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10/12/2018

Francia: la nuova settimana di lotta


La settimana che si apre in Francia sarà decisiva per comprendere lo sviluppo del movimento politico-sociale iniziato il 17 novembre.

Siamo alla quarta settimana di mobilitazione di un blocco storico che si sta formando e che unisce rivendicazioni sociali precise ad un cambiamento radicale dell’assetto politico.

Un movimento che ha prima “incrociato” le istanze espresse nelle mobilitazioni contro le violenza sulle donne il 24 novembre – qualsiasi osservatore minimamente attento ha colto il protagonismo femminile tra i Gilets Jaune ai presìdi e nelle varie azioni fin qui svolte al di là dell’appuntamento specifico – e poi è di fatto “confluito” nelle manifestazioni sul cambiamento climatico svoltesi in più di 140 città quest’ultimo sabato in tutto l’Esagono. Arrivare a fine mese e alla fine del mondo sono due facce della stessa medaglia, è detto ormai chiaramente.

Prima i singoli, e poi parti consistenti del sindacalismo conflittuale si sono approcciate e in alcuni casi si sono fuse con il movimento dei GJ, moltiplicando i momenti di confronto, le azioni comuni e la presenza. I GJ hanno “costretto” la CGT ad attivarsi e posto una seria riflessione al corpo del sindacato.

L’energia, sarebbe meglio dire “il furore”, degli studenti delle medie superiori e poi degli studenti universitari ha fatto irruzione in un clima sociale mutato il 30 novembre, dando vita per tutta la settimana ai blocchi degli istituti superiori – in particolare quelli “periferici” e delle aree rurali – riversandosi nelle strade, scontrandosi con le forze di polizia e talvolta esprimendosi con le modalità che hanno caratterizzato gli émeuts scoppiati a più riprese nella Francia della Quinta Repubblica.

Non bisogna dimenticare gli agricoltori che si battono contro lo strapotere dell’agro-business e che hanno espresso vicinanza e solidarietà ai GJ e che coi loro trattori hanno già animato alcune manifestazioni locali.

In sintesi: differenti segmenti della società, sulla spinta di ciò che hanno fatto i GJ, sono “entrati in scena” con rivendicazioni proprie beneficiando di un clima di più marcata sfiducia nell’operato dell’Esecutivo, di maggiore attenzione alle rivendicazione dei singoli comparti da parte dell’“opinione pubblica”.

Le forze politiche d’opposizione hanno fino ad ora operato da “delegato politico” in grado di riportare dentro le istituzioni rappresentative e nei dibattiti sui media le ragioni della collera sociale espressa, essendo tra l’altro parte organica del movimento che si sta esprimendo: NPA, France Insoumise, PCF e persino una parte dei socialisti ha svolto questa funzione, che tra l’altro ha progressivamente sottratto il terreno da un eventuale recupero da destra della protesta, da parte del RN (ex-FN) di Marine Le Pen e della LR di Laurent Wauquiez; mentre i militanti antifascisti hanno agito in maniera “più risoluta” nell’allontanare l’estrema destra identitaria dalle mobilitazioni.

Facciamo un bilancio dei nodi politici emersi sabato 8 dicembre e poi diamo un quadro dei principali avvenimenti di questa settimana.

Prima di tutto è aumentato vistosamente il livello repressivo per i mezzi impiegati – a Parigi e Marsiglia sono stati adoperati i blindati della Gendarmerie, mentre nel terzo arrondissement della capitale ci sono state le cariche dell’equipe a cavallo – si è consolidato l’uso smodato di “armi non letali” contro i manifestanti, provocando feriti gravi; si è affinato il meccanismo di filtraggio e di dissuasione preventiva, che di fatto limita la possibilità di manifestare, come denunciato da alcuni avvocati. I legali hanno evidenziato come molti fermi che hanno dato luogo agli interrogatori si sono svolti ben prima degli scontri iniziati a metà mattinata nella metropoli parigina, in continuità con la logica delle condanne comminate la scorsa settimana, in cui “il manifestare” di fatto ha costituito un reato, al di là della condotta dei singoli imputati.

