Ci sono voluti undici anni ma alla fine Israele lo ha confermato: è
lo Stato ebraico il responsabile dell’operazione militare che nel 2007
ha distrutto un reattore nucleare siriano. L’operazione,
lanciata tra il 5 e il 6 settembre 2007, ha visto il coinvolgimento di
otto caccia tra F-16 e F-15 che in quattro ore totali hanno raggiunto e
bombardato l’impianto siriano di Al-Kubar a Deir Ezzor, nel nord-est del
paese.
In realtà lo sapevano già tutti, la responsabilità di
quell’operazione non era affatto misteriosa. Ma il comando militare
israeliano non aveva mai voluto ammettere il proprio coinvolgimento
mantenendo il segreto per più di un decennio e imponendo ai media il
silenzio. Dopo il bombardamento del sito siriano, Damasco rifiutò la
richiesta dell’Agenzia per l’Energia Atomica di visitare l’impianto,
facendo crescere i sospetti che fosse il primo passo verso lo sviluppo
di armi nucleari.
Qualche anno fa il New Yorker uscì con la notizia di un’incursione
a Vienna di un agente del Mossad, nel 2006, nella casa di Ibrahim
Othman, responsabile per l’Agenzia per l’Energia Atomica del programma
siriano. Rubò documenti che dimostravano l’esistenza di un
reattore nucleare e pochi mesi dopo 17 tonnellate di esplosivo piovvero
su Deir Ezzor.
A questo punto, viene da chiedersi, perché ammetterlo ora,
dopo anni passati ad interferire nella guerra nel paese vicino, la
Siria, con raid aerei e bombardamenti di presunti convogli di armi, di
postazioni di Hezbollah, dell’aeroporto di Damasco: dal 2011 in
poi Tel Aviv non è rimasto a guardare ma ha preso parte attiva alla
destabilizzazione della Siria anche attraverso il sostegno più o meno
indiretto ai gruppi islamisti di opposizione presenti nel sud.
La risposta la dà lo stesso capo di Stato maggiore israeliano, Gadi, Eizenkot:
“Il messaggio nell’attacco al reattore nucleare nel 2007 è che lo Stato
di Israele non permetterà lo sviluppo di capacità che minacciano
l’esistenza di Israele”.
Ovvero, l’Iran: il messaggio, dietro l’ammissione di un segreto di Pulcinella, è diretto a Teheran,
l’attuale nemico numero uno dello Stato ebraico per quanto ad oggi non
abbia mai rappresentato una reale minaccia. Lo confermano le parole del
ministro israeliano dell’Intelligence, Israel Katz: “L’operazione e il
suo successo hanno reso chiaro che Israele non permetterà a chi minaccia
la sua esistenza di avere tra le mani armamenti nucleari, la Siria
allora e l’Iran oggi”, ha scritto Katz su Twitter.
Parla anche il ministro della Difesa, Avigdor Lieberman: “La
motivazione dei nostri nemici è aumentata negli anni, ma è cresciuta
anche la forza dell’Idf (l’esercito israeliano, ndr). Le
capacità dell’aviazione e dell’intelligence si sono intensificate da
quelle che avevamo nel 2007. Tutti in Medio Oriente dovrebbero
comprendere bene l’equazione”.
Ma c’è anche chi avanza un’altra ipotesi, interna: il
messaggio è diretto all’ex primo ministro dell’epoca Ehud Olmert, di cui
starebbe per uscire le memorie, e di cui quell’operazione in Siria
accompagnò gli ultimi mesi al potere e che era appena uscito dalla guerra contro il Libano, non certo di successo.
A metà del 2008 comparvero le prime accuse di corruzione e di lì a
poco Olmert si dimise sia dal ruolo di primo ministro che dal partito
Kadima. Seguì una valanga di accuse che nel 2014 hanno portato alla
condanna al carcere per 19 mesi. È stato rilasciato nel luglio 2017,
dopo 16 mesi e mezzo.
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