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31/03/2018

M5S nel cuore di Macron, al posto di Renzi

Quando le cose vanno veloci, gli “onesti” cominciano a correre... A lottare, infatti, i Cinque Stelle non ci pensano proprio.

Aveva fatto scalpore, ma era stata subito derubricata tra le notizie minori, la sortita di Shahin Valléè, ex consigliere del presidente francese Macron, che sul Corriere della Sera aveva aperto al M5S per la formazione di una comune forza liberale europeista, alla sola condizione di non fare un governo insieme alla Lega (che a Strasburgo fa gruppo con i fascisti di Marine Le Pen).

Come spiega bene il pezzo de IlSole24Ore, che qui di seguito vi alleghiamo, sono seguite smentite ufficiali e mezze conferme ufficiose. In fondo Macron aveva fatto un’operazione simile, ma in pompa magna, con la destra spagnola di Ciudadanos e Matteo Renzi, sempre al grido di “riformiamo l’Unione Europea”. Dunque il margine per cambiare così repentinamente cavallo italiano (da Renzi a Di Maio) non era ampissimo, visto che le elezioni non hanno ancora partorito un governo e la sua formazione appare piuttosto laboriosa. Ma non c’è dubbio che a Macron non piace accompagnarsi con i perdenti, e il Pd attuale è piombo nelle ali per chiunque – nel Vecchio Continente – ambisca a recitare un ruolo di primattore.

Dunque, per un presidente griffato Banca Rotschild, il panorama italiano non offre molte alternative. Salvini ha una fama da lepenista, Berlusconi fa ancora ridere tutti (nonostante l’appeasement con Angela Merkel, o forse anche per questo), Renzi è con un piede nella fossa. Restano solo i Cinque Stelle, che si erano fatti cucire addosso (da Grillo, però) il vestito da euroscettici, ma che molto prima del voto hanno preso a far girare a Di Maio il mondo per “rassicurare i poteri forti”.

Confindustria – l’editore de IlSole24Ore – si trova nella stessa posizione di Macron e quindi fa ottimo viso al nuovo, ma non cattivo, gioco. In fondo il potere economico è in questa fase molto più forte di quello “politico”; specie se quest’ultimo è rappresentato da un movimento di neofiti che devono farsi perdonare qualche vecchio eccesso verbale del loro anziano guru.

Il “riposizionamento europeo” del M5S in versione Di Maio è stato in effetti molto rapido e promette ulteriori accelerazioni, che probabilmente stordirebbero un elettorato consapevole. Il voto popolare massiccio a grillini e leghisti non è però stato un’adesione “ideologica”, ma un semplice “spazziamo via il Pd di Renzi e delle banche” e anche chi gli ha tenuto bordone (Forza Italia, dal Nazareno a Verdini).

Insomma, Di Maio non rischia l’implosione elettorale solo perché passa dal campo degli euroscettici a quello dei presunti “riformatori” della Ue. Il problema, per lui e i suoi colleghi, sorgerà al momento dell’eventuale ingresso a Palazzo Chigi; ossia quando – come tutti i giornali mainstream gli ricordano a ogni pagina – ci sarà da varare una “manovra correttiva” di parecchi miliardi (12,4 soltanto per evitare che scatti l’aumento dell’Iva come “clausola di salvaguardia”) e soprattutto disegnare insieme alla Ue una “legge di stabilità 2019” che recepisca in pieno, per la prima volta, il Fiscal Compact; e quindi una riduzione del debito pari al 5% del Pil (più o meno altri 50 miliardi da trovare tra nuove tasse e tagli di spesa).

Un quadro di vincoli esterni tale da far rapidamente cancellare le promesse elettorali (reddito di cittadinanza, rottamazione della legge Fornero, ecc.) e trasformare il M5S, agli occhi della popolazione, nell’ennesima variante del partito-servo-di-Bruxelles. Se e quando Di Maio dovesse effettivamente accreditarsi con i fatti (gli atti di governo), oltre che con le rassicurazioni salottiere, allora certamente l’apertura di Macron per la formazione di un “grande centro” europeista, in grado di concordare con Merkel alcuni aggiustamenti minimi all’architettura dei trattati europei (in chiave “restrittiva”, verso l’”Europa a due velocità”), diventerebbe un invito a corte.

