Intervista con Luciano Vasapollo. Per l’uscita del suo ultimo libro – Chávez presente! La resistenza eroica della rivoluzione bolivariana, Edizioni Efesto – abbiamo intervistato Luciano Vasapollo, professore di Politica Economica all’Università Sapienza di Roma.
L’America Latina è da tanti anni al centro del tuo lavoro politico, come accademico e come militante. Quale fase sta attraversando il continente e quali elementi possiamo trarre per ricostruire una sociologia e una pratica politica in una prospettiva internazionalista?
Dopo la caduta del muro di Berlino, Cuba ha intrapreso una resistenza eroica, ed era sola. Temevamo non potesse farcela, invece è andata diversamente e questo è il primo elemento di forza su cui si è messo in moto un nuovo ciclo. Il processo avviato dal comandante Hugo Chávez e poi da Evo Morales e anche da Correa, appoggiato dai governi progressisti di Lula in Brasile e dei Kirchner in Argentina, ha ridato ossigeno a Cuba. E non solo. Ha ridato impulso anche ai rivoluzionari sinceri e coerenti che agiscono in questa gabbia dell’Unione Europea: uno stimolo e indicazioni pratiche, non solo una speranza.
Ovviamente di questo si è accorto l’imperialismo, sia quello statunitense che europeo e ha cercato di disarticolare l’esperimento, aumentando le contraddizioni nel polo rivoluzionario (lo definisco così, nonostante i suoi limiti e le differenze interne), e in quello progressista.
Il principale obiettivo dell’attacco imperiale non è stato quello di ricreare il cortile di casa degli Stati Uniti, ma di impedire il consolidamento di quell’ipotesi e il suo allargamento, dentro e oltre il continente. Un’ipotesi che, a partire dall’America Latina, poteva contaminare o dare coraggio ad altri tentativi a livello internazionale.
Nel nuovo quadro che si è venuto a determinare, la cultura, la comunicazione, la guerra, l’aggressività dell’imperialismo, hanno quindi vinto?
Di sicuro non completamente, ma sono riusciti ad assestare grossi fendenti: attraverso colpi di Stato diretti e indiretti, con il terrorismo mediatico, con la propaganda ideologica che fa da apripista all’azione dei mercenari, dei narcos, della finta opposizione di natura fascista. Fattori che hanno giocato un ruolo fondamentale sia in Venezuela che in altri paesi del continente. Pensiamo all’Honduras, al Paraguay, al Brasile.
Con il ritorno a destra di due grandi paesi come Argentina e Brasile, sono venuti meno due grandi polmoni di appoggio solidali che avevano interrotto il progetto dell’ALCA per far spazio all’ALBA. Un cambio di scenario che ha purtroppo ridefinito in senso negativo alcune situazioni e indebolito l’integrazione solidale. La posizione assunta dall’attuale presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, non è casuale. In un paese dollarizzato com’è l’Ecuador e in cui le risorse passano per un mercato d’importazione determinato dagli USA, Moreno si è trovato in una situazione in cui rompere con gli Stati Uniti avrebbe creato grossi problemi. Correa ha potuto muoversi in un quadro diverso, fidando su sponde solide come quelle di Argentina e Brasile. Quando lo scenario muta e ad alcuni appare che anche Maduro possa crollare, Moreno inizia a cambiare strategie e alleanze. E oggi, nonostante l’Ecuador non sia ancora uscito dall’ALBA, non ha più un governo affidabile per i processi di trasformazione.
Il bilancio, dunque, dei processi di transizione in Nuestra América è inizialmente molto positivo. Non bisogna, però, nascondere gli errori e le costruttive critiche fraterne. Per esempio, non si può pensare di governare senza prendere il potere. O meglio, lo si può fare, ma sul medio e lungo periodo si finisce per avere il fiato corto. Prima o poi il problema della rottura rivoluzionaria si pone. Forse, allora, alcuni processi andavano accelerati approfittando del momento favorevole di quella prima fase.
Per esempio, in Venezuela, si sarebbe dovuto puntare per tempo sulla diversificazione produttiva. Mi era capitato di parlarne in un’intervista al Correo del Orinoco già nel 2007-2008. Dicevo: bisogna nazionalizzare l’intero settore bancario. Bisogna nazionalizzare i settori strategici. In Venezuela, oltre al settore petrolifero ed energetico, ai trasporti e alle telecomunicazioni, è strategico anche il settore della distribuzione di beni soprattutto di prima necessità. E infatti le reti di distribuzione alternativa gestite dal Governo, come Mercal, non sono bastate per far fronte alla guerra economica, al desvio e all’accaparramento dei prodotti basici sussidiati. Se la grande distribuzione resta in mano del settore privato, a scomparire non sono solo i cellulari, ma i beni di prima necessità. E se devi fare la fila per comprarli o devi pagarli a caro prezzo al mercato nero, il terrorismo mediatico fa presa anche nelle tue stesse fila.
