dopo quando Hariri sarebbe tornato in
Libano. Il leader di al-Mustaqbal non solo avrebbe revocato poi le sue
dimissioni, ma avrebbe anche preso una posizione più conciliante con gli
alleati di governo, ma rivali, rappresentati dai filo-iraniani di
Hezbollah. Che l’invito di al-Aloula sia un modo per riportare il loro
uomo all’ordine?
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