“Figlio di un cane” così il presidente palestinese Abu Mazen
ieri ha qualificato l’ambasciatore Usa in Israele, David Friedman, un
accanito sostenitore del movimento dei coloni israeliani nella
Cisgiordania occupata. “Loro costruiscono sulle loro terre?”, ha chiesto
incredulo Abu Mazen ai presenti durante una riunione dei vertici
dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) riferendosi a recenti
dichiarazioni Friedman secondo il quale i coloni israeliani non
violerebbero la legge internazionale e i diritti palestinesi perché
vivrebbero “nella loro terra, nella terra di Israele”. “Lui è
un colono”, ha esclamato Abu Mazen che qualche settimana fa aveva
rivolto un “cattivo augurio” a Donald Trump: “Possa crollare la tua
casa”.
Abu Mazen conferma – anche con queste colorite imprecazioni –
la posizione di fermezza nei confronti degli Stati Uniti adottata dopo
il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele fatto a
dicembre da Trump. Alla popolazione palestinese non dispiace questo approccio inedito e più battagliero ma ciò non significa che nei Territori occupati sia in sensibile aumento il gradimento del presidente dell’Anp.
Tanti ritengono tardivo il “risveglio” del presidente che per due
decenni ha insistito sulla possibilità di raggiungere
l’indipendenza palestinese grazie proprio alla mediazione degli Stati
Uniti. Inoltre l’Anp non ha ancora interrotto la cooperazione di sicurezza con Israele che la popolazione palestinese chiede con forza da anni.
Lo scetticismo perciò prevale e non pochi prevedono che Abu
Mazen sarà costretto tra qualche mese a fare una retromarcia
sull’esclusione degli Stati Uniti da una ipotetica futura trattativa tra
israeliani e palestinesi. D’altronde Abu Mazen rischia di ritrovarsi da solo quando l’Amministrazione Usa presenterà il suo “piano di pace”
alla luce delle manovre dietro le quinte di alcuni Paesi arabi del
Golfo volte a dare appoggio al progetto di Trump nonostante la netta
opposizione dei palestinesi.
Il piano americano, stando alle versioni apparse
sulla stampa araba e israeliana, non contempla un appoggio chiaro alla
soluzione a Due Stati (Israele e Palestina) che per decenni è stato il
principio di tutte le iniziative diplomatiche internazionali e che anche
gli Stati Uniti hanno informalmente sostenuto fino all’ascesa al potere di
Trump. E la Casa Bianca dopo aver adottato sanzioni economiche
punitive – come il taglio dei fondi Usa per l’agenzia dei profughi
Unrwa – ora lascia intendere che la «pace» in Medio Oriente si
può fare senza i palestinesi. I segnali inquietanti in quella direzione
non mancano.
Qualche giorno fa l’Amministrazione Usa ha convocato una conferenza a Washington su come “aiutare” la Striscia di Gaza
alla quale hanno partecipato Israele e i Paesi arabi ma non i
palestinesi. Abu Mazen aveva respinto l’invito – ritenendo il meeting un
pretesto per promovere il piano americano – ma l’assenza dei
rappresentanti palestinesi non è sfociata nell’annullamento
dell’incontro che invece si è svolto regolarmente con la
partecipazione dei delegati arabi. A questo si aggiungono le
voci, credibili, di pressioni saudite sulla presidenza palestinese
affinché si dichiari pronta a negoziare le proposte americane. A dare
forza a queste indiscrezioni è stato anche il recente incontro al Cairo
tra il presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi e il potente erede al
trono saudita Mohammed bin Salman. I due al termine dei colloqui non
hanno emesso alcun comunicato a sostegno di Abu Mazen.
Infine ad aggravare il quadro c’è la paralisi se non proprio
la fine del processo di riconciliazione interna, cominciato alla fine
della scorsa estate, tra Fatah, il partito guidato da Abu Mazen, e il
movimento islamico Hamas che da quasi 11 anni controlla la Striscia di
Gaza. Ieri il presidente è tornato ad accusare Hamas di responsabilità nel fallimento della riconciliazione e per l’attentato a Rami Hamdallah, la settimana scorsa a Gaza, da cui il premier dell’Anp è uscito illeso. Abu
Mazen ha anche preannunciato che adotterà “nuove misure” nei confronti
del movimento islamista e di Gaza che potrebbero però colpire
soprattutto la popolazione civile. Per questo i rappresentanti
delle maggiori formazioni politiche palestinesi si sono incontrati a
Gaza per rinnovare la condanna dell’attentato a Hamdallah e per invitare
Abu Mazen a recarsi nella Striscia per far luce in prima persona
sull’attentato.
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