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23/02/2018

Il fascismo non è morto, il fascismo è mainstream

«Alla concentrazione del potere economico in poche mani fa riscontro il progressivo svuotamento degli istituti tradizionali della democrazia rappresentativa, ridotti a camere di compensazione di interessi lobbistici. I cittadini sono consapevoli che le loro scelte elettorali non hanno più alcun peso nel determinare le proprie condizioni di vita per cui tendono a rifiutare in blocco la politica». E’ quanto afferma Carlo Formenti in una recentissima intervista pubblicata dalla rivista online Vita [1].

Già molti anni prima, Franco Fortini, cioè colui che forse può essere indicato come l’ultimo degli intellettuali visionari di questo paese, con un taglio ed una formazione decisamente diversi da quelli di Formenti, aveva “visto”un “fascismo democratico” che stava per sostituirsi a quello autoritario. Perché di questo si tratta: permangono, è vero, le istituzioni democratiche ma solo dopo essere state svuotate da da ogni raccordo con il demos e da ogni potere reale perchè quel potere, ormai, è allocato altrove: BCE, UE, FMI, Goldman Sachs, Black Rock, multinazionali del settore energetico, industrie di armamenti, cioè, tutti quegli organismi che fanno parte di una sorta di supersocietà globale che non ha né Stato, né confini. Una cupola che ha come unico obiettivo la massimizzazione del profitto e l’innalzamento del valore dei dividendi che finiscono nelle tasche dell’1% circa della popolazione mondiale, che ha in mano il sistema mediatico mondiale e che ha allineato tutti i sistemi politici occidentali alle proprie dipendenze ed alle proprie esigenze, sia contingenti sia strategiche.

E dunque, al contrario di quanto sostiene Marco Minniti, il fascismo non è morto perché il fascismo, ormai, è “mainstream”, secondo la definizione che ne dà Annalisa Daniele in un’analisi pubblicata sul periodico Carmilla-on-line di qualche giorno fa con cui l’autrice del pezzo ci invita a riflettere su un dato che ancora troppi ignorano o fanno finta di non vedere: “quel che Salvini dice, Minniti fa.”[2] Salvini e Minniti, ovvero, le due facce del modernissimo fascismo mainstream.

In questo senso, la crescita mediatica e territoriale delle formazioni neofasciste Casa Pound Italia e Forza Nuova non è altro che l’epifenomeno di una deriva autoritaria complessiva che sta investendo l’Europa intera secondo uno schema che si ripete pari pari in altri paesi europei. Una deriva autoritaria che ha trovato nel nuovo uomo forte, Marco Minniti, il perfetto interprete, tanto sul piano interno, con la messa in atto di una stretta repressiva e poliziesca nei confronti di qualsiasi opposizione sociale, quanto nei confronti della fantomatica immaginaria “invasione” evocata tutti i giorni a reti unificate da Salvini, con la stipula del famigerato accordo italo-libico del febbraio 2017 che ha affidato alle cupole mafiose che si sono impossessate della Libia, dopo la deposizione violenta di Muammar Gheddafi, il compito di tenere nei propri lager i migranti in fuga da quelle guerre, dittature e carestie fomentate proprio da quegli stessi paesi che ora li respingono.

D’altronde lo sdoganamento del fascismo in Italia è un fenomeno in atto da quasi un ventennio, cioè da quando Carlo Azeglio Ciampi (che da Governatore della Banca d’Italia scisse la Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro in nome dell’autonomia dell’economia e della finanza da qualsiasi controllo politico) disse che “i giovani di Salò sbagliarono ma lo fecero credendo di servire ugualmente l’onore della propria patria, animati da un sentimento di «unità» nazionale.” Gli fecero eco, subito dopo, Oscar Luigi Scalfaro «Dobbiamo ricordare tutti quelli che hanno pagato quell’alto prezzo. Anche quelli che si batterono per ideali che non condividiamo. Solo il leale rispetto della verità può essere la base di una vera pacificazione» e Luciano Violante “Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per cui migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto si schierarono dalla parte di Salò e non di quella dei diritti e delle libertà”.

Quanto all’attività editoriale di becero revisionismo di un Giampaolo Pansa – i cui scritti, ad ogni nuova uscita, vengono sistematicamente e puntualmente pubblicizzati e celebrati dal circuito mediatico mainstream – ci basterà ricordare ciò che disse di lui Giorgio Bocca: “Un pazzo, un mascalzone, un falsario, un mentitore” censurandone indignato “Il sangue dei vinti“, libro “vergognoso di un voltagabbana”. Quel Pansa che non essendo mai stato né uno storico né, tanto meno, un giornalista, continua a fare quel che ha sempre fatto: il polemista. Solo che in vecchiaia si dedica al mestiere di sfornare veline antiresistenziali a raffica. Pansa, l’ex di sinistra, specchio perfetto del trasformismo dell’arcitaliano, per dirla ancora con Bocca.

Salvini arriva, dunque, all’apice di questo percorso che ha rilegittimato fascismo e razzismo e senza questo formidabile tappeto rosso steso da figure molto più autorevoli di lui non sarebbe mai riuscito nell’impresa di sostituire il federalismo bossiano con la difesa della razza, cioè, qualcosa che appena un decennio fa ci sarebbe apparsa impensabile. Salvini che, di certo, non farà la marcia su Roma, ma porterà il voto fascista in dote al governo delle larghe intese che sarà, vedrete, di “salvezza nazionale”.

Un governo che, sotto il ricatto di una nuova crisi dello spread, continuerà a prendere ordini da Bruxelles esattamente come i precedenti in ossequio a quei #TrattatiUE che, obbligandoci a tagliare 50 miliardi di spesa pubblica per i prossimi 20 anni, ci porteranno velocemente verso la definitiva distruzione del welfare e la generalizzazione della condizione di povertà relativa ed assoluta a strati sempre più ampi di popolazione sapendo, peraltro, di poter contare sulla perfetta complicità delle grandi centrali sindacali, ormai totalmente asservite al gioco degli interessi di banche, assicurazioni e capitani coraggiosi di turno. Una condizione ideale per chi punta ad avere un esercito salariale di riserva sconfinato.

Impossibile che anche D’Alema&Co possano resistere al richiamo di un gran governo Gentiloni aperto a tutti i contributi, diciamo così, “responsabili”. D’altronde, “Liberi ed Uguali”, si sa, è nata perché quelli della ex minoranza del Partito Democratico sapevano benissimo che Renzi non avrebbe fatto prigionieri. Preparatevi, dunque, al prossimo “monocolore”[3], ovvero, a quel teatrino che altro non è che un simulacro della democrazia in cui ognuno recita una parte mentre il copione lo scrive qualcun altro.

Anche per questo è necessario attrezzarsi e continuare a lavorare alla crescita di un vasto fronte per arginare la deriva autoritaria in atto, ben sapendo che sarà una battaglia di lunga durata che andrà ben oltre le elezioni e quale che sia il risultato che verrà fuori dalle urne.

Note
[1] “Populismo e crisi del sociale” intervista di Filippo Romeo a Carlo Formenti, 19 febbraio 2018 su www.vita.it

[2]Monocolore” pubblicato il 18 febbraio 2018 in Schegge taglienti di Alessandra Daniele su www.carmillaonline.com

[3] Ibidem

Fonte

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