Queste manovre dense di incognite – da qui a un anno possono accadere tante cose, sia sul piano economico sia geopolitico – hanno un certo interesse per quanto potranno modificare nel contesto politico europeo. Soprattutto, però, gettano un fascio di luce sulla necessità di cominciare da subito ad affrontare il nodo che stringerà alla gola le varie “sinistre” del Vecchio Continente in vista delle elezioni europee del prossimo anno.

Già ora, infatti, emerge con notevole chiarezza che non serve a nulla – letteralmente a nulla – scrivere l’ennesimo “programma” pieno di buoni propositi sociali, se non si delineano prospettive politiche concretissime sul come si pensa di realizzare quel programma.

Le recenti tensioni che hanno attraversato la “famiglia della sinistra europea”, rese evidenti dalla richiesta di France Insoumise di “espellere” Syrizia (respinta, per ora), si sono svolte sulla faglia aperta dal crollo di Tsipras di fronte alle pressioni della Troika.

Quel crollo infatti dimostra che non è possibile “riformare l’Unione Europea”, né sottrarsi ai suoi diktat, per quanto “di sinistra” possa essere la composizione di un governo nazionale e la sua classe politica.

La riflessione da fare sul prossimo futuro deve tenere insieme la praticabilità di un obiettivo, il peso specifico dei vari paesi (e certo la Grecia non “pesa” come la Francia), il realismo dell’analisi, il consenso popolare strutturato (ossia consapevole che c’è un conflitto da praticare, non un banale “io ti voto, tu mi dai”) intorno a un movimento progressista radicale.

Un tema che oggi vede in campo due risposte molto diverse: da un lato il generico e fumoso “riformiamo l’Europa”, dall’altra l’abbozzo di strategia messo in campo da Mélenchon e altre formazioni europee (detto grossolanamente: Piano A: riscriviamo tutta una serie di trattati che ci strangolano, Piano B: rottura con la UE, compresa la moneta unica).

Nel primo caso, si resta “dentro” una gabbia costrittiva che non consente neppure un’opposizione minimamente significativa (chi sa dire cosa abbia ottenuto la “sinistra europea” in tanti anni a Strasburgo?). Nel secondo, si comincia a lavorare – come da tempo suggerisce la Piattaforma Eurostop – a una rottura che disegna fin d’ora un’area euromediterranea basata su criteri e principi di cooperazione opposti a quelli rappresentati dall’ordoliberalismo della Ue.

L’opposto, insomma, di qualsiasi “ritorno alla sovranità nazionale”.

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M5S da euroscettico a «eurocritico»: a Strasburgo sogna un grande centro alternativo a Merkel

di Manuela Perrone

IlSole24Ore

Da euroscettici a «eurocritici responsabili», fautori di una linea che sia meno dipendente da Berlino senza più confondersi con estremisti e forze anti-sistema. Il riposizionamento del Movimento Cinque Stelle in Europa passa per questa metamorfosi, accuratamente accelerata negli ultimi tempi. A beneficio di chi? Le indiscrezioni sull’avvicinamento a Macron, con l’intento di entrare nel suo futuro gruppo all’Europarlamento dopo le elezioni del 2019, non vengono commentate ufficialmente. «Calma e gesso», ripetono i pentastellati a taccuini chiusi. «In un anno può succedere di tutto».

Quel che è accaduto ieri tra Bruxelles e Parigi testimonia quante e quali correnti scorrano sotto la superficie. Dopo le indiscrezioni pubblicate sul Foglio e l’intervista al Corriere della Sera dell’ex consigliere del presidente francese, Shahin Valléè, che apre al dialogo con il M5S purché non si allei con la Lega, arriva una nota durissima dell’associazione Europe En Marche: «I valori progressisti, di apertura e umanità sono la colonna vertebrale di Europe En Marche e non sono compatibili con le posizioni demagogiche, populiste e apertamente euroscettiche del M5S». In molti la leggono come un alt secco dei macroniani. Ma qualche ora dopo, via twitter, il partito En Marche chiarisce la versione ufficiale: «A proposito dell’Italia, come su tutti gli altri temi di politica estera soltanto @enmarchefr può esprimersi a nome della #LaREM». Né l’associazione, che ritira la nota, né Valléè. Se non è una sconfessione, poco ci manca.

