Si avvicina sempre di più la chiusura della partita nella Ghouta orientale (Damasco) per le forze del governo siriano: ieri
1580 persone tra i miliziani salafiti di Ahrar al-Sham e i loro
familiari hanno lasciato la cittadina di Harasta dopo l’accordo
raggiunto mercoledì con Damasco. Rilasciati anche 18 prigionieri (13 erano in mano ad Ahrar al-Sham). La
direzione degli autobus in cui sono saliti è stata Idlib, la città e
provincia nel nord ovest del Paese diventata ormai un centro di raccolta
del radicalismo islamico.
Non tutti hanno però lasciato Harasta: circa 18.000 persone
rimarranno nella cittadina “sotto la garanzia russa e governativa” ha
fatto sapere Ahrar al-Sham. L’evacuazione concordata del gruppo salafita
– restano presenti però gli islamisti di Faylaq al-Rahman e i qaedisti
di Hayat Tahrir al-Sham – rappresenta un nuovo successo del
regime di al-Asad che, da quando ha iniziato a metà febbraio la sua
offensiva nell’area, è riuscito a riconquistare l’80% della Ghouta
orientale.
L’operazione militare ha avuto costi umani elevati:
secondo fonti dell’opposizione, ha causato finora la morte di 1.250
persone (5.300 feriti) a cui andrebbero poi sommati le vittime dei colpi
di mortaio e razzi sparati verso i quartieri di Damasco dai gruppi dei
“ribelli moderati”. Una violenza inaccettabile a maggior ragione
se si pensa che l’area in questione rientrava insieme a Deraa e
Quneitra (a sud), Idlib e parti della provincia di Homs nelle cosiddette
de-escalation zone che, previste dall’accordo di Astana tra Turchia,
Russia e Iran, avrebbero dovuto far tacere le armi.
Una illusione pia perché il bagno di sangue che vive il Paese da 7 anni non ha mai conosciuto una tregua.
Soltanto stanotte, denuncia l’Osservatorio siriano per i diritti umani
(vicino all’opposizione e di stanza a Londra), i raid russi hanno
provocato la morte di almeno 37 civili nell’area di Arbin (Ghouta
orientale). “Gli attacchi aerei russi e le armi incendiarie hanno ucciso
per soffocamento e per un incendio diversi civili [rinchiusi] in un
seminterrato” recita una nota dell’organizzazione. Dichiarazioni che, se
verificate, contraddirebbero le parole di Mosca secondo cui la Russia
non è coinvolta direttamente negli attacchi aerei sulla Ghouta.
Ad Idlib i miliziani di Ahrar al-Sham non saranno soli: oltre
ai vari gruppi islamisti, infatti, troveranno anche le migliaia di
rifugiati siriani che la Turchia, denuncia Human Rights Watch (HRW),
starebbe deportando dal suo territorio. Queste donne e uomini, a
causa delle violenze della guerra civile siriana, erano fuggiti verso
il confine nord per cercare di salvarsi. Ma qui, “ad accoglierli”, erano
stati spesso i fucili delle forze di confine turche (decine i morti).
La
deportazione dei rifugiati denunciata da Hrw, se confermata, è una
minaccia reale per molte altre migliaia di siriani presenti sul
territorio turco che rischiano di essere deportate nella cosiddetta safe
zone che Ankara vuole costruire una volta aver “ripulito” il nord della
Siria dalla presenza dei curdi del Rojava.
Ankara vuole sbarazzarsi al più presto di una parte consistente di
questi “ospiti” la cui presenza ha creato non poche turbolenze sociali
in Turchia in questi anni. Erdogan, che per via dell’accordo miliardario
con gli europei non può aprire il rubinetto dell’immigrazione verso il
Vecchio Continente, sa che l’unica strada per risolvere il problema è
una: rimandarli a casa.
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