Per provarci ci hanno provato e continuano a provarci, ma alla luce dei fatti non è riuscito il tentativo degli Stati Uniti di far eleggere il loro uomo Carlos Mesa alla presidenza della Bolivia, ed ora stanno fomentando disordini per vanificare la quarta vittoria di Evo Morales, un presidente popolare e protagonista di un processo che ha materialmente migliorato le condizioni sociali della popolazione (ha abbattuto la povertà estrema di 12 punti percentuali dal 36% al 24%), ridato dignità al paese e rafforzato l’avanzata progressista in America Latina. Insomma tre fattori che a Washington sono visti e vissuti come il diavolo.
Dopo la vittoria di Morales nel primo turno elettorale per la presidenza, il governo degli Stati Uniti accusa le autorità elettorali boliviane di voler “sovvertire” la democrazia e si mostrano indulgenti verso le violente manifestazioni della destra che vorrebbero inficiare lo scrutinio delle presidenziali tenute domenica. “Gli Stati Uniti respingono i tentativi del Tribunale supremo elettorale (Tse) di sovvertire la democrazia in Bolivia ritardando la conta dei voti e prendendo iniziative che minano la credibilità delle elezioni”, ha detto in un messaggio pubblicato sul proprio profilo Twitter il sottosegretario al dipartimento di Stato, Michael Kozak. Washington chiede quindi al Tse di agire immediatamente “per il ripristino della credibilità nel processo di voto”. Gli Usa, prosegue Kozak, continueranno a lavorare al fianco della comunità internazionale per “rendere responsabile chiunque attenti alle istituzioni democratiche boliviane” e respingono “ogni tentativo di dare il via a violenze” chiamando tutti gli attori a “risolvere la situazione con mezzi pacifici”.
Come è noto, il Tribunale supremo elettorale plurinazionale (Trep) boliviano ha pubblicato un nuovo aggiornamento dei dati relativi alle Presidenziali di domenica scorsa, attribuendo al presidente socialista uscente Evo Morales la vittoria al primo turno. Secondo i dati del Trep, relativi alla quasi totalità delle sezioni, Morales ha ottenuto il 46,85% dei consensi, il suo principale contendente Carlos Mesa il 36,74%. In tal modo Morales, avendo superato il 40% e avendo distanziato Mesa di oltre dieci punti, seppure di pochissimo, eviterebbe il ballottaggio.
Il risultato è stato disconosciuto dall’ex presidente Mesa (cacciato via nel 2005 da una rivolta popolare) il quale ha affermato che promuoverà manifestazioni di piazza per difendere la volontà dei cittadini, dato che “si è consumata una frode”. L’annuncio dei risultati preliminari delle elezioni presidenziali, che al 98% delle schede attribuiscono la vittoria a Evo Morales al primo turno, mentre domenica il conteggio fermo all’83 per cento dei votanti sembrava indicare la necessità di un secondo turno, ha provocato incidenti a Sucre, dove diversi cittadini hanno dato fuoco al tribunale dipartimentale elettorale, mentre a La Paz ci sono stati scontri tra sostenitori del MAS (Movimento Al Socialismo) di Evo Morales e sostenitori di Carlos Mesa.
Il ministro per la presidenza della Repubblica, Carlos Romero, ha replicato a Mesa che “colui che convoca la violenza si farà carico della violenza”, accusandolo di aver scatenato manifestazioni nelle città di La Paz, Cochabamba, Oruro e Sucre, dando il via all’ondata di violenza in queste città della Bolivia dopo l’annuncio dei risultati delle elezioni.
Piegandosi ancora una volta agli Stati Uniti (così come era accaduto per il Venezuela), l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), attraverso il capo degli osservatori in Bolivia, Manuel González, definisce “inspiegabile” il cambio di tendenza nei risultati elettorali, tale da generare “perdita di fiducia nel processo elettorale”. Il conteggio rapido, finanziato tra l’altro dall’Unione europea, era stato affidato dal Trep a una società internazionale indipendente, la Vía Ciencia.
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