di Michele Giorgio
Non è fluido solo il
quadro militare dopo l’arrivo, l’altro giorno, di combattenti
filogovernativi siriani delle Ndf a sostegno delle Unità di protezione del popolo curdo (Ypg)
– dal 20 gennaio sotto attacco delle forze armate turche entrate in
territorio siriano –, successivamente arretrati a Nubl, ad una decina di
chilometri a sud-est, dopo i colpi di avvertimento sparati
dall’artiglieria turca.
Anche dal punto di vista politico troppe cose restano avvolte
nel fumo degli interessi divergenti, e talvolta convergenti, degli
attori protagonisti da anni sulla scena siriana. Nuri Mahmud,
portavoce delle Ypg, insiste che i combattenti filo-Damasco e, in
seguito, anche reparti regolari siriani saranno dispiegati lungo la
frontiera tra Siria e Turchia. «Sono parole coerenti con la tattica dei
curdi che facendo e disfacendo alleanze tentano di proteggere le loro
aspirazioni – spiega al manifesto l’analista Mouin Rabbani
– Se una Siria federale e non la secessione curda è l’obiettivo del
popolo del Rojava, è ovvio che il governo centrale sarà chiamato a
riprendere il controllo delle frontiere. La richiesta di intervento
rivolta a Damasco è legata al presente, per fermare la Turchia, e alla
costruzione delle basi di un negoziato per il riconoscimento della piena
autonomia del Rojava. A maggior ragione dopo l’abbandono della causa
curda da parte degli Stati Uniti di Trump».
Quanto Damasco abbia raccolto l’appello curdo in verità non è chiaro.
È evidente l’interesse del presidente Bashar Assad a contrastare la
Turchia e a ritornare con le sue truppe anche solo in una parte del
territorio che le formazioni curde controllano ormai da anni. Allo stesso tempo Assad non ha alcuna intenzione di entrare in guerra con la Turchia.
I media siriani ripetono che i filogovernativi sono andati ad Afrin
per «unirsi alla resistenza contro l’aggressione turca» e ieri hanno
riferito che altri uomini delle Ndf sono entrati nella provincia
unendosi ai 500 combattenti giunti il giorno prima. L’esercito regolare siriano però non si è mosso. E la Turchia continua a fare la voce grossa.
Ankara ieri ha annunciato che considererà «obiettivo legittimo»
qualsiasi gruppo in appoggio ai curdi. «Ogni passo preso a sostegno
dell’organizzazione terroristica Ypg significherebbe che (quei gruppi)
sono allo stesso livello delle organizzazioni terroristiche e ciò li
renderebbe obiettivi legittimi», ha avvertito il portavoce del
presidente Erdogan, Kalin. Kalin ha però aggiunto che Ankara non ha
alcun contatto ufficiale con Damasco, ma che, se necessario,
l’intelligence di Turchia e Siria potrebbero entrare in comunicazione
«diretta o indiretta». Questo è l’obiettivo più immediato di Assad.
Il presidente siriano sa che deve comunicare con il nemico Erdogan se
vuole determinare il futuro della provincia di Idlib, l’ultima
importante porzione di territorio nazionale che resta nelle mani delle
milizie qaediste e dei «ribelli» pagati e armati da Ankara.
A Damasco sembrano piuttosto ottimisti sulle mosse che la
Turchia dovrà fare per venire fuori dal vicolo cieco in cui si è
cacciata. «Ankara è in attesa di interventi che la portino
fuori dalla situazione in cui è entrata senza calcolare le perdite e le
conseguenze delle sue azioni», ha scritto Mustafa al Miqdad sul quotidiano filogovernativo al Thawra.
Erdogan, a giudizio di al Miqdad, vuole ritirarsi ma non vuole perdere
la faccia. Proprio l’ingresso delle Ndf ad Afrin potrebbero offrirgli la
soluzione che cercava perché, aggiunge, «confermerebbe la sovranità
nazionale siriana e (il presidente turco) potrebbe affermare di aver
raggiunto l’obiettivo di allontanare i curdi dai confini turchi».
Per il noto commentatore arabo Abdel Bari Atwan da Afrin uscirà fuori più di tutto un accordo senza precedenti tra i curdi e il governo siriano, con la benedizione di Mosca.
«La leadership siriana – spiega – ha trovato ad Afrin un’opportunità
per aprire canali di comunicazione con l’autogestione curda. Non a caso
dopo l’annuncio dell’accordo (tra Damasco e curdi), i russi hanno
iniziato a parlare della creazione di una quinta zona di de-escalation
in quella città. Significa che hanno dato il via libera alle forze
siriane dirette a Afrin».
Chiamata in causa Mosca conferma di essere l’arbitro delle vicende
siriane. Senza però mancare di promuovere l’integrità territoriale
siriana. Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov
ieri ha chiesto a tutte le parti di avviare un dialogo con il governo di
Damasco. «Abbiamo più volte affermato che è possibile risolvere i
problemi solo attraverso il rispetto della sovranità e dell’integrità
territoriale della Repubblica araba siriana. Tutti gli attori stranieri
senza eccezioni, specialmente quelli che hanno una presenza militare in
Siria, devono rendersi conto della necessità di un dialogo con il
governo siriano», ha detto Lavrov rivolgendosi alla Turchia.
Allo stesso tempo Lavrov insiste affinché Damasco consolidi
il dialogo con i curdi. La Federazione democratica del Rojava nei
disegni russi deve recidere subito e per sempre i legami con Washington
che, dice Lavrov, «promuove l’istituzione di governi locali che
disobbediscono apertamente a Damasco». La Turchia ieri sera ha
replicato che non intende aprire alcun dialogo politico con Assad ma le
sue opzioni diminuiscono con il passare dei giorni.
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