di Chiara Cruciati – il Manifesto
Sono saliti in cima alla
montagna di Akre con il buio. Hanno acceso il grande fuoco del Newroz,
le fiaccole hanno illuminato il capodanno curdo. Venticinquemila persone
hanno partecipato la notte tra il 20 e il 21 marzo ai festeggiamenti
nella comunità considerata la «capitale» del Newroz, nel Kurdistan
iracheno.
A VALLE, OLTRE IL CONFINE tra Siria e Iraq disegnato
cento anni fa dall’accordo segreto di Sykes-Picot, centinaia di
migliaia di curdi trascorrevano la festa simbolo della liberazione dalla
tirannia da sfollati, lontani dalle loro case di Afrin. Non è il primo
Newroz che il Kurdistan trascorre immerso in una tragedia di popolo,
nazionale.
La caduta del cantone curdo-siriano in mano alle truppe turche e
all’Esercito libero siriano è stata al centro delle celebrazioni, degli
slogan gridati a Diyarbakir, Cizre, Erbil, Kirkuk. Qui, a sei mesi dalla
presa della città da parte del governo centrale di Baghdad, tantissime
bandiere del Kurdistan hanno attraversato la cittadella, la qala, per la
prima volta dalla sostituzione degli amministratori curdi, a ottobre.
A Suleymaniya, le autorità locali hanno indetto tre giorni di lutto
in solidarietà con Afrin, nessuna festa pubblica. Ma per le strade il
nome del cantone ha risuonato: «Viva la resistenza di Afrin», hanno
gridato decine di manifestanti.
DOPOTUTTO È LO STESSO Kurdistan siriano a voler
comunque festeggiare: a Qamishli decine di migliaia di persone hanno
acceso il fuoco del Newroz incitando alla resistenza, cuore
dell’immaginario della primavera curda, il capodanno, la rinascita.
Che affonda le radici nel 612 avanti Cristo e nella leggendaria
figura del fabbro Kawa, tirannicida e liberatore del popolo dei medi,
antenato di quello curdo. Tra i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, un
castello dalle mura alte e cupe si staglia sui monti Zagros, residenza
di Dehak, re degli assiri, oppressore, infanticida e devastatore delle
ricchezze dei campi, della flora e della fauna.
UN DOLORE COLLETTIVO, condiviso dall’intero popolo e
da Kawa che tra le mani di Dehak ha perso sedici figli, uccisi per
soddisfare la fame del diabolico re. Fino alla ribellione: il fabbro,
per salvare l’ultima figlia, con un trucco offre al tiranno il cervello
di una pecora. Gli altri abitanti fanno lo stesso, mentre i ragazzi
fuggono sulle montagne. Da uomini liberi si organizzano in un esercito.
Marciano sul castello, alle loro fila si aggiungono migliaia di persone.
In testa c’è Kawa: entra nel castello e con il suo martello uccide re
Dehak.
Sale sulla vetta della montagna e annuncia alla
Mesopotamia la libertà. E con la libertà torna la primavera: il sole, le
aquile, i cavalli, i frutti della terra. È il 21 marzo, equinozio di
primavera e nuovo anno.
Non è un caso che quella tradizione identitaria sia stata il primo
target dell’invasione del cantone curdo-siriano: non appena entrati nel
centro di Afrin, i miliziani dell’Els e i soldati turchi hanno sparato
contro la statua di Kawa, l’hanno avvolta con le funi e l’hanno abbattuta con un trattore.
Un atto profondamente simbolico che va di pari passo con i
bombardamenti che negli ultimi due mesi hanno preso di mira siti
archeologici curdi nel nord della Siria e con i raid che, tra il 2015 e
il 2016, hanno devastato il patrimonio archeologico curdo nel sud-est
turco.
SUR, LA CITTÀ VECCHIA di Diyarbakir (considerata dal
popolo curdo capitale politica e culturale), comunità con sette
millenni di vita, ha subito più di altre il passaggio dell’esercito
turco: 1.519 edifici del tutto distrutti, 500 parzialmente demoliti. Una
perdita enorme che si riproduce: la cancellazione dell’identità curda
oggi passa per una ricostruzione di Stato, gentrificazione politica più
che economica che impedisce il ritorno di decine di migliaia di sfollati
a Sur.
Anche qui ieri si è celebrato il Newroz, come ogni anno. E come ogni
anno le autorità centrali hanno provato a soffocarlo: oltre 50 persone
sono state arrestate mentre raggiungevano Diyarbakir, tra loro due
giornalisti. Ankara ha dispiegato in tutto il sud-est migliaia di
soldati e poliziotti e compiuto arresti di massa in previsione delle
celebrazioni: oltre 100 persone sono state detenute con l’accusa di
voler organizzare «manifestazioni pirata».
Ma le piazze si sono riempite comunque, a Van, Urfa, Cizre, Nusaybin,
Mardin, Istanbul, Ankara. Ovunque a sventolare, aperta sfida al governo
e al presidente Erdogan, erano bandiere del Kurdistan unito e a
risuonare slogan di solidarietà con Afrin e il Pkk.
«IL NEWROZ è la resistenza contro l’oppressione – ha
detto Ziya Pir, parlamentare Hdp – Il fuoco del Newroz è la ribellione
contro quello che i nemici del popolo curdo hanno fatto ad Afrin». Nel
2018 come nel 612 prima di Gesù Cristo.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento