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25/03/2018

Siria - Accordo Damasco-Ahrar al-Sham, gli islamisti lasciano Ghouta

Si avvicina sempre di più la chiusura della partita nella Ghouta orientale (Damasco) per le forze del governo siriano: ieri 1580 persone tra i miliziani salafiti di Ahrar al-Sham e i loro familiari hanno lasciato la cittadina di Harasta dopo l’accordo raggiunto mercoledì con Damasco. Rilasciati anche 18 prigionieri (13 erano in mano ad Ahrar al-Sham). La direzione degli autobus in cui sono saliti è stata Idlib, la città e provincia nel nord ovest del Paese diventata ormai un centro di raccolta del radicalismo islamico.
 
Non tutti hanno però lasciato Harasta: circa 18.000 persone rimarranno nella cittadina “sotto la garanzia russa e governativa” ha fatto sapere Ahrar al-Sham. L’evacuazione concordata del gruppo salafita – restano presenti però gli islamisti di Faylaq al-Rahman e i qaedisti di Hayat Tahrir al-Sham – rappresenta un nuovo successo del regime di al-Asad che, da quando ha iniziato a metà febbraio la sua offensiva nell’area, è riuscito a riconquistare l’80% della Ghouta orientale.

L’operazione militare ha avuto costi umani elevati: secondo fonti dell’opposizione, ha causato finora la morte di 1.250 persone (5.300 feriti) a cui andrebbero poi sommati le vittime dei colpi di mortaio e razzi sparati verso i quartieri di Damasco dai gruppi dei “ribelli moderati”. Una violenza inaccettabile a maggior ragione se si pensa che l’area in questione rientrava insieme a Deraa e Quneitra (a sud), Idlib e parti della provincia di Homs nelle cosiddette de-escalation zone che, previste dall’accordo di Astana tra Turchia, Russia e Iran, avrebbero dovuto far tacere le armi.

Una illusione pia perché il bagno di sangue che vive il Paese da 7 anni non ha mai conosciuto una tregua. Soltanto stanotte, denuncia l’Osservatorio siriano per i diritti umani (vicino all’opposizione e di stanza a Londra), i raid russi hanno provocato la morte di almeno 37 civili nell’area di Arbin (Ghouta orientale). “Gli attacchi aerei russi e le armi incendiarie hanno ucciso per soffocamento e per un incendio diversi civili [rinchiusi] in un seminterrato” recita una nota dell’organizzazione. Dichiarazioni che, se verificate, contraddirebbero le parole di Mosca secondo cui la Russia non è coinvolta direttamente negli attacchi aerei sulla Ghouta.

Ad Idlib i miliziani di Ahrar al-Sham non saranno soli: oltre ai vari gruppi islamisti, infatti, troveranno anche le migliaia di rifugiati siriani che la Turchia, denuncia Human Rights Watch (HRW), starebbe deportando dal suo territorio. Queste donne e uomini, a causa delle violenze della guerra civile siriana, erano fuggiti verso il confine nord per cercare di salvarsi. Ma qui, “ad accoglierli”, erano stati spesso i fucili delle forze di confine turche (decine i morti).

La deportazione dei rifugiati denunciata da Hrw, se confermata, è una minaccia reale per molte altre migliaia di siriani presenti sul territorio turco che rischiano di essere deportate nella cosiddetta safe zone che Ankara vuole costruire una volta aver “ripulito” il nord della Siria dalla presenza dei curdi del Rojava.

Ankara vuole sbarazzarsi al più presto di una parte consistente di questi “ospiti” la cui presenza ha creato non poche turbolenze sociali in Turchia in questi anni. Erdogan, che per via dell’accordo miliardario con gli europei non può aprire il rubinetto dell’immigrazione verso il Vecchio Continente, sa che l’unica strada per risolvere il problema è una: rimandarli a casa. 

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