Che cosa è successo? Secondo i Cinque Stelle, dietro la mossa di Europe En Marche potrebbe esserci lo zampino di Sylvie Goulard, nemica giurata del Movimento e tra le principali artefici del fallimento del passaggio dei pentastellati nel gruppo dei liberali ultraeuropeisti di Alde, tentato lo scorso anno per svincolarsi dall’abbraccio con l’Ukip di Nigel Farage nel gruppo Efdd. Goulard ha lasciato Strasburgo subito dopo, perché scelta da Macron come ministra della Difesa. Ma è stata travolta da uno scandalo riguardante una presunta truffa proprio all’Europarlamento ed è stata spostata alla vicepresidenza della Banque De France, possibile trampolino di lancio verso la poltrona di Benoit Couré (che scadrà a gennaio 2020) nel comitato esecutivo della Bce. In sintesi: Europe En Marche è la voce dei falchi, ma l’area di Macron è popolata di colombe disposte a valutare con molta più cautela. E più tempo.

Lo scenario che il M5S ha ben presente, a Roma come in Europa, è uno: l’unico gruppo che l’anno prossimo non perderà eurodeputati sarà il Ppe di Merkel e Berlusconi, mentre la Brexit causerà emorragie importanti tra i conservatori di Ecr, tra i socialisti del Pse (si stima il 40% di parlamentari in meno) e nello stesso Efdd. Al contempo faranno il loro ingresso all’Europarlamento forze nuove, dagli spagnoli di Ciudadanos allo stesso Macron, fino ai verdi danesi di Alternativet (che Di Maio andò a incontrare un anno fa a Copenaghen, ergendoli a modello del piano energetico M5S). È in questa scacchiera che il Movimento dovrà muoversi. Quello che si attende è capire come si costruirà il «contropotere» rispetto ai popolari di Merkel: se intorno a una nuova sinistra che metta insieme i socialisti e i verdi, oggi tutti deboli, o se intorno a un raggruppamento neocentrista, che possa coagulare liberali e macroniani. E poi?

Qui la partita si intreccia con quella nazionale del governo e dei rapporti tra partiti. Finora l’unico endorsement esplicito per Macron è arrivato da Matteo Renzi: se fondasse un suo movimento per correre alle europee – è il ragionamento tra i Cinque Stelle – ogni interlocuzione con il presidente francese resterebbe sulla carta. Significa che quel che accadrà nei prossimi mesi nel Pd non sarà ininfluente né sul piano interno né su quello europeo. Le altre soluzioni sono al vaglio. E la posizione che si assumerà sarà la stessa di questi giorni in Italia: massimo dialogo con tutti, confidando in una delegazione più numerosa (oggi i pentastellati rimasti nel M5S sono 14 rispetto ai 17 iniziali), che possa fare gola.

Ma un punto fermo ci sarà, almeno stando a quanto trapela: mai con Le Pen, che oggi siede nel gruppo Enf (Europa delle nazioni e della libertà) insieme ai leghisti di Matteo Salvini, comunque vada la partita del governo. Il M5S di Luigi Di Maio ha cominciato prima e in modo più convinto la “normalizzazione” per accreditarsi presso le cancellerie europee, mentre Salvini, nel suo ultimo giorno da eurodeputato qualche settimana fa, ancora tuonava contro la moneta unica e si faceva fotografare con Farage. Il M5S intende giocare la carta del lavoro concreto svolto a Strasburgo. «Il Movimento vota diversamente da Ukip su tante questioni politiche», certifica VoteWatch Europe, organizzazione indipendente che monitora le votazioni di tutti gli europarlamentari. Molta più sintonia emerge con la Sinistra europea, con i Verdi e con Alde. «Fabio Massimo Castaldo – fanno notare dal gruppo a Strasburgo – è vicepresidente dell’Europarlamento, scriviamo regolamenti importanti, come quello sull’immigrazione che tra due settimane andrà al voto o come quello sulle etichettature energetiche. C’è una consapevolezza diversa di noi».

Un dato è certo: sono lontani i tempi delle battaglie anti-euro, delle lunghe interviste per il blog a Farage («Lui è un vero euroscettico», lo osannava Beppe Grillo nel 2013), del Movimento di piazza che tuonava contro l’establishment. Se nel 2014 si entrava da alieni a Strasburgo cercando conforto tra le braccia degli acerrimi nemici dell’integrazione europea – oltre a Farage, i leghisti di Speroni, la Polonia solidale, il Fronte nazionale per la salvezza della Bulgaria, il Raggruppamento popolare ortodosso greco – oggi il vento che soffia da Roma impone tutt’altra linea: non euroscettica, appunto, ma eurocritica. Moderata e responsabile. Da moderna balena bianca: una forza che aspira a occupare tutto il centro dell’arena, in Italia come in Europa.

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