L’elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico alle presidenze di Senato e Camera potrebbe indicare il patto che indirizza M5S e Lega sulla strada per la formazione del governo. E’ un sentiero tuttora impervio che ha come ostacoli sia il nodo della premiership sia le modalità della partecipazione “attiva” di FI.
Ma dalle due votazioni che hanno ampiamente incoronato i due presidenti emergono due novità dirimenti: che tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini esiste un filo diretto di una qualche solidità e che il M5S, nella sua nuova veste istituzionale, si è rivelato disponibile a tradire la sua ortodossia votando, ad esempio, un’esponente berlusconiana.
Il tentativo di tenere separata la questione delle guide di Palazzo Madama e di Montecitorio da quella del governo è comunque ormai più di facciata che di sostanza. Una convergenza c’è stata, i segnali di sintonia sono andati oltre quanto si era intuito in queste tre settimane dopo il voto.
Ufficialmente il M5S continua a tenere separati l’accordo sulle Camere dalla formazione di una maggioranza di governo tenendo socchiusa la porta al Pd. “Siamo aperti a tutti, i partiti si facciano avanti per il bene del Paese”, ha dichiarato in serata Di Maio ponendo in evidenza il nodo della premiership sul governo. La conditio sine qua non per Di Maio come premier, al momento, non sembra venire meno. D’altro canto difficilmente Matteo Salvini, dopo aver “perso” la guida di Camera e Senato, accetterebbe di fare da comprimario ad un premier M5S.
Emerge, come possibile exit strategy, il profilo di un asse governativo Lega-M5S – con l’appoggio esterno di FI – che abbia un soggetto “terzo” come capo dell’esecutivo (il governo Flick?).
Sarebbe, in qualsiasi caso un governo certificato come “tecnico”, un esecutivo di breve durata, orientato a convocare a breve nuove elezioni e a gestire la manovra finanziaria “correttiva” che entro il 30 aprile l’Italia deve assicurare alla Commissione Europea che sta già rammentando, quasi quotidianamente, i suoi diktat.
Il recente vertice tra Makron e la Merkel aveva paragonato l’esito delle elezioni italiani alla “Brexit” britannica, indicando che l’Italia a questo punto deve disciplinarsi rapidamente al percorso obbligato indicato dalle oligarchie europee se non vuole essere tagliata dal nuovo processo di gerarchizzazione impostato da Francia e Germania.
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