Sabato 2 marzo si è tenuto a Milano un
corteo, molto partecipato, per protestare contro le politiche migratorie
del Governo e, in particolare, del Ministro dell’Interno e
vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini. Si stima che alla
manifestazione, denominata People – prima le persone, le
presenze non siano state meno di duecentomila. Tra i partecipanti, oltre
alla solita passerella di vip (Claudio Bisio e Lella Costa, in primis) e alle associazioni per i diritti dei migranti, c’è da segnalare lo stato maggiore del PD,
con a capo il sindaco del capoluogo lombardo Giuseppe Sala e, a
seguire, quello che sarebbe stato l’indomani incoronato segretario
Nicola Zingaretti e il suo principale sfidante alle primarie del PD,
Maurizio Martina. Sullo sfondo, a completare il quadretto, l’immancabile
People have the power di Patti Smith come colonna sonora.
Il tema della manifestazione in sé era ed è molto serio.
La china sulla quale ci troviamo, con il notevole contributo del
governo pentaleghista e degli strepiti (ma soprattutto delle politiche)
di Salvini, è drammatica e molto preoccupante. Le aggressioni (virtuali e
fisiche) a sfondo razzista sono ormai all’ordine del giorno. Ben venga,
dunque, ogni forma di opposizione a questa apparentemente inesorabile discesa nel baratro dei più bassi istinti identitari, concretizzatasi nel ‘decreto sicurezza‘
e nelle diverse forme di respingimento di immigrati. E ben vengano
tutti coloro che, sicuramente in maggioranza, hanno popolato in buona
fede le strade di Milano.
Non ci si può, però, fermare a tali constatazioni. Se si tiene davvero allo sradicamento di ogni forma di razzismo,
bisogna sottolineare l’esistenza di almeno due elementi che stridono
con le intenzioni degli organizzatori della manifestazione e sui quali
non possiamo tacere. In
primo luogo, la pelosa solidarietà con gli immigrati del PD, che fino a
poco tempo fa, con Marco Minniti Ministro dell’Interno, che recentemente
ha dichiarato di appoggiare Zingaretti alle primarie del PD, sembrava avere posizioni assai diverse dalla solidarietà incondizionata mostrata in questa sede. In secondo luogo, il solito, illegittimo, accostamento tra antirazzismo ed europeismo come due facce della stessa medaglia, illegittimo soprattutto in quanto le politiche di austerità dell’Unione Europea hanno contribuito non poco ad alimentare il consenso per le politiche razziste e securitarie del Viminale.
Ricordiamo tutti, infatti, il tanto strombazzato accordo
del febbraio 2017 tra il Governo italiano, all’epoca il Governo
Gentiloni, nella persona del Ministro dell’Interno Minniti, e il Governo
libico guidato da Al Sarraj. Per ottenere una riduzione degli sbarchi,
l’Italia si impegnava a finanziare le infrastrutture per il contrasto
dell’immigrazione irregolare, a cooperare nella formazione del personale
e a fornire assistenza tecnica alla guardia costiera libica. Insomma, pagava la Libia per controllare le proprie frontiere. Ciò in virtù del ruolo della Libia come snodo fondamentale della cosiddetta rotta mediterranea. I più attenti ricorderanno anche le parole al miele di
Salvini, appena insediatosi al Ministero dell’Interno, sul ‘lavoro’ del
precedente inquilino del Viminale in tema di controllo dei flussi.
Ecco, molte delle facce note presenti al corteo di sabato a Milano, in
altre parole, hanno sostenuto il Governo italiano mentre quest’ultimo
pagava la Libia per fare il lavoro sporco, davvero sporco:
lager, violenze, stupri di massa nel silenzio compiacente dei
committenti correponsabili di questo scempio. Con quale faccia oggi ci
si presenta come argine al razzismo e alla barbarie leghista?