Un altro errore è stato quello di puntare eccessivamente su alcuni fattori, come il carisma del Presidente o la continuità di uno stesso gruppo dirigente, pensando che sarebbero durati per sempre. Invece, quando intervengono incidenti di percorso, le nuove condizioni possono favorire l’opposizione.
Ora non solo c’è il fiume di denaro dell’imperialismo USA, ma anche la partita che stanno giocando in Europa le multinazionali, i vari partiti legati ai centri di potere, come quelli della vecchia e agguerrita nomenclatura dei poteri forti italiani, come i partiti della Mogherini, Tajani eccetera. Una partita per il controllo dell’America Latina e, attraverso l’America Latina, sul Medioriente, sul fronte libico e siriano: seguendo la linea del petrolio e del metano. E dell’acqua, non dimentichiamolo.
E le guerre del Terzo Millennio saranno per l’acqua...
Appunto. Controllare o svendere alle grandi multinazionali fiumi importantissimi che attraversano mezzo continente, controllare l’Amazzonia, pesa incredibilmente sugli scenari. Insomma, quella che si gioca in America Latina è una partita più che mai aperta.
Ripeto sempre una frase del mio amico Abel Prieto: quando diciamo “hasta la victoria siempre”, “patria o muerte”, dobbiamo aggiungere che la “victoria es inevitable”. Deve essere resa inevitabile pena la scomparsa dei processi rivoluzionari in corso. Non ci sono più altre strade.
In Europa non esiste più la possibilità di una via socialdemocratica, riformista, di un capitalismo per così dire sociale che non cada nella spirale dell’imperialismo o del neoliberismo. Dunque, l’unica via è quella della transizione verso il socialismo. Ovviamente, da marxisti che interpretano con la necessaria dialettica il rapporto tra materialismo storico e dialettico, sappiamo che non sarà per domani. Non abbiamo i rapporti di forza a nostro favore, ma solo guardando lontano possiamo agire sui processi in divenire e giocare la nostra partita. Altrimenti abbiamo perso in partenza.
Ho 63 anni e cinquanta di esperienza politica e di intensa attività culturale, so che occorre commisurare la tattica alla strategia, ma anche la lentezza della lumaca, il suo cammino forte e determinato, conta. Se lasci una lumaca sulla porta e torni dopo un’ora, non sai dove sia andata. Siamo chiamati a questo compito.
Inflazione alle stelle, storture ereditate di cui non si riesce a venire a capo, sperimentazioni come quella del Petro, la nuova moneta virtuale. Come valuti, da economista, la situazione in Venezuela?
Le innovazioni sono necessarie, ma vanno misurate sul terreno della realizzabilità e verificate. Prima accennavo al problema della diversificazione produttiva, ai ritardi e agli errori di un processo rivoluzionario di cui, come intellettuale marxista militante, mi sento anch’io responsabile. Di fronte a una crisi sistemica a cui il capitalismo cerca di reagire per sopravvivere, era logico pensare che avrebbe giocato una partita pesantissima sul prezzo del petrolio. Si sarebbe dovuto tenere maggiormente in conto il pericolo di dipendere dal prezzo del petrolio e dall’agire delle borghesie transnazionali. Se dipendi dal prezzo del petrolio, ti colpiscono con una manovra speculativa sui tassi di cambio, impedendoti di emettere titoli di debito pubblico e agendo quindi sul mercato finanziario e poi su quello delle risorse naturali e delle merci.
Se un paese dipende fortemente e quasi unicamente dalle dinamiche indotte e controllate dai prezzi di mercato, lo colpiscono agendo condizionando e indirizzando a favore delle multinazionali i meccanismi di mercato. Perché quando il prezzo del barile scende dai 130 dollari a 35-40 dollari, quello venezuelano precipita a 22: sei volte di meno. Immettono petrolio scadente estratto con la tecnica del fracking, devastante a livello ambientale, ma a basso prezzo. Si rivolgono e ricattano le petromonarchie e impongono regole speculative: metti dentro questo mercato quantità enormi di petrolio e abbassa il prezzo.
E allora, qual è la prospettiva per l’autodeterminazione? Qual è la condizione economica del Venezuela? È brutta, certamente. Si sta cercando di uscirne? Sì. Si stanno sperimentando soluzioni? Tantissime, con creatività e coraggio. Come finirà? Torniamo al materialismo storico: dipende dai rapporti di forza che riusciamo a creare a livello locale e internazionale.