Il bilancio repressivo è molto pesante: 1938 persone sono state trattenute per essere interrogate (1082 nella sola Parigi), 1709 sono poste in stato di fermo (974 nella capitale), su un totale di 136.000 manifestanti censiti dal Ministero dell’Interno.

“Reporterre” cita l’esempio di Florent Compain, presidente di Amis de la Terre, e di Denys Charlotte di Alternative non Violente, posti in stato di fermo per 21 ore, perché hanno organizzato a Nancy la marcia per il clima, vietata all’ultimo momento dal Prefetto (il giorno prima), ma poi svoltasi grazie alla determinazione dei manifestanti a cui hanno partecipato 1.500 persone.

Francois Ruffin, deputato della France Insoumise per la Somme, ex animatore delle Nuit Debout e della “Festa a Macron” ha denunciato il clima autoritario complessivo, dichiarando che i servizi segreti (DGSI) starebbero svolgendo una inchiesta nei suoi confronti per “sedizione e complotto contro lo stato”.

Sono state numerose le denunce dei giornalisti vittime della violenza poliziesca, sabato scorso, durante la mobilitazione parigina.

Il clima di terrorismo psicologico non ha però intimorito i manifestanti ed anzi sembra avere gettato benzina sul fuoco, risolvendosi per ora in un gigantesco boomerang per l’esecutivo.

Questa settimana l’UNL, che ha organizzato le mobilitazioni studentesche del 30 novembre, del 3 e 7 dicembre, ha infatti chiamato a continuare i blocchi e le manifestazioni durante tutta la settimana, in particolare questo martedì.

Un pugno nello stomaco alla pesante repressione subita, fatta di violenza poliziesca e 1000 fermi per interrogatori...

Nel comunicato viene scritto esplicitamente: “noi non dobbiamo cedere di fronte alla repressione. Noi dobbiamo farne la nostra forza”, continuando la propria lotta contro la riforma della BAC e la piattaforma Parcoursup, che sono al centro delle proprie rivendicazioni.

Allo stesso tempo continueranno gli incontri e le mobilitazioni nelle università contro l’incremento delle tasse universitarie per gli studenti stranieri, che penalizzano in particolare gli studenti marocchini e algerini, tra i gruppi più consistenti che godevano delle attuali condizioni per l’accesso agli studi universitari e per i master nell’Esagono.

La CGT, dopo la mobilitazione parigina dell’8 dicembre, sta organizzando le iniziative lanciate per il 14 dicembre, lanciando tra l’altro lo sciopero nel settore ferroviario (SNCF) e nella metropolitana parigina (RAPT), su un’ampia piattaforma rivendicativa contro il caro vita e per l’aumento dei salari.

I presìdi, che non sono stati affatto smantellati, continuano a svolgere il loro importante ruolo di “comunità di lotta” e di centri propulsori dell’iniziativa politica a livello locale, nei punti più remoti del Paese.

Intanto, il Presidente Macron parlerà questo lunedì sera in televisione, di fatto rompendo il silenzio che ha caratterizzato la sua condotta pubblica dal 17 novembre, a parte la condanna alle violenze dei manifestanti e il sostegno alle forze dell’ordine, insieme ad una generica “comprensione” del risentimento della popolazione.

Entreranno in scena anche gli agricoltori con una propria mobilitazione promossa dal maggior sindacato, e seguita con attenzione dal secondo sindacato e dalla Confédération Paysenne – il terzo sindacato più importante del settore – che ha espresso chiaramente il proprio sostegno ai GJ e alle loro rivendicazioni.

Nel fine settimana, durante la due giorni dell’appuntamento nazionale di Strasburgo della France Insoumise, Jean Luc Mélenchon ha voluto caldamente ringraziare i GJ per avere rotto la cappa di rassegnazione nei confronti dell’establishment, parlando apertamente di “insurrezione civica” in corso e invitando eletti e aderenti insoumise, non a prendere posizione, ma a partecipare organicamente al movimento dei GJ.

