10/12/2018
“Coperti a destra”. Sul caso Moro, al ridicolo non c’è mai fine
Rapiti dal furore mistico della fede in un dio/stato onnipotente e onnisciente, la cui Verità sarebbe un’evidenza ontologica da dimostrare, oltretutto, con certezza scientifica – essendone venuto meno il presupposto di aprioristico kantiano – giornalisti, giuristi, politici, magistrati, saggisti, periti, auto-investitisi della sacra missione di provare l’indimostrabile, continuano ad insultare la Verità Storica, la Ragione, l’Intelligenza e, con esse, quei principi illuministici da cui, pure, discenderebbe l’idea stessa di Stato moderno, liberale, borghese.
Come novelli Cartesio, Leibniz o Tommaso d’Aquino, essi si aggirano – per di più dotati di sofisticatissimi dispositivi tecnologici, di avanguardistiche strumentazioni laser o di postmodernisti marchingegni rivelatori, a loro dire, di tracce di realtà, smarrite nelle siderali galassie, oltre le dimensioni del Tempo e dello Spazio – per quella Via Fani che, quarant’anni or sono, fu teatro del riuscito sequestro, ad opera di undici proletari componenti le Brigate Rosse, del Presidente Dc, Aldo Moro.
Loro scopo, dimostrare il non detto, l’Indicibile. Le Br non erano sole. Con loro c’erano la Cia, il Mossad, il Kgb, il Sismi, il Kds bulgaro, la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra. A volersi tenere stretti, ovviamente. Perché, a ben vedere, se proprio vogliamo dirla tutta questa indicibile verità, le Br non sarebbero state neanche le Br.
Insomma, la verità sensibile, l’apparenza è una cosa. La verità metafisica, iperuranica, tutt’altra. E che diamine! In tempi di oscurantismo medievale, dovrebbero essere concetti filosofici ed esistenziali digeriti anche dai bambini.
Dunque, perseguendo questo fanatico orientamento fideistico, si potrebbe arrivare a dire – non lo si fa, sol perché non si ritiene che i tempi e il popolo siano maturi per squarciare definitivamente il Velo di Maja – che Moretti non era Moretti. La Balzerani, ella non era. Gallinari, Fiore, Casimirri, Lojacono, Maccari, Morucci, Bonisoli, Seghetti, Algranati erano tutte false identità. Nella più suggestiva tradizione dei film di spionaggio. Avatar, potremmo dire oggi, usando categorie del virtuale allora sconosciute.
Peccato che, chi scrive, almeno tre dei succitati componenti il commando li abbia conosciuti e abbracciati di persona. E sulla loro effettiva esistenza, come sulla loro limpidezza, umana e intellettuale, nonché sul loro senso dell’orgoglio e di appartenenza – tanto da rivendicare e mai rinnegare la propria Storia – ci metterebbe la mano sul fuoco.
Come per tanti altri ex Br, dopo tutto. Donne e uomini che ho avuto l’onore di conoscere. Integerrimi compagni che hanno sacrificato – e, in taluni casi, continuano a sacrificare – una vita all’ideale comunista. Rischiando la pelle e scontando decenni di galera e di “carcere duro”. Ribadirlo non fa mai male!
Orbene, da quarant’anni, una manica di sbrigativi cacciatori di profitto cerca di avvalorare ridicole tesi dietrologiche, grotteschi cospirazionismi fumettistici, sensazionalistiche misteriosofie di ogni sorta; mistificando una verità ormai arcinota, almeno in un ambito giudiziario e storiografico serio e che voglia dirsi tale. E la Verità è che, quel 16 Marzo 1978, a Via Fani, a compiere il sequestro Moro, c’erano solo le Brigate Rosse.
Lo hanno ripetuto, negli anni, i protagonisti. Lo hanno accertato le fonti, dirette ed indirette. Lo hanno confermato storici come Clementi, Santalena, Armeni, Lofoco. Oltre a quel Vladimiro Satta che, da curatore dell’archivio della Commissione parlamentare d’inchiesta, è rimasto fin qui l’unico che abbia letto – per dovere istituzionale – il milione e mezzo di pagine raccolte.
