Ci apprestiamo ad iniziare un ciclo di seminari sul pensiero di
Gramsci, ad indagare sul suo contributo dato al movimento comunista nel
lungo secolo breve.
Perché Gramsci oggi?
Di incontri seminariali in questi anni ne sono stati fatti tanti,
esiste anche una vasta comunità di studiosi e militanti che dedicano
molte energie allo studio di Gramsci, al suo contributo politico come
dirigente del Partito comunista d’Italia e come brillante pensatore dei
Quaderni dal carcere.
Nonostante l’89 e il violento revisionismo operato dal mondo
politico e culturale occidentale, Gramsci è forse l’unico pensatore
comunista che ha vissuto una fortuna notevole a livello internazionale,
in particolare in America latina. È uno degli autori italiani più
studiati nel mondo, esistendo una bibliografia di studi sterminata.
Nell’Italia del dopoguerra il PCI ha costruito un enorme lavoro di
alfabetizzazione politica per generazioni di militanti; la
pubblicazione, fortemente voluta da Togliatti, dei Quaderni è stata la
scuola politica di massa del PCI, con un uso spesso anche spregiudicato
del pensiero gramsciano.
Tanto che negli anni ’70, spesso attraverso una lettura deformata e
parziale di alcuni temi, il PCI ha usato l’opera di Gramsci come
copertura per il suo progressivo e irreversibile abbandono del campo
socialista, in particolare escogitando un Gramsci teorico della
democrazia borghese e oppositore del socialismo realizzato. Insomma
quando parliamo di Gramsci parliamo anche di questa eredità. Il fatto
che gran parte del movimento rivoluzionario degli anni ’70 lo avesse
largamente ignorato o visto con diffidenza ci racconta le divisioni di
quegli anni ormai lontani, ma ci dice anche come il contributo
gramsciano sia stato parzialmente utilizzato in funzione stabilizzatrice
nel nostro paese. Il concetto di egemonia e di blocco storico figlio
del dibattito ideologico kominternista viene, dagli anni ‘60 in poi,
piegato a veste teorica di legittimazione della via nazionale al
socialismo, prima, e alle riforme democratiche, poi. Quando approcciamo Gramsci e il “gramscismo” dobbiamo tenere conto anche di questa storia,
contestualizzarla e cogliere gli elementi posticci inseriti solo come
funzione strumentale di una linea e di una battaglia politica
contingente.
Oggi che tutto ciò è concluso, provare a ritornare o scoprire Gramsci
può essere utile, senza da parte nostra avere necessità di aspirare a
essere dei gramsciani.
Lo spirito con cui ci avviciniamo a Gramsci è l’interesse verso un
importante dirigente, un grande pensatore comunista che ha saputo
analizzare, fare un bilancio della storia nazionale, delle classi
dirigenti e subalterne di questo paese. Probabilmente può essere
considerato l’uomo che ha, soprattutto nei Quaderni, esaminato più a
fondo, in forma necessariamente disorganica, anche date le condizioni
imposte dal nemico, il nodo irrisolto della rivoluzione socialista nel
centro capitalista, per quanto l’Italia degli anni ’20-‘30 non fosse che
la periferia di quel centro capitalista.
Innanzitutto ci interessa approfondire il contesto storico in cui
prende forma il suo contributo teorico: per esempio, il tema strategico
nei Quaderni, guerra di posizione/guerra di movimento, è originato dal
dibattito tenutosi in sede di Terza internazionale nei primi anni '20.
Gramsci fa i conti con lo scenario tedesco e italiano, fa esperienza
di alcune lezioni impartite dalle dure sconfitte di quegli anni
(parliamo degli anni’ 20), gli anni del riflusso rivoluzionario.
Da un
parte il caso tedesco, che è centrale nella riflessione di Gramsci, ed
il tema del fronte unito, che sarà occasione di grande dibattito e
divisione nel Komintern e per i comunisti tedeschi, sono il materiale
politico e teorico con cui il pensatore comunista ragiona; c’è poi la
lezione italiana, ancora più dura e tragica, visto che il movimento
operaio e socialista tracollerà sotto i colpi della reazione fascista e
del padronato.
Il grande merito di Gramsci sta nella capacità di non
rimanere in superficie, non limitarsi a un bilancio solo politico, ma
rielaborare il confronto migliore prodotto dalla Terza Internazionale,
cercando di definire la centralità di alcune categorie della politica,
della strategia rivoluzionaria, della tattica e del lavoro culturale. I Quaderni sono un cantiere di filosofia, di scienza della politica e di
storia critica della cultura, con particolare attenzione alla formazione
delle classi dirigenti e alla storia nazionale democratico borghese.
Premesso che intendiamo affrontare Gramsci, non isolando la sua
concezione dal vivo dibattito dell’epoca, quello che ci interessa come
militanti politici è comprendere se questo pensiero permetta ancora di
interpretare alcuni questioni di fondo della società e della politica
contemporanea.
Un punto che ci sembra anche solo intuitivamente produttivo è il
considerare la battaglia delle idee come un terreno non secondario della
lotta di classe, della lotta per l’egemonia politica tra le classi,
poiché sottovalutare questo terreno significherebbe condannarsi all’arido
economicismo della lotta immediata e contingente.
Su questo il lavoro dei Quaderni è una miniera preziosa di spunti, di interrogativi, di approfondimenti.
Il senso di questo ciclo di seminari però è anche indagare sui limiti
e sulle contraddizioni di questo pensiero, e domandarsi come mai questo
enorme contributo di analisi si sia prestato anche a letture opposte e
revisioniste. Quella di Gramsci è una teoria rivoluzionaria per la presa
del potere in un paese del centro capitalista, oppure nel multiforme e
complesso lavoro di Gramsci alberga anche un limite congenito,
un’incompiutezza rivoluzionaria? Cercheremo di capirne qualcosa di più
in questi mesi.
Primo incontro: Gramsci e la rivoluzione in occidente nel dibattito della terza internazionale; 25 ottobre al Granma, Via dei Lucani 11
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