Ciò che più fa riflettere, in effetti, è
il gioco delle parti che riemerge costantemente in questo tipo di
occasioni ed eventi. Nella piazza di Milano erano presenti personaggi
politici che sono tra i più accesi sostenitori del modello
politico-economico di ispirazione neoliberista che sta immiserendo i
paesi europei e al contempo favorisce il saccheggio neocoloniale del
terzo mondo, in primis dei paesi africani. Questo
modello economico, che provoca disuguaglianze, miseria ed emigrazioni
forzate, ha trovato il suo apice di concretizzazione storica proprio in
quell’Unione Europea che gli esponenti di alcuni partiti presenti in
quella piazza incondizionatamente sostengono e prendono a modello di
civiltà. Emblematica in tal senso la presenza di esponenti del partito
+Europa, fautori più fanatici
delle ricette europeiste-liberiste. E di esplicito riferimento
all’agognata Europa parla anche, sulle pagine dell’Huffington Post, un esponente di MDP,
il quale dichiara, in merito alla piazza antirazzista, che essa è la
base per una proposta politica: “una grande lista europeista di
ispirazione socialista, laburista, ecologista, umanista, democratica,
riformatrice, in sintonia con questa bellissima Milano anti-razzista”.
Chi più ne ha più ne metta, insomma. Ma l’aggettivo più significativo è,
ancora una volta, “europeista”. Come spesso accade, infatti,
l’alternativa al nazionalismo e alla chiusura delle frontiere viene
identificata con l’adesione ai principi costitutivi dell’Unione europea,
ovvero liberismo e austerità. Niente di più sbagliato
e pericoloso! Se alla chiusura dei porti e agli slogan come “prima gli
italiani” si risponde con un richiamo a quei principi che hanno messo in
ginocchio le economie europee e depredato il terzo mondo, non solo si
cade in un’insostenibile incoerenza, ma si fa un enorme piacere alle destre nazionaliste,
che hanno buon gioco nel travestirsi da paladine della protezione
sociale facendo ricadere sul falso obiettivo dei migranti le paure e la
frustrazione delle classi subalterne immiserite da anni di
disoccupazione, precarietà del lavoro e crollo dei livelli di stato
sociale.
Neoliberismo e razzismo in questo senso
lavorano a braccetto in una micidiale e coerente tenaglia, un vero
circolo vizioso dai contorni spaventosi. Il neoliberismo crea disuguaglianze, miseria e disperazione sociale tanto nei paesi periferici come nei paesi centrali del mondo,
generando le stesse condizioni che spiegano l’emigrazione di massa da
alcune aree del pianeta. Al contempo, il razzismo fomentato
ossessivamente dalle classi dirigenti nei paesi centrali, crea il perfetto capro espiatorio per incanalare la rabbia
e il disagio dei più colpiti dalle conseguenze dell’impoverimento di
massa su un falso obiettivo. Infine, questa distrazione di massa spiana
la strada per ulteriori dosi di neoliberismo che non trovano un argine
sufficiente di resistenza nelle classi popolari distratte dalla caccia
al capro espiatorio di turno. Un dispositivo perfetto per perpetuare ad libitum lo status quo.
Ed allora, per spezzare questo evidente
circolo vizioso, va detto a chiare lettere che l’antirazzismo,
sacrosanta battaglia di civiltà e veicolo di affermazione
dell’uguaglianza, deve essere sottratto, nel suo uso strumentale, a
quelle forze politiche reazionarie che, al pari dei razzisti
orgogliosamente tali, seminano da anni i germi della povertà, delle
disuguaglianze globali e della terribile guerra tra poveri scoppiata,
nei paesi più ricchi, all’interno della classe subalterna.
L’antirazzismo può e deve essere praticato davvero
soltanto fuori da ogni complicità con chi, sul neoliberismo più tenace,
sul saccheggio sistematico del sud del mondo e sulla segregazione e lo
sfruttamento dei lavoratori immigrati, ha costruito le proprie politiche
economiche e migratorie per decenni.
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