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26/02/2018

Il generale ambiente

La prima nomina non si scorda mai... Ancora non è stato incaricato di formare un governo, e difficilmente lo sarà (anche se i Cinque Stelle dovessero risultare il primo partito, il 5 marzo), Luigi Di Maio si è portato avanti col lavoro, cercando di rastrellare un po’ di voti in più dandosi l’aria da “statista del fare”, tutto “legge e ordine”, come da vento mediatico prevalente.

La prima scelta comunicata ai media – la lista completa è già stata consegnata a Sergio Mattarella per “cortesia istituzionale” – sembra indicativa della logica seguita dal M5S in versione Di Maio: al ministero dell’ambiente, infatti, verrebbe messo «il generale di Brigata dell’Arma dei Carabinieri Sergio Costa».

Lasciamo da parte l’ironia (i militari ministri conferiscono a un governo un lieve sapore di dittatura) e prendiamo sul serio questo “metodo”. Il generale in questione era capo della Guardia Forestale, prima che Renzi imponesse la fusione con l’Arma. Ha sicuramente competenze specifiche nel campo della repressione dei reati ambientali – da tempo impegnato nel contrasto alle ecomafie e al clan dei Casalesi; ha scoperto la più grande discarica di rifiuti pericolosi d’Europa seppellita nel territorio di Caserta», la tristemente nota “Terra dei fuochi” – e studi all’altezza di questo ruolo.

Tutto bene? Non proprio. E non c’entra nulla la biografia del generale, naturalmente.

Immaginare che la questione ambientale in Italia sia affrontabile, o peggio risolvibile, soltanto dal lato della repressione nello smaltimento illegale di rifiuti di ogni tipo denota scarsa o nulla comprensione del problema che abbiamo di fronte. L’ambiente è infatti il teatro in cui si muove e funziona un sistema economico complesso, e che viene modificato – in peggio – da questo sistema.

Detto in altro modo, ci sono migliaia di attività economiche perfettamente legali (non inquadrate da nessuna legge come reati) che distruggono l’ambiente tanto quanto, o appena un poco meno, le attività illegali. Reprimere queste ultime è semplicemente doveroso, in uno Stato di diritto; il fatto stesso che una banalità del genere sia presentata come “innovazione rivoluzionaria” dà la misura di quanto sia marcita la società e la classe politica italica.

Ma “difendere l’ambiente” significa anche e soprattutto mettere un freno all’inquinamento “legale”, di dimensioni sicuramente molto superiori, derivante dalla completa libertà d’azione concessa alle imprese. Significa dunque cambiare il quadro legislativo esistente, costruire sistemi di controllo efficaci, incentivare l’adozione di sistemi produttivi o di riscaldamento meno inquinanti, ecc.

Insomma, servirebbe una cultura politica che affida alla sfera pubblica il compito di disciplinare ferreamente l’azione delle imprese, impedendo la più classica delle misure taglia-costi: smaltire residui (solidi, liquidi, gassosi, ecc) fregandosene delle conseguenze. Di Maio, ci sembra, dovrebbe sapere che se c’è una criminalità specializzata in smaltimento illegale dei rifiuti deve per forza esistere – all’origine – una domanda economica di smaltimento a costi inferiori di quanto previsto dalle leggi.

Anche il migliore dei generali dei carabinieri, vogliamo dire, è abituato a trattare il segmento finale di una catena criminale e criminogena che parte dalla “normale” produzione e finisce nelle Terre dei fuochi. Può forse contrastare ancora più efficacemente questo tratto della “filiera del rifiuto”, ma non può incidere granché sulle cause (giusto quando procede all’arresto e alla sanzione dell’“imprenditore legale” a monte).

Qualcuno dirà: “sì, ma un generale-ministro può anche suggerire nuove leggi e tipologie di controllo su tutta la catena”.

Teoricamente vero. Ma qual è, complessivamente, la cultura governativa che i Cinque Stelle in versione Di Maio esprimono?

Sul reperimento di risorse finanziarie per realizzare alcuni progetti di “riforma” (esempio ormai esausto: il reddito di cittadinanza) Luigi da Pomigliano si è detto pronto ad adottare la linea di spending review proposta a suo tempo da Cottarelli, nel pieno rispetto dei vincoli di bilancio imposti dall’Unione Europea. Tagli alla spesa sociale, fondamentalmente, e riduzione dei servizi pubblici.

Ha forse in mente qualche imposta straordinaria sulla ricchezza? Macché: «la patrimoniale è una tassa illiberale, anche giocare con la tassa di successione significa giocare con una tassa illiberale». I possidenti ricchi possono insomma star tranquilli, come lo sono stati con Renzi, Gentiloni, Monti, Letta e Berlusconi (insomma: come da 40 anni a questa parte).

Ha già fatto il classico tour dell’aspirante governante italiano in giro per il mondo che conta (Usa, City di Londra, Cernobbio, San Gennaro...) per assicurare che, con il suo governo, loro potrebbero continuare a fare come sempre.

Sulla gestione dell’ordine pubblico, il gemello Di Battista è arrivato a lodare Minniti. E abbiamo detto tutto.

Dunque, vi pare possibile una “rivoluzione culturale” come conseguenza di un – improbabile – governo grillino?

Secondo noi neanche morti.

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