“Stati Uniti e Italia collaborano su una serie di questioni. Il problema è che l’Italia spende solo l’1,1% del Pil per la difesa, invece del 2%. Speriamo che l’Italia aumenti la spesa per la Nato”. Sono queste le parole pronunciate dal presidente degli Stati Uniti Trump durante la conferenza stampa alla Casa Bianca insieme al Presidente della repubblica Sergio Mattarella.
È stato così sancito ufficialmente l’impegno del nuovo governo, quello del BisConte, ad aumentare le spese militari, anche in un contesto di conclamata recessione economica e crescita zero.
L’accelerazione di questa febbre militarista nel nuovo esecutivo è avvenuta proprio in questi giorni di ottobre alla luce di una serie di “visite” in Italia di alti esponenti delle autorità Usa e della Nato.
Prima c’era stato l’incontro tra Conte e il segretario di Stato Usa Mike Pompeo. Poi si è tenuto a Palazzo Chigi un incontro al massimo livello tra il Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, e il Segretario generale della Nato (l’alleanza militare tra Europa e Usa con dentro anche la Turchia), il norvegese Jens Stoltenberg.
Ciò che invece è passato inosservato, almeno secondo quanto riporta il quotidiano La Stampa, sarebbe la promessa di Conte a Stoltenberg di aumentare di ben sette miliardi all’anno le spese militari italiane per gli impegni verso la Nato.
Nel corso del suo recente colloquio con il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, il premier Conte non aveva solo assicurato che l’Italia terrà fede ai patti in relazione all’acquisto degli F-35, ma già in quella sede si era spinto a raccogliere l’esortazione ad incrementare i fondi per la “Difesa” assumendo l’impegno ad aumentare le spese militari di circa 7 miliardi di euro a partire dal 2020.
Nel 2019, gli stanziamenti per le spese belliche erano rimasti fermi ai livelli dell’anno precedente, cioè a 25 miliardi di euro. Di cui 21 rientrano nel bilancio per la Difesa e 3 in quello per lo Sviluppo Economico, più un miliardo all’anno per il finanziamento “indifferibile” delle missioni militari all’estero. Aggiungere a questa cifra altri 7 miliardi in più, pari a quasi mezzo punto di Pil, significa aumentare le spese militari dell’Italia di circa il 30% in un solo colpo.
I vari governi italiani degli ultimi anni hanno cercato di aggirare l’obbligo deciso dalla NATO in Galles nel 2014, di investire il 2% del PIL nell’ambito della difesa, insistendo per esempio sulla possibilità di includere le spese sulla cybersicurezza nel totale. Ma questo tentativo è stato bocciato sul nascere proprio dalla NATO con la motivazione che cybersicurezza e cyberdifesa non sono la stessa cosa, e che quindi investire sulla prima non sarebbe lo stesso tipo di spesa, in quanto includerebbe ambiti differenti. Inoltre, la sicurezza cibernetica, per quanto sia curata anche dalla Difesa, rimane comunque un impegno civile e condiviso tra i vari ministeri.
Sulla vicenda dell’acquisto degli F-35 è bene ricordare che già ai tempi del governo Prodi nel 1998 era previsto l’acquisto di 131 velivoli F-35 dalla Lockheed Martin. Il numero era stato poi ridotto dal governo Monti nel 2012 a 90, per far fronte alla spesa originale di 15 miliardi. Nel 2014 si era cercato di dimezzare ulteriormente gli ordini, tuttavia la mozione parlamentare presentata finì nel vuoto. L’esborso previsto per gli F-35 ammonta a circa 14 miliardi di dollari, ai quali vanno sommate le spese (circa mezzo miliardo di euro solo per gli aerei già acquistati) per l’aggiornamento del software su cui Lockheed Martin mantiene l’esclusiva.
Delle due l’una. O Conte in sede di incontri bilaterali prende impegni in nome di una furba captatio benevolentis verso i suoi interlocutori (Usa e Nato), oppure il nuovo governo euroatlantico, senza troppo strombazzarlo, sta procedendo sulla strada del riarmo e delle spese militari in misura assai superiore di quelli che l’hanno preceduto. Una contraddizione in più per il M5S partner di governo e una conferma ulteriore sulla natura a vocazione “imperialista” del Pd.
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