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26/03/2018

Egitto al voto: cibo e denaro per chi si reca alle urne

Le urne egiziane si aprono oggi con il peso delle violenze di Alessandria: dopo il tentato omicidio, sabato, del capo della sicurezza della città, Mostafa al-Nemr, sopravvissuto all’esplosione di un ordigno che ha invece ucciso due poliziotti, ieri la polizia egiziana ha ucciso sei persone accusate dell’attacco.
 
Secondo il Ministero dell’Interno si tratterebbe del gruppo Hasm, formazione nota da un paio di anni sebbene sia stata fondata nel 2014, di difficile attribuzione ideologica, responsabile di attacchi contro forze armate e giudici. Per il governo si tratta di un braccio armato dei Fratelli Musulmani che da parte loro hanno sempre negato.

La sicurezza resta un pilastro della politica di al-Sisi, con un paese instabile e teatro di attentati da anni. Una sicurezza declinata in stato di emergenza – che dalla Penisola del Sinai è stato allargato a tutto il paese dopo l’attacco contro le chiese copte nella domenica delle palme un anno fa – e inasprimento della legge anti-terrorismo che impedisce nella pratica agli egiziani di manifestare pensiero e scontento, ai media indipendenti di operare e agli attivisti politici di svolgere qualsiasi forma di attività. Terzo paese al mondo per giornalisti in prigione, almeno 25, l’Egitto conta 60mila prigionieri politici, secondo le stime delle organizzazioni per i diritti umani.

Alla repressione si aggiunge una dura crisi economica, ampliata dalle riforme di austerity imposte dal Fondo Monetario Internazionale in cambio di prestiti miliardari. Taglio dei sussidi, aumento delle tasse e dell’Iva, riduzione dei dipendenti pubblici si sono tradotti in un’inflazione alle stelle e un aspro incremento del tasso di povertà: quasi il 30% degli egiziani vive oggi sotto la soglia di povertà.

Nessuno si stupirà, dunque, se l’afflusso ai seggi dei 60 milioni di aventi diritto al voto sarà basso. Lo è da tempo. E le elezioni presidenziali che si aprono oggi non danno margine di manovra: oltre al presidente al-Sisi, in cerca del secondo mandato dopo l’elezione del 2014, corre solo un altro candidato, Mousa Mustafa Mousa, leader del partito liberale Ghad e noto sostenitore dell’ex generale.

Sbaragliati gli altri candidati: l’avvocato di sinistra Khaled Ali e il nipote di Sadat Mohammed Sanwar si sono ritirati a gennaio per il boicottaggio subito e l’impossibilità di presentare il proprio programma politico; Ahmed Shafiq, ex premier durante i giorni della rivoluzione ed ex uomo di Mubarak, ha abbandonato dopo pressioni governative; Sami Anan, ex capo di Stato maggiore, è stato arrestato e al momento si trova in una prigione militare.

Si voterà fino a mercoledì, tre giorni di urne aperte, a cui per legge dovrebbe seguire un ballottaggio il mese dopo, ovviamente impossibile visto che a correre sono solo due candidati. I risultati, fa sapere la Commissione elettorale, saranno resi noti il 2 aprile. A monitorare il voto dovrebbero essere organizzazioni locali e internazionali, selezionate dalla stessa Commissione, ma da settimane gli attivisti locali denunciano l’impossibilità di verificare lo svolgimento del voto per lo scarso numero di ispettori ma soprattutto per la quasi totale assenza di una stampa libera, ormai ingurgitata da censure, autocensure, chiusure di media.

A ciò si aggiungono le denunce di egiziani, in forma anonima, alla stampa: tentativi di acquistare i voti – 100 sterline egiziane, quattro dollari – e pressioni per recarsi alle urne, mentre tv e radio da giorni insistono sull’importanza delle elezioni e alcuni negozi promettono cibo gratis extra a chi voterà. Perché se la vittoria è scontata, l’immagine di al-Sisi dipenderà da quanti andranno a votare.

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