E noi siamo parte in causa. Se non organizziamo almeno una rete di solidarietà politica culturale a livello europeo, capace di ridare ossigeno a Cuba, al Venezuela e alla stessa Bolivia, l’aggressione dei poli geo-economici e delle multinazionali si farà più forte, diretta e più difficile da gestire.
C’è un argomento utilizzato dalle destre, ma anche dall’area del cosiddetto “chavismo critico” contro il “modello estrattivista”. Con la decisione di regolamentare lo sfruttamento dell’Arco Minero, Maduro starebbe svendendo il paese e l’eredità di Chávez.
Intanto, aboliamo queste categorie viziate del “chavismo critico”, del cambiamento radicale critico, e via discorrendo. Considerato che sono un marxista, penso che le critiche siano legittime ma all’interno del dibattito e dell’agire dei soggetti della transizione radicale e delle organizzazioni di movimento di massa. Quando attacchi i processi della trasformazione reale dall’esterno in una dinamica di critica fuori contesto, significa che sei già schierato con l’opposizione dei vecchi potentati oligarchici.
Tolta questa categoria, facciamo un dibattito serio e franco culturale, politico tra rivoluzionari. Ho parlato di errori di limiti e contraddizioni, ma che Maduro stia svendendo il paese è una bufala clamorosa. Ragionare in termini dell’agire moderato e contro-rivoluzionario e dei tradimenti, non ha mai funzionato. Ciò che realmente conta e incide è l’analisi dei processi, portati avanti da un soggetto rivoluzionario e dal quadro dirigente e dal popolo che si mette in movimento in maniera cosciente. Dove la categoria di popolo va intesa in termini gramsciani. E’ una categoria di classe, esprime la ricerca di egemonia, è la funzione di classe che guida il popolo. La parola popolo non va intesa in modo astratto, come quella di cittadino o di consumatore. Anche il grande imprenditore è un cittadino, non ha il diritto di cittadinanza? Ma il problema è la sua posizione di classe, il punto di partenza è l’estrazione del plusvalore e gli sfruttati che lottano per emanciparsi dalle sue catene. Perciò, le critiche devono partire da chi mette le mani nel processo di trasformazione reale e radicale e se le sporca. Anche sbagliando.
Nei tuoi libri hai tratto dall’ALBA molti spunti di riflessione, anche per questa disastrata e feroce Unione Europea dei forti. Perché?
Nel presente stato di cose, alla luce di quel che sta avvenendo, compresi i risultati delle ultime elezioni in Italia, ci tengo a mettere nero su bianco la seguente affermazione: la sinistra storica è socialmente e politicamente morta. D’altronde, io non sono solo un uomo della cosiddetta sinistra, ma un marxista nel pensare e nell’agire quotidiano. Dirò di più, tanto per farmi qualche altro nemico: il riformismo di maniera si è concluso. È arrivata alla fine anche quell’impostazione berlingueriana che ha zavorrato dall’interno alcuni partiti satelliti dell’ex Pci. Quel ciclo si è chiuso, ora bisogna rilanciare un’altra ipotesi. Non posso prevedere i tempi di questo rilancio, ma una proposta forte che, come Piattaforma Eurostop, noi portiamo anche all’interno di questa nuova formazione politica che è Potere al Popolo, è la rottura e l’uscita dalle gabbie dell’Unione Europea e l’uscita dall’euro. Bisogna che si sappia che questo non è un obiettivo delle destre, dei fascismi e dei nazionalismi, come La Lega o Casa Pound in Italia e fanno propaganda nazionalista in chiave razzista.
Noi, con un’impostazione e con principi di classe, riprendiamo il discorso che avevamo iniziato già dieci anni fa: quello dell’ALBA euro-afro mediterranea. Possiamo semplificarlo riferendoci a un’area di interessi di classe e di processo rivoluzionario euro-mediterraneo, che guarda con grande simpatia all’ALBA del Latinoamerica. Un processo di integrazione regionale in cui, pur con tutti i limiti, si è creata la Banca dell’ALBA, la Banca del Sur, si sono messe in campo le Misiones, mezzi di comunicazioni alternativi come Telesur, si è creato il Sucre, una moneta virtuale di compensazione per gli scambi interni, potenzialmente alternativa al dollaro.
Come si fa a non guardare a un’esperienza così importante? La storia ci ha insegnato che i modelli non si esportano, ma che si deve costruire il futuro anche guardando all’indietro: a quanti, seppur in contesti diversi, quei percorsi li hanno fatti.
