di Michele Giorgio
Yisrael Katz non ce l’ha fatta a contenere la sua felicità e ha anticipato tutti ieri, incluso il premier Netanyahu. «Mi
voglio congratulare con Donald Trump, il presidente Usa, della sua
decisione di trasferire l’ambasciata nella nostra capitale nel 70
anniversario della Giornata dell’indipendenza (la fondazione di Israele,
ndr). Non c’è un regalo più grande di questo. La decisione più giusta e
corretta. Grazie, amici!», ha scritto il ministro dei
trasporti sul suo profilo Twitter, commentando il nuovo schiaffo
dell’Amministrazione Usa al diritto internazionale e alle
rivendicazioni palestinesi sulla città santa.
Poi è arrivato il messaggio di Netanyahu: “Questa decisione farà del
70/mo anniversario dell’Indipendenza una celebrazione ancora più grande.
Grazie presidente Trump per la sua leadership e amicizia”.
La risposta palestinese è arrivata subito per bocca di Nabil Abu Rudeinah,
portavoce del presidente dell’Anp Abu Mazen. «Qualsiasi iniziativa
incoerente con la legittimità internazionale – ha spiegato – impedisce
ogni tentativo di raggiungere accordi nella regione e crea un clima
negativo e dannoso».
Più netta è stata la condanna di Hamas. Il
trasferimento dell’ambasciata, ha scritto in un comunicato il movimento
islamico «è una dichiarazione di guerra nei confronti della nazione
araba e musulmana».
Il segretario dell’Olp Saeb Erekat ha attaccato Trump: “La sua è una provocazione”.
Si attendono ora le risposte della popolazione palestinese che ha già
reagito con grandi manifestazioni di protesta a Gerusalemme Est, in
Cisgiordania e a Gaza al riconoscimento di Gerusalemme come capitale
d’Israele e all’annuncio del trasferimento dell’ambasciata fatti da
Donald Trump lo scorso 6 dicembre.
La data ufficiale del trasferimento della sede diplomatica ieri sera
non era stata ancora comunicata dalla Casa Bianca. Un funzionario del
Dipartimento di Stato ha soltanto confermato il passaggio a maggio della
sede diplomatica da Tel Aviv a Gerusalemme, senza fornire dettagli. Secondo
i media locali, in una prima fase sarà aperta una ambasciata
provvisoria nella struttura consolare di Gerusalemme Ovest, da dove
l’ambasciatore David Friedman lavorerà con uno staff ridotto.
In seguito questa sede sarà ampliata e, infine, sarà aperta
un’ambasciata permanente con ogni probabilità nella zona sud-est di
Gerusalemme, quindi nella parte araba della città occupata da Israele
nel 1967.
Qualcuno parla di mossa “simbolica” il prossimo 14 maggio, per celebrare i 70 anni dalla proclamazione dello Stato d’Israele.
Simbolica non lo è per niente. Tutto ciò che riguarda Gerusalemme e
il suo status ha una eccezionale importanza politica e genera passioni e
reazioni in almeno metà del pianeta.
Trump ha voluto accelerare i tempi. Solo il scorso mese, il
vicepresidente Usa Mike Pence aveva parlato di uno spostamento
dell’ambasciata entro la fine del 2019. Poi è intervenuto
qualcosa. Anzi qualcuno, il miliardario israelo-americano Sheldon
Adelson, da anni alfiere del primo ministro Netanyahu.
I media israeliani scrivono che Sheldon Adelson, tra maggiori
finanziatori dei Repubblicani, si è offerto di coprire una buona parte
dei costi (decine di milioni di dollari) della nuova ambasciata Usa a
Gerusalemme a patto che il progetto vada avanti ad alta velocità.
E il Dipartimento di Stato starebbe ora valutando se sia legale accettare donazioni private.
In quel caso oltre ad Adelson, l’Amministrazione Trump potrebbe
sollecitare contributi dalle comunità evangeliche sioniste ed ebraiche
degli Usa.
Dietro questa accelerazione c’è con ogni probabilità anche la prossima, così pare, presentazione del cosiddetto “Accordo del secolo” tra israeliani e palestinesi, ossia il “piano di pace” della Casa Bianca. L’ambasciatrice americana all’Onu Nikky Haley
ha detto durante un incontro all’Istituto Politico dell’Università di
Chicago che gli Usa «stanno arrivando con un piano, non sarà amato da
entrambe le parti e non sarà odiato da entrambe le parti». Parole che
significano tutto e nulla.
Di certo si sa solo che gli Usa non appoggiano più la soluzione dei
Due Stati ed escludono quella dello Stato Unico, e che i palestinesi
respingono con forza la mediazione americana dopo la dichiarazione di
Trump su Gerusalemme.
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