Non è un titolo rischioso, affrettato. Il doppio attacco al corteo dell’ex presidente Lula da Silva a Paraná – prima con uova, poi direttamente con colpi di arma da fuoco – indica il momento drammatico che vive la democrazia in Brasile, poche settimane dopo l’assassinio dell’attivista per i diritti umani e femminista Marielle Franco a Rio de Janeiro.
In quale altro modo, se non come fascismo, è possibile catalogare l’estrema destra brasiliana che ha lo scopo di impadronirsi del potere prendendolo d’assalto con la candidatura di un militare in pensione, Jair Bolsonaro, oggi secondo nei sondaggi ma in crescita davanti al crollo della destra tradizionale brasiliana? In quale altro modo, se non come fascismo, possiamo caratterizzare il gruppo di fuorilegge che ha sparato alla carovana dell’uomo più importante della storia contemporanea del Brasile?
Il problema non sono i “cani sciolti” – se di questi si tratta – una ipotesi difficile da credere osservando l’organizzazione e la pianificazione dei fatti, ma anche il messaggio che proviene dai luoghi istituzionali. Lo stesso Bolsonaro, consapevole degli attacchi, li ha relativizzati nei social network con la frase “loro vittimizzano”.
Lo afferma chi ha votato il licenziamento di Dilma Rousseff rendendo omaggio al torturatore della ex presidente, in un grave disprezzo per la democrazia nel suo paese. Ancora più grave è la frase di chi è stato sconfitto da Lula in elezioni pulite e democratiche, come Gerardo Alckmin (PSDB), il quale ha dichiarato che “il PT raccoglie ciò che ha seminato”. Alckmin non è un uomo rimosso dalla politica; non è altro che il governatore dello stato di San Paulo. Le sue parole sono un pugnale per una democrazia seriamente danneggiata dal PSDB stesso, che pur scommettendo sul golpe parlamentare di Temer continua a crollare nei sondaggi.
A cosa punta l’estrema destra brasiliana con gli spari contro la carovana dell’ex presidente Lula? Punta a intimidire le organizzazioni e i movimenti sociali di fronte al probabile arresto dell’ex leader metallurgico (Lula, ndr). L’obiettivo fondamentale è mettere paura di fronte ad una sentenza chiaramente ingiusta, in un processo tanto vistoso come quello che ha portato alle dimissioni di Dilma Rousseff da Planalto (palazzo del governo, ndr).
Cosa stanno cercando Alckmin e PSDB con le loro sfortunate dichiarazioni? Naturalizzare la violenza politica contro i leader popolari, dopo che i mass media, soprattutto Rete Globo, Folha de Sao Paulo, hanno inoculato odio per anni contro Lula, Dilma e tutto ciò che è un’alternativa allo status quo che per secoli ha governato il paese.
Il Brasile corre il grave rischio di entrare in una fase di “messicanizzazione” della sua politica, con assassinii di leader politici, attacchi a leader popolari, tentativi di legittimare la violenza, la complicità di vari settori del potere. È la triste evoluzione di un colpo di stato parlamentare che, dal 2016, mantiene il Paese in un vero stato di emergenza, dove la condanna e la squalifica di Lula sono la seconda fase.
Nel frattempo UNASUR e CELAC, dopo l’arrivo al governo della destra in molti paesi del Cono Sud, non agiscono e l’Organizzazione degli Stati Americani – sempre asservita agli interessi esterni alla nostra regione – continua a parlare solo del Venezuela.
L’America Latina non può guardare dall’altra parte: si tratta di difendere ciò che resta della democrazia in Brasile, il paese più grande e più influente della regione – in termini politici ed economici – prima che sia troppo tardi, per loro e per tutti noi.
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