Nell’immediato futuro delle diverse componenti che hanno dato vita all’esperienza (per ora elettorale) di “Potere al Popolo” si presenta un fondamentale nodo da sciogliere: quello riguardante la forma della prosecuzione di questa iniziativa politica.
Naturalmente dentro all’interrogativo prioritario, appunto quello inerente la “forma”, se ne celano molti altri dal punto di vista degli aspetti di contenuto, ma questi possono essere affrontati via via che il soggetto potrà assumere una sua definizione più precisa.
Sviluppiamo allora un punto di premessa: qual è l’intendimento di fondo che s’intende perseguire proponendo che “Potere al Popolo” vada avanti?
Ci sono diverse risposte possibili a questo interrogativo. Risposte che mi permetto di riassumere in due punti.
La prima riguarda la costruzione di una nuova soggettività della sinistra d’opposizione e d’alternativa in Italia (e nel contesto europeo). Una nuova soggettività della sinistra d’opposizione e d’alternativa posta in grado di strutturare, aggregare, mobilitare masse sempre più consistenti attorno ad un’ipotesi politica complessiva: nella sostanza un partito. Un partito al riguardo dell’ipotesi della cui costruzione vanno ricercate comunque metodi e forme diverse dal passato e in linea con le grandi novità emerse sia sul piano della composizione della società (in primis la frantumazione e la disgregazione in atto avvenute essenzialmente nel nome dell’individualismo consumistico imposto dall’egemonia culturale dell’avversario) sia sul piano della comunicazione. Inoltre un partito dovrà tener conto, anzi essere interprete efficace, della complessità delle contraddizioni sociali in atto, prima fra tutte quella della contraddizione di genere: contraddizione di genere che rimane del tutto fondamentale da affrontare. Sotto quest’aspetto non sono più i tempi delle ambiguità fruttuose o delle “doppiezze”.
La seconda risposta possibile è quella del mantenimento di una struttura per così dire “leggera”, composta – magari in forma federativa – da diversi soggetti sia organizzati politicamente proprio nella “forma partito” e afferenti un discorso più precipuamente di tipo ideologico (i partiti comunisti ancora presenti nel sistema politico italiano, tanto per intenderci), sia formatisi, attorno a diverse istanze e non semplicemente sulla base di “single issue”, nella forma del “movimento”. “Potere al Popolo” in questo secondo caso rappresenterebbe il punto di raccolta sul piano elettorale, dato e non concesso che questa seconda ipotesi nel caso fosse attuata, portasse con sé come fine ultimo la finalità del conseguimento della rappresentanza istituzionale, a tutti i livelli, centrale e periferica.
A questo punto va offerto uno schema minimo di riflessione complessiva.
In precedenza all’ultima tornata elettorale si era sviluppato un punto di dibattito di grande interesse circa la necessità di una maggiore articolazione nel pensiero comunista della tradizione più specificatamente italiana che “Potere al Popolo” avrebbe semplificato nell’idea di una rappresentazione immediata dei bisogni di massa svincolata da una prospettiva del loro “governo”.
Si sarebbe così rotta una continuità con l’esperienza storica che, invece, stava ritrovando in altri soggetti una sua continuità e unità.
Com’è andata almeno sul piano elettorale lo sappiamo tutti benissimo, anche se le interpretazioni si sprecano: dal mio punto di vista la “semplificazione” rappresentata da “Potere al Popolo” ha dimostrato una capacità di aggregazione di massa critica “in ascesa”, mentre la presunta unità e continuità nella scia della tradizione della sinistra italiana e della sua “area comunista” si è mostrata in pieno declino, pur mantenendo la maggioranza sul piano dei numeri.
La necessità che ci troviamo di fronte, proprio nello sviluppo della possibilità di proseguire con “Potere al Popolo”, è allora quella di perseguire nella rappresentazione immediata dei bisogni emergenti di massa mettendo a nudo la complessità di contraddizioni che l’ultima fase di gestione capitalistica ha posto in fortissima evidenza, a partire dal rinnovo dei pericoli di guerra globale, dal fallimento delle ipotesi sovranazionali che erano state perseguite nel dopo “caduta del muro” come quella riguardante l’Unione Europea e dalla crescita esponenziale del livello di disuguaglianze economiche, sociali, culturali sul piano planetario.
Non basta però, per affrontare questo stato di cose e dimostrare che “la storia non è finita” e misurarci anche con l’evidente crisi della democrazia liberale, lo slogan: 99% versus 1%. In questo caso la semplificazione risulterebbe del tutto esagerata e fuorviante e ci porterebbe fuori dal quadro della complessità.
In realtà la semplificazione derivante dall’immediatezza nella rappresentazione dei bisogni dovrebbe risultare utile per rinnovare la ricerca attorno al punto di fondo di un’ipotesi marxiana finalmente svincolata dai fraintendimenti novecenteschi dell’inveramento statuale.
Punto di partenza del rinnovamento di questa ricerca rappresentato ancora una volta dalla tesi 11 delle “Glosse a Feurbach”: ”I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.” (ho usato appositamente la traduzione togliattiana del 1950).
Per cominciare, anche parzialmente, a muoverci su questo terreno non bastano i cartelli elettorali e i pur interessanti intrecci tra struttura partito e movimenti.
Serve, e va detto con grande chiarezza, una nuova soggettività politica capace di interpretare le richieste di massa “in ascesa” ponendosi l’obiettivo di rappresentarle in tutti i sensi esprimendo assieme identità e progetto, mantenendo però il legame “storico” attraverso un’operazione (difficile, complicata) di rinnovamento ideologico e della forma stessa nell’espressione politica.
Senza azzerare nulla, beninteso: tenendo conto di storie e sensibilità ma affacciandosi con decisione verso il futuro.
Soltanto così “Potere il Popolo” potrà rappresentare elemento di svolta e non pallida imitazione di vicende che abbiamo già vissuto con esito contraddittori che hanno portato la sinistra italiana d’alternativa e d’opposizione ai minimi storici e non solo e non tanto nei numeri elettorali.
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