Lo hanno scritto anche giornalisti di grandissima esperienza come Rossanda, Bianconi, Bocca, Zavoli. Ma a nulla è servito.
Continuano a istituirsi inutili commissioni parlamentari. Continuano ad essere scritti fiumi di menzogne. Continuano a fabbricarsi teorie fantasiose. Al solo scopo di falsificare la realtà dei fatti accaduti e di guadagnarci, naturalmente, qualcosa.
Perché per governare il presente e assicurare ai padroni la pace sociale, su cui poter fondare, indisturbati, il loro potere politico-finanziario, è indispensabile, in definitiva, annichilire ogni possibile sussulto, non dico apertamente rivoluzionario, ma che possa anche solo mettere in discussione l’attuale assetto istituzionale, italiano ed europeo. E per far ciò, bisogna adulterarla, avvelenarla, cancellarla, la Storia.
Bisogna svilire, fino e oltre la diffamazione, gli eventi e le azioni che segnarono l’insorgenza comunista degli anni ’70. Mentre, viceversa, bisogna che continui ad imporsi la narrazione. Quella fiction bulimica capace di incunearsi nell’immaginario collettivo della società italiana, edificando un castello dalla struttura verosimigliante, nelle cui stanze, occupate dal divino Potere dello Stato, furono concepiti quei deliranti teoremi della cospirazione che, sin dal lontano 1978, fondano i loro postulati sul cosiddetto Governo di Unità Nazionale, trovando la loro stabilità architettonico-istituzionale in quello scellerato patto Dc-Pci, passato alla storia coll’indigeribile nome – almeno per il movimento operaio e per il proletariato – di Solidarietà Nazionale. Solo per Berlinguer e il Pci, infatti, si trattava di un “compromesso storico”.
Esclusivamente in tal senso, può spiegarsi, quindi, come Sergio Flamigni, ex senatore Pci e padre di tutte le più meschine teorie complottistiche, possa continuare a dettare la linea storiografico-mistificatoria con i suoi scritti, in merito non solo al sequestro Moro ma all’intera storia delle Br. Come Gero Grassi, deputato piddino, possa averne raccolto il triste testimone e quindi recarsi in tour, per le scuole della Repubblica, a spargere le sue mefitiche menzogne sulla vicenda Moro, sulla Lotta Armata comunista e sugli anni ’70. O ancora, come Alberto Franceschini – fondatore delle Br, trasformatosi, poi, nel più sporco dei pentiti – possa continuare ad avallare, per suo egoistico tornaconto, tutte le elucubrazioni più estreme, ai limiti del teatro dell’assurdo, circa quella stessa vicenda. Contribuendo ad infangare, altresì, se stesso (e sarebbe il minimo, considerando il personaggio) e i suoi compagni. Aspetto, quest’ultimo, ben più grave ed inquietante.
Ed è proprio proseguendo su questa pista – che nulla di più potrebbe scoprire e nulla più avrebbe da dire, in una società sana e raziocinante – che si inserisce la nuovissima e clamorosa “inchiesta” giornalistica, rivelatrice e ammantata di pseudo valore scientifico.
Coperti a destra, questo il titolo della video inchiesta compiuta da Gianluca Cicinelli – illustre sconosciuto, fin qui, ma evidentemente ora in cerca di notorietà, visto che il caso Moro è, da quarant’anni, il più elastico trampolino di lancio per ciarlatani con velleità giornalistiche – che pretenderebbe di far luce su quei 90 secondi, durante i quali si svolse la sparatoria in via Fani e in cui morirono i cinque uomini della scorta di Aldo Moro. Video-inchiesta presentata, Venerdì 7 dicembre, alle ore 17, a Roma, in viale Regina Margherita.
Senza voler dar alcun lustro e ingiustificato credito a questo ennesimo, mendace personaggio – Cicinelli è stato, precedentemente, direttore di Radio Città Futura, da cui viene poi cacciato, e non facciamo fatica a comprenderne le ragioni – ci sembra però opportuno segnalare come la notizia dell’evento sia stata rilanciata niente di meno che dall’agenzia Ansa. Il che, a conti fatti, lascerebbe intendere che i media mainstream, come sempre d’altronde, siano ancora una volta pronti a cannibalizzare, da provetti sciacalli affamati, quella tragica vicenda.
