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27/03/2018

Egitto - al-Sisi senza sfidanti ne elettori

di Pino Dragoni
Da ieri 60 milioni di egiziani sono chiamati alle urne per la prima tornata delle elezioni presidenziali. In realtà, non ci sarà il secondo turno previsto dalla legge elettorale: l’avversario è uno solo e Abdel Fattah al Sisi ha già in tasca la vittoria con una maggioranza schiacciante.

«Avrei voluto più sfidanti», ha detto il presidente in carica in un’intervista che ha fatto il giro delle tv pubbliche e private egiziane parlando della mancanza di candidati credibili, «ma non è colpa mia. Non siamo ancora pronti». Tutte le forze di opposizione si sono ritirate a causa delle ritorsioni e delle minacce subite e ora in molti invitano la popolazione al boicottaggio.

Ma la di là degli appelli di partiti e attivisti a disertare le urne, il presidente eletto nel 2014 con il 97% dei voti teme un’astensione dettata più dalla disillusione e i fallimenti di questi quattro anni al potere. Nel 2014 erano andati a votare quasi la metà degli aventi diritto, 25 milioni e mezzo di elettori, un dato leggermente inferiore rispetto alle elezioni post-rivoluzione del 2012, ma pur sempre molto più alto dell’era Mubarak, quando a votare era in media poco più del 20% dell’elettorato.

Nel 2014 però al-Sisi navigava sull’onda dell’enorme consenso guadagnato con il colpo di stato del luglio 2013, che aveva messo fine al disastroso governo dei Fratelli Musulmani, e della grande popolarità di cui gode da sempre l’esercito in Egitto.

Da allora però, anche se non ci sono sondaggi disponibili, le cose sono cambiate e il gradimento del presidente-generale è andato sensibilmente calando, di pari passo con il peggioramento delle condizioni di vita della popolazione e l’inasprirsi della repressione. La vera sfida, osservano molti esperti, non sarà ottenere una vittoria ampiamente scontata, ma ottenere un’affluenza non scandalosamente bassa.

Per agevolare il voto le urne resteranno aperte per tre giorni, fino a mercoledì (all’estero le operazioni si sono già concluse). Come ha spiegato l’analista politico Amro Ali sul portale Madamasr, le elezioni in un contesto autoritario come l’Egitto rappresentano sempre un momento importante. Anche quando è evidente che si tratta di una farsa, l’obiettivo è mettere in scena uno spettacolo di legittimazione.

Non a caso al-Sisi e i suoi sostenitori stanno spendendo milioni di lire egiziane in una campagna elettorale che non contempla la possibilità di sconfitta, mentre televisioni e giornali sono impegnati in una campagna mediatica martellante per il voto.

«Le elezioni – osserva Ali – sono un messaggio al pubblico nazionale e internazionale per dire che il ‘mandato popolare’ si è rinnovato e che l’establishment è unito nell’appoggio al capo di stato». Un’elezione innaffiata da un’abbondante affluenza, osserva Marina Ottaway in un dossier dell’Ispi, di fatto aiuterebbe al-Sisi a riaffermare la sua legittimità popolare e allo stesso tempo lo metterebbe al sicuro da eventuali colpi di mano interni da parte degli stessi apparati di Stato, esercito e servizi.

Il presidente in carica, scelto dall’esercito e passato rapidamente da ministro della Difesa a capo di stato, sconta la mancanza di un partito, un apparato organizzativo paragonabile al Partito Nazionale Democratico di Mubarak, che veniva usato per distribuire benefici economici e politici alle clientele e mobilitare voti nei momenti elettorali.

Finora il consenso di al-Sisi si è basato soprattutto sui timori di instabilità e il desiderio di un ritorno alla «normalità», contro quelle che lui stesso definisce le «forze del male». «O me o il caos» è stato in questi anni il succo del suo discorso. Sul piano della stabilità e della sicurezza però i fallimenti superano di gran lunga i successi.

Lo dimostra l’attentato di sabato ad Alessandria: un’autobomba ha colpito il convoglio che trasportava il direttore della sicurezza della città costiera uccidendo un agente della scorta. Ma ne è la prova anche lo stillicidio continuo di soldati e poliziotti nel Sinai settentrionale dove ormai è guerra aperta con i gruppi jihadisti e lo Stato fatica persino a mantenere il controllo del territorio.

Di fatto, nonostante il pugno di ferro del regime (o forse per questo) negli ultimi anni si sono moltiplicate le sigle del terrorismo islamista e dell’opposizione armata, con le carceri che hanno giocato un ruolo fondamentale nella radicalizzazione di molti prigionieri politici. Tra stragi di civili e attentati mirati contro uomini delle istituzioni, l’insicurezza è molto più reale oggi di quanto non lo fosse nel 2013.

Nessuna illusione che dalle urne possa uscire un Egitto più vivibile. In molti aspettano solo che le elezioni passino in fretta, per lasciarsi alle spalle il clima teso di questo periodo.

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