In Italia parlare delle torture perpetrate dalle forze dell’ordine durante il g8 del 2001, a Genova, è sempre molto complicato. A meno che, s’intende, non se ne parli per dire che, in fondo, va tutto bene.
L’ultimo esempio in ordine di tempo ha messo al centro della polemica, e del fuoco incrociato di media e istituzioni, il procuratore generale di Genova, Enrico Zucca. La vicenda ormai è nota: Zucca si rende colpevole di dire quello che in molti pensano e che sentenze di tribunali italiani ed europei hanno messo nero su bianco: nel nostro paese, i (pochissimi) funzionari delle forze dell’ordine condannati per una delle peggiori pagine della nostra storia – il g8 di Genova, le torture di Bolzaneto e della scuola Diaz – non solo non sono stati esclusi dai rispettivi corpi di appartenenza, ma hanno, addirittura, fatto carriera.
La riflessione di Zucca (che i fatti del g8 li conosce bene, essendosene occupato da magistrato) parte dalla vicenda di Giulio Regeni: “Lo sforzo che chiediamo a un paese dittatoriale (l’Egitto, ndr) è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper far per vicende meno drammatiche“, ha detto qualche giorno fa. Apriti cielo. Nel giro di poche ore, ecco la risposta – piccata – di Gabrielli (lo stesso che solo qualche mese fa, in un’intervista rilasciata a La Repubblica, si stracciava le vesti e chiedeva, ipocritamente, scusa per quanto avvenuto a Genova), secondo cui quelle del procuratore non sarebbero semplici constatazioni di una realtà incredibile anche solo da immaginare, ma “accuse infamanti”. Nemmeno fossero solo “opinioni personali preconcette”, anziché verità accertate dalla magistratura con condanna definitiva confermata persino dalla Corte europea.
Poco dopo, si aggiunge la notizia che il ministro della Giustizia Orlando avrebbe chiesto di acquisire le dichiarazioni di Zucca, atto immediatamente precedente – in molti casi – all’apertura di un procedimento. E poi, nei giorni successivi, ecco pronta ad intervenire la solita schiera di giornalisti, opinionisti, addetti ai lavori vari. Tutti, naturalmente, pronti ad attaccare Zucca per quella che – è bene ripeterlo – non è altro che una constatazione: che i funzionari condannati abbiano fatto carriera, infatti, è semplicemente indiscutibile.
Basti pensare a Gilberto Caldarozzi: condannato a tre anni e otto mesi in via definitiva per i fatti della Diaz (con l’accusa di falso: contribuì a costruire le prove artefatte utili ad accusare chi dormiva all’interno della scuola), dopo 5 anni di interdizione torna ad indossare la divisa addirittura nel ruolo di vicedirettore della Direzione Investigativa Antimafia.
E poi c’è Francesco Gratteri, promosso capo della Direzione Centrale Anticrimine; Fabio Cicimarra, capo della squadra mobile a L’Aquila; Spartaco Mortola, chiamato alla guida della Polfer di Torino. La lista, come detto, è tristemente lunga.
Eppure sembrano essersene accorti in pochi: da Gramellini, che dalla prima pagina del Corriere “si permette di dissentire”, perché comunque l’Egitto è l’Egitto e l’Italia è l’Italia (questa, su per giù la tesi proposta), passando per tutti gli esponenti politici che si sono pronunciati a proposito della vicenda. E poi, ovviamente, i sindacati di polizia.
Particolarmente interessante, nel caso del Corriere della Sera, è il fatto che lo stesso Zucca, lette le parole di Gramellini, abbia deciso di inviare una risposta, perché è così che, almeno per quel che ci risulta, si svolge una discussione. Una risposta che ad oggi, 24 marzo, ancora non è stata pubblicata e che potete invece leggere qui (https://altreconomia.it/la-risposta-del-pm-zucca-gramellini-corriere-non-ancora-pubblicato/). Alla faccia della deontologia e del rispetto per le istituzioni...
Ma al di là delle polemiche, che segnalano una volta in più come certe cose, in questo paese, non si possano dire, è importante ragionare sullo schema che ci viene proposto: dal g8 di Genova sono trascorsi 17 anni, tanti governi (teoricamente di colori diversi) si sono succeduti. Eppure la linea, nei confronti dei torturatori già condannati, è stata la stessa per tutti.
Non è sorprendente, dunque, che chiunque provi a segnalare questa anomalia – in quest’ultimo caso, il dottor Zucca –, si ritrovi al centro delle polemiche e delle critiche. Lo schema, ormai, è noto: è lo stesso schema secondo cui si accusa la famiglia Cucchi di lucrare sulla morte di Stefano; o si grida allo scandalo se la comunità senegalese di Firenze, di fronte all’omicidio di un uomo, reagisce prendendo a calci alcune fioriere; o si giustifica il terrorista Traini, “esasperato” dalla massiccia presenza di immigrati. E anche in questo caso, di esempi ce ne sarebbero molti.
E’ lo schema della realtà capovolta, in cui vale tutto e il contrario di tutto. Ed è uno schema da cui dobbiamo, velocemente, imparare a difenderci.
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