La scelta della multinazionale dell’acciaio di scaricare come amministratore delegato Matthieu Jehl a favore di Lucia Morselli non promette nulla di buono. Non solo per la fama di manager tanto adorata e corteggiata dai padroni del settore siderurgico, in particolare da quelli tedeschi, quanto odiata e temuta dai lavoratori e dai sindacati per la sua feroce determinazione nel perseguire ristrutturazioni a suon di licenziamenti. Il volto brutale della Morselli prende il posto di quello, solo formalmente, più accomodante di Jehl. Per quali ragioni?
In primo luogo possiamo ipotizzare che a Jehl sia addebitata la mancanza di scaltrezza nel muoversi nei meandri della politica italiana, nel rapporto con il bizantinismo sindacale nostrano e più in generale nel palazzo. Elemento questo che può aver indotto Mittal a scegliere Morselli, ben più scafata e con solidi appoggi negli ambienti che contano.
Qualora questa tesi fosse azzeccata sarebbe del tutto evidente che la multinazionale si appresta a organizzare una nuova brutale riorganizzazione del gruppo siderurgico.
Il combinato disposto della ventilata cancellazione dello scudo penale, provvedimento doveroso, della mancata implementazione del piano industriale e ambientale, ci conduce direttamente a scenari che più volte abbiamo, ahinoi, tristemente immaginato, a partire dalla chiusura dell’area a caldo e dal conseguente licenziamento di migliaia di lavoratori.
Scenario che, seppure ridurrebbe tantissimo le emissioni nocive, lascerebbe Taranto piena dei veleni di 50 anni di siderurgia, senza un piano alternativo sul terreno occupazionale e ambientale.
Nelle prossime settimane, forse già nei prossimi giorni, verificheremo le reali intenzioni di Mittal.
Quello che continua a mancare clamorosamente è il governo, che pare del tutto disinteressato alle amare vicende dell’ex gruppo Ilva e più in generale della siderurgia italiana.
Da parte nostra non si fanno sconti sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini di Taranto. Non si sono fatti a Jehl e non si faranno a Morselli.
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