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07/12/2018

Ciao, Gian Maria. E graze!


Ventiquattro anni fa, si spegneva Gian Maria Volonté. Un attore contro, senza fraintendimenti, senza tentennamenti, senza ambiguità. Rinunciò a Novecento di Bernardo Bertolucci e a Il Padrino di Francis Ford Coppola, per esempio, pur di costruire progetti altri, e girare film piccoli, in cui credeva.

Un attore militante, la cui passione politica, dichiaratamente comunista, mette i brividi – e personalmente mi inumidisce gli occhi – al cospetto dell’odierno sfacelo artistico, politico, culturale, ideale. Un deserto in cui cinema, teatro, letteratura, arte sono soggiogati dalla bastarda legge del denaro, della merce, del profitto. E dell’ego idolatrato e sovraesposto.

Un attore contro, dunque, Gian Maria. Innanzitutto, contro il sistema produttivo-mercantile di un Capitale che ha imposto le sue logiche asfissianti e miserande, reazionarie e omologanti, oltre che alla struttura economica, anche e soprattutto alla sovrastruttura culturale. E quindi alla creatività, al pensiero critico e dissidente, alla bellezza. Declinando il tutto, ormai, in cadenze di oscenità. Un immaginario da postribolo dannunziano – direbbe il commissario di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto – con intellettuali adagiati comodamente sul pavimento di casa dei potenti. Attori cortigiani. Registi à la page. Scrittori da salotto. Artisti museificati. Giornalisti tappetino. Poeti da canzonetta.

Ma anche un attore partigiano, Gian Maria. Dalla parte della Classe Operaia. Dalla parte del Proletariato. Dalla parte degli ultimi. Un compagno che non ha temuto la galera e ha sempre saputo da che parte stare. Come quando aiutò Oreste Scalzone ad espatriare in Francia. Gian Maria morì quasi dimenticato da un cinema italiano già in declino verticale.

Da tempo era costretto a lavorare fuori dai confini patri. Il suo ultimo film fu Lo sguardo di Ulisse, di Theo Angelopoulos. Un cinema italiano ingrato col suo figlio più generoso e geniale. Ma già pronto ad osannare – in anni di riflusso e smobilitazione ideologica – le emergenti mediocrità, cui nel nome del mercato si attribuiscono allori, oscar, premi. Con l’eccezione di pochi. Tra cui vale la pena ricordare un amico di Gian Maria. Quel Renato Carpentieri, splendido attore di teatro, impetuoso interprete de La Tenerezza di Amelio, che sincere lacrime versò per Volonté al suo funerale. Attori diversi, ma simili nella passione politica e nell’impegno.

Quell’impegno che portò Gian Maria a dire: «Io accetto un film o non lo accetto in funzione della mia concezione del cinema. E non si tratta qui di dare una definizione del cinema politico, cui non credo, perché ogni film, ogni spettacolo, è generalmente politico. Il cinema apolitico è un’invenzione dei cattivi giornalisti. Io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di verità. Per me c’è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione. Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita».

Un pensiero che i tanti, troppi attori che, oggi, celebrano il nome di Volonté, dichiarando di ispirarsi alla sua concezione artistica, dovrebbero ripassare. Le idee per sopravvivere devono camminare sulle gambe della realtà. Altrimenti le si umilia, con la propria incoerenza. Ciao Gian Maria. E grazie!

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Per aiutare a capire cosa si intenda per “militanza politica” di un attore straordinario, ci sembra un dovere riproporvi questo cortometraggio girato da Gian Maria Volonté insieme ad un gruppo di altri straordinari attori di quegli anni. Ricostruisce l’omicidio di Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, provocatoriamente accusato per la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969), eseguita dai fascisti su indicazione dei servizi segreti italiano e statunitense. La scena si svolge nell’ufficio del commissario Luigi Calabresi, al quarto piano della Questura di Milano.


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