di Michele Giorgio
“Odissey Dawn”, la guerra
voluta più di chiunque altro da Nicolas Sarkozy, cominciò il 19 marzo
del 2011, al termine del vertice a Parigi della “Coalizione
internazionale” – Onu, Ue, Usa e Paesi arabi –, con una pioggia di
missili da crociera Tomahawk lanciati su una ventina di obiettivi in
Libia. L’Italia mise a disposizione ben sette basi militari.
I primi missili contro le forze governative però decise di lanciarli Sarkozy.
La caduta di Gheddafi serviva a coprire i finanziamenti libici che il
presidente francese aveva ricevuto per la sua campagna elettorale
quattro anni prima? L’interrogativo è legittimo dopo il fermo di
Sarkozy ordinato dalla magistratura francese che indaga sulle
dichiarazioni di un faccendiere che dice di aver portato cinque milioni
di euro da Tripoli a Parigi tra fine 2006-inizio 2007 per consegnarli a
Claude Guéant, tra i fedelissimi dell’ex presidente.
Sarkozy trascinò in guerra prima gli Stati Uniti e
l’Inghilterra, poi anche l’Italia, con il consenso pieno del capo
dello stato con l’elmetto Giorgio Napolitano e del Pd, e anche di
Silvio Berlusconi che in seguito diede il via libera ai bombardamenti
aerei italiani. Il desiderio di guerra del presidente francese
era smisurato. Su suo ordine i jet francesi già qualche ora prima del
lancio dei Tomahawk, avevano fatto strage di carri armati libici
facendo esplodere la gioia dei ribelli libici che seguivano l’attacco
in diretta su Al Jazeera, tv del Qatar, paese che avrebbe giocato un
ruolo centrale nell’attacco volto a rovesciare Moammar Ghaddafi e che
già operava dietro le quinte per fomentare la “rivolta” anche in Siria.
Il 19 marzo poco dopo mezzogiorno, cinque aerei francesi
decollarono dalla base di Saint-Dizier per una missione su tutto il
territorio libico. Due Rafale, due Mirage e un aereo radar
Awacs «hanno impedito», spiegò lo stesso Sarkozy, «attacchi aerei
delle forze di Gheddafi contro Bengasi». I jet francesi in realtà fecero strage
non di aerei ma di carri armati e di centinaia di soldati libici.
«Finalmente la Francia ha dato una speranza al popolo libico», urlò
felice il portavoce del Consiglio di transizione nazionale formato
dagli insorti.
Quel giorno da Bengasi, la “capitale” della cosiddetta “Rivoluzione
del 17 febbraio”, giungevano notizie drammatiche di bombardamenti
contro molti quartieri della città e perfino contro un ospedale.
Testimoni parlavano di decine di morti e di migliaia di civili
terrorizzati in fuga con ogni mezzo verso il confine col l’Egitto. Il leader degli insorti Mustafa Abdul Jalil invocò l’immediato aiuto di Sarkozy che scalpitava per attaccare.
«È in corso un bombardamento su tutti i distretti di Bengasi. Oggi ci
sarà una catastrofe se la comunità internazionale non attuerà le
risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu», disse Abdul Jalil
dando il via libera al presidente francese. Il bombardamento a tappeto,
devastante, era una invenzione del capo degli insorti. I
giornalisti che poi entrarono a Bengasi si resero conto che «gli
attacchi del regime» in realtà avevano provocato pochi danni materiali
alla città.
Tutto era cominciato proprio a Bengasi un mese prima, apparentemente
sulla scia delle rivolte in Tunisia ed Egitto e delle proteste di massa
che infiammavano Yemen e Bahrein. Il 16 febbraio decine di
persone erano rimaste ferite e due uccise durante una manifestazione
contro l’arresto di un attivista per i diritti umani. Il giorno dopo
venne proclamata una “Giornata della collera”, alla quale
parteciparono in maggior parte i famigliari di centinaia di detenuti
uccisi nella repressione di una rivolta nel carcere Abu Slim di Tripoli
che chiedevano la liberazione dell’avvocato legale che li
rappresentava.
A questi si aggiunsero altri dimostranti. Gli slogan erano soprattutto contro la corruzione dilagante. Le forze di sicurezza reagirono con brutalità.
I morti, almeno sette quel giorno, si moltiplicarono nei giorni
successivi e gli scontri si allargarono a Derna, Tobruk e a tutto il
territorio orientale creando una Libia 2 fino al valico di frontiera di
Sallum con l’Egitto. Il 27 febbraio Bengasi e le città della
“rivoluzione del 17 febbraio” diedero vita al “Consiglio Nazionale
Libico” che, tra i suoi primi pronunciamenti, assicurò la validità dei
contratti petroliferi con l’Occidente. Poche ore dopo il
premier francese Francois Fillon ordina a due aerei di decollare per
Bengasi per portare “aiuti umanitari” alla popolazione. Sarkozy aveva
già deciso per la guerra e la fine di Gheddafi.
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