Eventualità, questa, che dovrebbe offendere non solo noi, in quanto comunisti, ma l’intero corpo sociale e civile del paese. Compresi quei parenti delle vittime, i quali – come disse tempo fa la Balzerani, rimediando l’ennesima denuncia – dovrebbero pretendere che il potere, in tutte le sue articolazioni, contribuisca all’affermazione della verità e non al diffondersi dell’impostura, a mezzo stampa.
Le dichiarazioni di Cicinelli, difatti, sono sconcertanti. Afferma il nuovo Carneade del giornalismo d’inchiesta: «La scelta metodologica della videoinchiesta è di ripercorrere, in maniera scientifica e senza le dichiarazioni contraddittorie di testimoni e brigatisti, la dinamica della strage, dimostrando che quella comunemente ritenuta ‘la verità dicibile’ sul 16 marzo non è affatto dimostrata dalle perizie ufficiali, come ammette nelle carte desecretate dalla Commissione Moro 2 uno dei periti stessi».
E ancora: «Il titolo “Coperti a destra” si riferisce al lato destro di via Fani. Da sempre, la più grande preoccupazione dei brigatisti e delle perizie ufficiali è stata quella di smentire che qualcuno abbia sparato dal lato destro, altrimenti cadrebbe la versione ufficiale della strage. La videoinchiesta dimostra, invece, senza timore di smentita, che si è sparato da destra. Ma questa non è l’unica novità presente. Si dimostra, grazie alle prove di sparo effettuate in un poligono, che anche a sinistra c’era un killer in più rispetto alla versione ufficiale».
Senza le dichiarazioni di testimoni e brigatisti? Senza timore di smentita? Affermazioni assurde che, a conti fatti, si traducono nell’assenza totale d’inchiesta, in un totale disprezzo verso un rigoroso metodo storico di indagine, e nella più completa trascuratezza delle fonti.
Cicinelli, in definitiva, con la smaccata arroganza di chi sa di poter contare sulla benevolenza del Quarto Potere, in uno con quello politico, ha avuto la sfacciataggine di dedicare – senza avere la benché minima cognizione della portata Storica degli eventi che sarebbe andato ad affrontare – un docufilm di quasi un’ora e mezza ai 90 secondi dell’attacco, portato dalle Br alla scorta di Moro. La Storia di quindici anni di conflitto sociale e di guerra civile a bassa intensità, ridotta a 90 secondi. Un insulto per tutti. Brigate Rosse, Moro, vittime di entrambe le parti in guerra, superstiti, prigionieri, cittadini.
Per Cicinelli, in poche parole, gli anni di discussione per decidere di portare l’attacco alla Dc e al cuore dello stato, il lungo periodo trascorso per scremare gli obiettivi, i due anni e mezzo di preparazione, le ripetute modifiche nei piani per la messa a punto dell’azione che avrebbe dovuto portare al sequestro dell’on. Moro, i lunghi mesi di inchiesta, la meticolosa organizzazione dei giorni precedenti, l’elaborata via di fuga, tutto ciò non è mai esistito.
Perché, secondo il nostro, come per molti altri dilettanti allo sbaraglio, tutto si risolverebbe in quei 90 secondi. Nessuno di loro, però, viene a spiegarci come il presunto “sparatore da destra”, mai visto da nessun testimone, sia giunto sul posto, si sia dileguato, miracolosamente sopravvissuto al fuoco incrociato e non abbia mosso un dito contro l’agente Iozzino. Quello stesso agente Iozzino che pure, uscito dalla macchina, gli dava le spalle e dunque sarebbe stato da lui facilmente neutralizzato.
Enucleare un segmento di un lungo film è una vecchia tecnica per deformare i fatti. Restringere il campo di un’ immagine, facendo scomparire tutto ciò che le sta attorno, è il classico metodo della disinformazione.
Ma tutto questo, a Cicinelli, manifestamente non interessa. Come dire: l’unico detentore della verità sono io. A prescindere da qualunque confutazione possibile. E chi non dovesse essere d’accordo con me, peste lo colga. Una storica Cena delle beffe, in sostanza, alla cui tavola, il convitato di pietra risulta essere, ancora una volta, null’altro che la Verità!
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