Nei tanti libri che hai scritto, oggetto di studio e materia di riflessione militante, c’è una rivendicazione forte della storia, e dei processi rivoluzionari. È così anche in questo ultimo sul Venezuela, che contiene un breve ma intenso saluto e ringraziamento del presidente Nicolas Maduro. Qual è il fulcro e il proposito di questo nuovo lavoro?
In questa Italia di censure, arroganza e dietrologie, tengo innanzitutto a dire che rivendico per intero la mia militanza, all’interno di un tentativo rivoluzionario che si è provato a concretizzare anche in Italia. Non tengo separato come fanno tanti il momento delle rotture degli anni ‘70, e l’attività presente. Dico che ci sono momenti storici differenti in cui i soggetti del cambiamento radicale adattano la propria azione culturale e politica al contesto e ai rapporti di forza tra le classi. A scrivere questo libro, come gli altri, è un intellettuale collettivo. Riporto il dibattito della mia area politica sindacale e culturale, di cui mi faccio strumento. Un’organizzazione della classe del lavoro e del lavoro negato – non un vecchio e asfittico partito – di cui rivendico tutto il percorso, compresi i limiti e gli errori.
Questo libro si rivolge soprattutto ai giovani nel presentare una storia che parte da Bolivar e arriva fino a Maduro. Il soggetto portante è la resistenza del popolo bolivariano, una resistenza eroica, un popolo che si fa primo protagonista diretto in un processo rivoluzionario, sempre nell’accezione di classe. Raccontiamo che dietro Chávez, dietro il socialismo del o per il secolo 21, c’è una grande ideologia anticolonialista che poi diventa antimperialista e poi anticapitalista. È uno strumento che vogliamo lasciare ai giovani per contrapporsi alla fabbrica delle menzogne. Che la destra dica falsità, è da mettere in conto, e deve continuare a dirle, altrimenti che duro avversario di classe sarebbe? Ma quando a fare terrorismo mediatico è quella supposta sinistra che, pur essendo defunta, continua a vivere nella società e a far danni, dobbiamo immettere degli anticorpi.
Se parlano i rappresentanti delle destre, vengono ascoltati da milioni di persone perché vanno in televisione. Se parlano i corifei del centrosinistra, idem. Se parliamo noi, possiamo contare solo su dibattiti e presentazioni di libri in circuiti militanti e ciò nonostante tentano di azzerarci nel silenzio ma siamo sempre al nostro posto di battaglia, non possiamo e non vogliamo arrenderci.
L’area a cui tu appartieni partecipa ai movimenti femministi come quello di “Non una di meno”. Qual è la tua visione del conflitto di genere?
Ovviamente l’oppressione patriarcale precede quella capitalistica, il maschilismo, e la lotta per sottomettere il potere delle donne si annida anche nelle relazioni più coscienti. Tuttavia, la questione di genere è profondamente innervata a quella di classe. Nel capitalismo, le donne subiscono un doppio sfruttamento, di classe e di genere. Senza la lotta di classe, quella di genere diventa astratta, accademica, cenacolare e mostra anche i tratti neocoloniali di quel femminismo occidentale che libera spazio e tempo per le donne italiane emancipate a scapito del tempo di lavoro delle domestiche, delle badanti, che arrivano dal sud globale. Il punto, anche per noi marxisti rivoluzionari, è riconoscere quanto siamo intrisi di forme di maschilismo e lottare per liberarcene.
Anche in questo libro, continua il tuo lungo sodalizio politico con Rita Martufi, che è anche la tua compagna di vita. Quanto ha contato per te?
Ha contato... tutto. Non c’è cosa più idiota della frase che dice: dietro un grande uomo c’è una grande donna. Per noi non esiste la categoria donna e uomo, ma quella di rivoluzionari che si danno la mano, indipendentemente dal sesso. Per le contingenze della vita, Rita è anche mia moglie, ma quello che ci unisce è la stessa visione della vita, una comunità di intenti. Io non sono capace di scrivere senza Rita e neanche lei senza di me. Il nostro atteggiamento politico, intellettuale, sociale, umano è rimasto lo stesso di quando eravamo giovani, coraggiosi, combattenti come lo siamo oggi, colpiti da repressione e carcere già a inizio anni ’80, e continuiamo affrontando insieme quel che abbiamo deciso di fare come soggetti rivoluzionari nel cammino della transizione al socialismo.
Quel che conta è l’impronta che lasci in quella che Fidel chiamava la battaglia delle idee, è l’egemonia culturale, che in termini gramsciani non si misura sulla quantità, ma sulla qualità che riesci a esprimere.
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