Oggi verrà depositata la mozione di sfiducia, proposta da France Insoumise e PCF, cui hanno aderito i deputati del PS, che entro 48 ore dovrà essere discussa in ambito parlamentare. Naturalmente non ha i numeri per essere approvata, ma il movimento generale ha ora una “sponda” politica parlamentare chiara. E non è “di destra”...

Lo scenario che si profila è quello di una “opposizione” compatta a sinistra, che chiede formalmente ciò che il movimento ha urlato continuamente a gran voce: le dimissioni di Macron.

In questa situazione, i media mainstream in Italia hanno scientificamente lavorato per non dare alcun elemento di comprensione reale della collera sociale, delle forze politiche che hanno veramente interagito con il movimento; hanno omesso la partecipazione di alcuni significativi corpi intermedi nella protesta (CGT e Solidaires, per ciò che concerne il movimento sindacale, e l’UNL per quanto riguarda gli studenti medi), o di alcune importanti realtà associative nate su alcuni dei più rilevanti nodi posti (razzismo, questione di genere e transizione ecologica). Talvolta i media “nostrani” hanno creato vere e proprie fake news, come il pericolo di golpe di cui Macron sarebbe stato informato dai servizi segreti, o la divisione tra Gilets Jaunes “moderati” ed un’ala “più radicale” (un classico della narrazione deformante).

Alcune persone organiche o contigue al variegato corpo degli attivisti sono influenzati dalla narrazione tossica prodotta su ciò che è successo dal 17 novembre in poi, e che la Sinistra liberal – che sarebbe ormai meglio ribattezzare “sinistra per Macron” – utilizza per dipingere questo movimento, prima, come una versione francese dei “forconi” nostrani in mano alla destra francese a cui si sarebbero aggiunti, nel consolidato paradigma degli opposti estremismi, i “casseurs” di ogni risma (dall’estrema destra identitaria all’estrema sinistra) nei tre atti di protesta parigini.

Allo stesso tempo, questa pseudo “sinistra” ha rimosso che la violenza politica è un tratto essenziale, fondativo – in tutti i sensi – della Francia contemporanea dalla Grande Rivoluzione, passando per il 1830, il 1848 e la Comune (non pretendo che abbiano letto Marx, ma almeno I Miserabili di Victor Hugo!). Hanno rimosso il fatto che dopo la carneficina della Prima Guerra Mondiale c’è stato un movimento per certi versi assimilabile al “Biennio Rosso” italiano, che l’ascesa del fascismo francese è stata combattuta dagli operai parigini nelle strade, contro formazioni di estrema destra organizzate para-militarmente, spianando la strada alla formazione del “Fronte Popolare”, durante il quale molti “figli del popolo” andarono a combattere il franchismo nelle Brigate Internazionali (la Francia è il Paese che ha dato il maggior numero di uomini alla Spagna Repubblicana) e non ultimo che si sono liberati dell’occupante nazista con una Resistenza Armata che ha avuto nel Partito Comunista – non ha caso definito “Il partito dei fucilati” da un giornalista alieno da simpatie comuniste nel dopo guerra – una autentica colonna. E poi potremmo continuare con gli “scioperi insurrezionali” della seconda metà degli anni Quaranta, le mobilitazioni per l’indipendenza del Vietnam prima e quelle per l’Algeria, fino al ’68 e oltre...

Ora sta a noi dare il nostro più fraterno ed efficace contributo a fratelli e sorelle d’Oltralpe contro un “nemico comune”, che dia alla parola internazionalismo quel senso concreto che ha sempre avuto fra gli sfruttati che si riconoscevano in un comune senso di riscatto.

Sta a noi farci portatori di quel senso di “forza” che il nostro blocco sociale di riferimento, al di là delle intossicazioni mediatiche, ha colto subito dopo il 17 novembre – a differenza di quanto avvenuto nell’“acquario della sinistra”, per non dire “lo stagno” – e che non ha visto incarnare da nessuno, nel circo mediatico e tra le componenti politiche di “casa nostra”.

Se sdegniamo i simboli di un popolo in rivolta, non possiamo stupirci se poi il popolo si rivolterà contro di noi, o quanto meno continuerà ad ignorarci.

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