di Michele Giorgio – Il Manifesto
Sigari e champagne, parafrasando un vecchio detto, forse ridurranno in cenere Benyamin Netanyahu.
Ma il premier israeliano, di cui martedì sera la polizia ha chiesto
alla magistratura l’incriminazione per corruzione, non cede e respinge
al mittente l’appello alle dimissioni immediate lanciato ieri dal leader
laburista Avi Gabbai e da altri esponenti dell’opposizione. Netanyahu
assicura che il suo governo è «stabile» che nessuno dei leader di
cinque partiti che compongono la maggioranza – la più a destra della
storia di Israele – progetta di andare ad elezioni anticipate. Ha quindi descritto come «faziose, estreme, che non stanno in piedi» le accuse che gli vengono rivolte nel cosiddetto “caso 1000″,
casse di sigari pregiati e di champagne di altissima qualità ricevute
da importanti uomini d’affari, secondo la polizia in cambio di favori, e
nel “caso 2000″, l’accordo che avrebbe fatto con Arnon Mozes, editore del quotidiano Yedioth Ahronot a danno quotidiano rivale Israel Hayom.
Netanyahu ha ragione quando dice che nessuno degli alleati di governo vuole (per ora) la sua uscita di scena.
Anche loro sostengono che quei regali dal valore di circa 250mila euro
sono soltanto espressioni di amicizia, senza secondi fini. Il premier
porta avanti un programma, dal 2009, che soddisfa ampiamente il
sionismo-religioso che ha preso il controllo dei vertici politici. Senza
dubbio è il campione della colonizzazione sfrenata dei Territori
occupati, delle leggi anti-palestinesi e contro gli israeliani
dissidenti e il protagonista di importanti “successi” diplomatici, come
la recente dichiarazione di Donald Trump su Gerusalemme e della crisi
nelle relazioni tra Usa e palestinesi. Magari i leader alleati
non lo sopportano più ma sanno di non avere il suo peso internazionale.
Nessun dirigente israeliano è tanto convincente come Netanyahu nel
rappresentare Israele come il baluardo della “civiltà occidentale” in
Medio Oriente. E comunque non farebbe il loro interesse la fine
anticipata di un esecutivo che ha appena cominciato a raccogliere risultati a
piene mani dalla politica dell’Amministrazione Trump nella regione.
Tuttavia le sorti di Netanyahu restano legate alla decisione
che prenderà il procuratore generale Avishai Mandelblit chiamato a
valutare, carte alla mano, la richiesta di incriminazione presentata
dalla polizia. Così se da un lato i tre principali alleati del premier – Moshe
Kahlon (del partito centrista Kulanu), Naftali Bennett (del partito
sionista-religioso Casa ebraica) e Avigdor Lieberman (del partito
ultranazionalista Israel Beitenu) – ripetono in queste ore che
occorre attendere le conclusioni della magistratura, dall’altro
cominciano già a mettere le mani avanti. Bennett, ad esempio, ha fatto
notare che «il ricevere regali così costosi per un periodo così lungo
non rientra nelle aspettative dei cittadini di Israele dal loro
premier». Kahlon invita a «cessare gli attacchi alla polizia» che
lanciano Netanyahu e alcuni deputati del suo partito, il Likud. Da parte
sua Lieberman afferma che Netanyahu potrà fare il premier «fino a
quando non sarà condannato da un tribunale». Tutti e tre sanno bene che, dovesse scattare l’incriminazione formale, le dimissioni di Netanyahu sarebbero inevitabili.
Gli “alleati” del primo ministro perciò sono cauti e seguono gli
sviluppi. Forse già pensano ad un piano B, a un’alleanza post-elettorale
con Yair Lapid il leader del partito laico centrista Yesh Atid che vola nei sondaggi politici e che su temi centrali – colonie, Gerusalemme, sicurezza – è nettamente schierato a destra.
Lapid peraltro è uno dei testimoni-chiave contro Netanyahu.
La sua testimonianza è la “vera bomba” della vicenda scriveva ieri il
quotidiano Haaretz, facendo notare Lapid «è la più seria alternativa a
Netanyahu». Ex attore e giornalista televisivo, fra il 2013 e il 2014 è
stato ministro delle finanze in un governo guidato proprio da Netanyahu.
La sua testimonianza nel “caso 1000″ riguarda il periodo in cui era ministro.
Secondo la polizia, il primo ministro tentò allora di imporre una
estensione temporale della legge che concedeva benefici fiscali a chi
riportava capitali in Israele facendo un favore al magnate di Hollywood,
Arnon Michan, che avrebbe ricambiato con regali costosi. Lapid si
rifiutò di estendere quella legge e ieri si è descritto come «un
baluardo contro la corruzione». La partita però non è chiusa. Il
procuratore Mandelblit non potrà non considerare che il testimone chiave
contro Netanyahu è il politico Yair Lapid che da anni cerca di
sostituire il primo ministro.
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