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29/03/2018

Eurostop. Perchè una campagna per il referendum contro i Trattati europei

Giovedì 6 aprile verrà depositata in Cassazione la Proposta di Legge costituzionale di iniziativa popolare per chiedere che in Italia si possa celebrare un referendum sull’adesione ai Trattati europei. Dal giorno in cui verrà apposta la prima firma sui moduli ci saranno sei mesi di tempo per raccoglierne almeno cinquantamila da presentare al Parlamento. Il dato interessante è che adesso c’è l’obbligo di discutere le leggi di iniziativa popolare entro i tre mesi dalla presentazione.

Un primo tentativo lo avevamo fatto con Ross@ il 21 marzo del 2015 presentando alla Presidenza della Camera dei deputati una petizione, sottoscritta da tremila firme, nella quale chiedevamo sostanzialmente la stessa cosa sulla base del referendum consultivo svoltosi nel giugno 1989 insieme alle elezioni europee.

Pensiamo di poter cominciare con una prima giornata nazionale la raccolta delle firme in tutte le città dove sia possibile, insieme a quelle sulla legge di iniziativa popolare sull’art.81, per venerdì 20 aprile. Inoltre potremo utilizzare le manifestazioni del 25 aprile e del 1 maggio per raccogliere le firme.

Questa campagna per il referendum sui Trattati europei la realizzeremo insieme a quella dell’abrogazione/riscrizione dell’art. 81 in Costituzione che invece è partita già da dicembre 2017. Cercheremo di coinvolgere su questa campagna anche tutto Potere al Popolo. Al momento – come noto – non c’è condivisione su questa nostra iniziativa per cui dovremo cominciarla come Piattaforma Eurostop ma lavoreremo per allargare lo spettro delle forze che possono essere coinvolte e interessate.

La situazione politica in cui andremo a collocare l’iniziativa che chiede una legge per consentire il referendum sui Trattati europei è molto più interessante che in passato, sicuramente rispetto all’unanimismo europeista del referendum nel 1989.

In Parlamento, dopo le elezioni del 4 marzo, non c’è più una maggioranza blindata europeista come in passato, ma una maggioranza con molte contraddizioni interne su questo aspetto, contraddizioni su cui lavorare e far emergere con una iniziativa che chiede il referendum come esercizio della sovranità popolare e democratica sui diktat del “vincolo esterno” che sta strangolando i settori popolari.

La questione emerge con evidenza sia dalle parole di Martin Wolf del Financial Times nell’intervista a La Repubblica, sia dal retroscena dell’incontro tra Merkel e Macron pubblicato sul Corriere della Sera. In quegli ambiti il voto del 4 marzo è stato paragonato alla Brexit.

Non solo. Mettiamo in campo una iniziativa centrata sulla contraddizione principale in un momento in cui – entro il 30 aprile – il vincolo esterno dell’Unione Europea si farà sentire sempre più pesantemente sulla manovra correttiva che il governo deve fare per rispettare i parametri del patto di stabilità. Allo stesso tempo, sullo sfondo, già si individuano nuove misure lacrime e sangue sul sistema pensionistico e sullo smantellamento del welfare.

Come informazione, vogliamo rammentare come in Europa ci siano stati referendum in materia di trattati europei in 9 paesi. In 6 paesi (Francia, Olanda, Danimarca, Norvegia, Grecia, Gran Bretagna) quando la gente ha potuto esprimersi ha bocciato i trattati o i memorandum europei. In un caso – l’Irlanda – ci sono stati due referendum che hanno bocciato i trattati europei ma che sono stati costretti a ripetere l’anno successivo con un esito diverso (facendo prevalere i “sì” con una fortissima ingerenza esterna), solo in due casi (Slovenia e Croazia) c’è stato consenso nei referendum all’adesione all’Unione Europea.

Infine ma non per importanza stiamo mettendo in campo un progetto che non indica solo la necessità della rottura con il quadro esistente – l’Unione Europea – ma che indica anche una alternativa: l’area euromediterranea.

Si apre su questo un percorso estremamente interessante sia sul piano di una integrazione regionale con criteri radicalmente diversi da quelli imposti dalle oligarchie e dalle classi dominanti, sia sul piano di una politica di neutralità e disarmo (quindi uscendo dalla Nato e dai trattati militari esistenti) che si metta di traverso rispetto agli scenari di guerra che stanno subendo una brusca escalation (in ambito Nato, in ambito europeo, in Africa e Medio Oriente). Non solo. Una area alternativa euromediterranea può consentire un rapporto non coloniale con i paesi della sponda sud del Mediterraneo e dell’Africa sul piano delle relazioni economiche e della gestione dei flussi migratori.

Su questo percorso è interessante il confronto ad esempio con France Insoumise che evoca l’area euromediterranea come alternativa all’Unione Europea, ma è un percorso che sta trovando attenzione nelle forze popolari e progressiste anche in Spagna, Grecia e nei paesi del Maghreb.

Chi liquida questo percorso come sovranista o nazionalista, mostra di non sapere leggere quanto viene scritto e soprattutto di non voler leggere la realtà. Con chi ha questo approccio non perdiamoci troppo tempo, è molto più interessante andare a confrontarsi su questo con i lavoratori, i disoccupati, gli abitanti delle periferie, i giovani e i settori popolari.

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